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La costruzione di una nuova correlazione semiotica

Segni e testi: una relazione dinamica

6.2. La costruzione di una nuova correlazione semiotica

Innanzi tutto, a correzione di quanto detto