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Ripensando i concetti di ‘segno’ e ‘significato’

Teoria dell’interpretazione

7.10. Ripensando i concetti di ‘segno’ e ‘significato’

Tutto ciò che abbiamo visto ci porta inesorabilmente lontano dalla concezione tradizionale del segno. Per troppo tempo si è ritenuto che il segno non potesse essere pensato altro che sul modello linguistico, tanto che, quando ci si è resi conto che quel modello non poteva valere in altri ambiti semiotici, si è deciso di abbandonarne del tutto il con- cetto, perpetuando così la prevaricazione della lingua sugli altri siste- mi semiotici. In particolare, fa problema il fatto che la lingua presenti un’organizzazione decisamente componenziale, dove i segni (le paro- le) si presentano come mattoncini elementari, stabilmente definiti e li- beramente combinabili. Ma è evidente che questo può valere solo per quei sistemi semiotici che si basano su una lista chiusa di segni, come nel caso del dizionario della lingua o dell’alfabeto morse. Dove mai si potrebbe trovare la lista chiusa degli elementi grafici che si possono usare per comporre un dipinto, o la lista chiusa delle melodie che si possono usare per comporre un’opera musicale? Ecco allora che da un lato, ancora recentemente, linguisti come Sebastian Shaumyan (2006: 10-11) possono dire che solo quello della lingua è un vero sistema se- miotico, in quanto presenta delle unità che sono appunto “i segni”, mentre la musica, o la pittura e la scultura, non possiedono tale tipo di unità e dunque non sono da considerare propriamente come sistemi semiotici. Per quanto sostenitore del credo saussuriano, Shaumyan conclude che il linguaggio è tanto diverso e tanto superiore a ogni al- tro possibile tipo di sistema semiotico da rendere sbagliato il progetto di Saussure a proposito di una teoria generale dei segni.

In maniera perfettamente simmetrica, sulla base della medesima impossibilità, molti semiotici dall’altro lato decidono anch’essi che la nozione di segno non sia generalizzabile. Ad esempio Umberto Eco (1975: 283), avendo rilevato l’inapplicabilità della tradizionale nozio- ne di “segno iconico”, arriva ad affermare che «è la nozione stessa di

‘segno’ che risulta inadoperabile». E precisa: «La nozione di ‘segno’

non serve quando viene identificata con quella di ‘unità’ segnica e di correlazione ‘fissa’: e se di segni vogliamo ancora parlare troveremo dei segni che risultano dalla correlazione tra una TESTURA ESPRESSIVA assai imprecisa ed una vasta e inanalizzabile PORZIONE DI CONTENU- TO». Dunque, “Il progetto di una tipologia dei segni è sempre stato ra- dicalmente sbagliato”; Eco propone di sostituirvi “il progetto di una tipologia dei modi di produrre le funzioni segniche”.

Il problema è, come si vede, quello della nozione abituale del segno come unità, come mattoncino compositivo fisso e facilmente ricono- scibile; ma, come abbiamo ben visto, è possibile pensare in altri ter- mini. Ad esempio Lévi-Strauss, pur richiamandosi per molti versi ai principi dell’insegnamento saussuriano, ci ha mostrato che nell’ambito narrativo i segni possono essere tutt’altro che elementi fissi e facil- mente riconoscibili. Proprio come rileva Eco, si tratta di abbandonare l’idea della tradizionale unità segnica per tornare al concetto originario che vede nel segno essenzialmente una correlazione culturalmente de- finita tra un qualche costrutto astratto collocato sul lato del significan- te e un altro costrutto collocato sul lato del significato. Questo non implica nulla né in termini di facile riconoscibilità né in termini di di- mensioni. Come appunto osserva Eco, il significante può corrisponde- re a una più o meno ampia “testura espressiva”, e il significato, anzi- ché a un concetto semplice, può corrispondere a una più ampia “por- zione di contenuto”. Questa strada ci porta a una visione delle correla- zioni segniche senz’altro più matura e decisamente più articolata.

Tra gli esempi considerati in questo libro, abbiamo visto tanto casi di correlazioni relativamente semplici, come la luce che si accende nel buio utilizzata nel Sesto Senso, quanto correlazioni che prendono un intero testo, come l’opposizione che lo spettatore Apple vede, in Apo-

calypse Now, fra i tratti che caratterizzano l’intera prima parte (lumi-

nosità, colore, vivacità, nitidezza..) e quelli, opposti, che caratterizza- no la seconda. In quest’ultimo caso ci troviamo evidentemente di fron- te a quelle che Eco chiama “testure espressive”, non localizzate in porzioni definite del testo. La dimensione di copertura testuale è certo un aspetto interessante, ma non cambia la natura del segno.

Dobbiamo poi aggiungere, a completamento di questo discorso, al- cune riflessioni intorno a cosa si possa intendere quando si parla di “significato”. Le teorie intorno alla natura del significato e ai modi in cui questo possa essere scientificamente descritto sono tanto numerose quanto complesse, e certo non le esamineremo in questa sede; ci tro- veremmo tra l’altro costretti a confrontarci in un intreccio tra prospet- tive semiotiche, concezioni cognitiviste e modi di vedere propri alla filosofia del linguaggio. Difficilmente arriveremmo per questa strada a conclusioni minimamente definitive, ma una cosa apparirebbe di sicu- ro evidente, e cioè che la teoria semiotica, pur ricca di spunti e di ela- borazioni importanti su aspetti parziali della questione, non ne possie- de una soddisfacente visione d’insieme. Il problema fondamentale è

ancora e sempre lo stesso: il dominio di una concezione che è adatta per analizzare il valore semantico di un comune enunciato linguistico, ma del tutto inadeguata a parlare del senso della pittura, della musica, o della produzione narrativa.6 Sembra che, nonostante tutto, si pensi ancora al significato in termini di informazioni fornite, sicché vediamo ad esempio la musica classificata come sistema semiotico privo di si- gnificato perché non è in grado di fornire informazioni, combinare ap- puntamenti o descrivere la capigliatura dell’attuale re di Francia. Ep- pure non c’è dubbio che la musica generi trasporto ed emozione, con- duca a pensieri profondi, esprima visioni del mondo. Cos’è dunque il significato?

Tra i fattori di confusione, vi è il fatto che la lingua ama essere de- finita come quel sistema semiotico che è in grado di tradurre nei suoi termini ogni altro sistema semiotico. Evidentemente questo non è ve- ro, ma ogni volta che la lingua si trova colta nell’incapacità di tradurre nei suoi termini i contenuti di qualche testo d’altro genere, anziché abdicare a questo suo trionfante postulato decide che significati non traducibili in termini linguistici non fanno parte dell’universo dei si- gnificati veri e propri. Di fatto, il problema riguarda moltissime realtà semiotiche: si pensi alle varie arti, ma anche a tanti oggetti che ci cir- condano, ai capi di vestiario, alle costruzioni architettoniche, ai pae- saggi naturali… Riconosciamo piuttosto i nostri limiti attuali; quello del significato è un oceano la cui mappa resta ancora in gran parte da tracciare. Vi sono significati che possono essere tradotti in parafrasi linguistiche senza troppe difficoltà, altri che possono essere ben rap- presentati attraverso tratti distintivi espressi con termini linguistici, del tipo “bovino+maschio+adulto”, ma ce ne sono altri che restano troppo aderenti alla dimensione visiva o musicale o gestuale in cui si realizza il loro supporto significante. Non è affatto insensata l’obiezione tipica di tanti autori, che a domande sul senso della loro opera ribattono che non avrebbero dato vita, a seconda dei casi, a un film, a un quadro o a un’opera musicale, se fosse stato possibile esprimere lo stesso conte- nuto in parole comuni.

6 L’illusione per cui il significato dovrebbe essere sempre facilmente verbalizzabile ha

causato molte difficoltà anche alla ricerca applicata: si pensi ad esempio ai maldestri tentativi di chiedere a un campione del “target” di esplicitare il significato di un filmato pubblicitario, di una confezione industriale o della denominazione di un prodotto. Un compito, di fatto, qua- si sempre impossibile.

L’idea che la musica si possa parafrasare solo con un altro brano musicale, un dipinto con un altro dipinto e così via non è così peregri- na come potrebbe sembrare. Se una persona che ad esempio non ha mai visto un’opera di Picasso o di Kandinsky ne incontra una per la prima volta, può facilmente trovarsi spaesata, e chiedere per quali ra- gioni il quadro sia stato dipinto in quel modo e cosa l’autore abbia vo- luto esprimere. Forse meglio di una lezione a parole può essere in tal caso utile fare entrare quella persona nel mondo poetico dell’autore at- traverso la visione di altre sue opere, proprio perché queste possono costituire degli equivalenti, quasi come delle parafrasi, capaci di con- sentire al neofita di appropriarsi non di un discorso sulla pittura ma del discorso della pittura, dello specifico linguaggio che quell’autore ha elaborato e che, meglio che in ogni testo teorico, è espresso e illu- strato lì, nelle sue opere. Il nostro interprete modello Cage testimonia molto chiaramente la consapevolezza di uno spettatore intorno alla stretta aderenza del senso all’esperienza che il testo gli fornisce: il senso è anche un insieme di emozioni, una calcolata configurazione di sensazioni specifiche a quel particolare universo espressivo. Tutto questo non vuol dire affatto che l’universo del senso sia inafferrabile o non descrivibile scientificamente; la semiotica ha pensato da sempre che sia necessario per questo sviluppare meta-linguaggi scientifici ca- paci di rappresentare le configurazioni di senso in termini diversi da quelli di una mera e obbligata parafrasi linguistica.

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Capitolo VIII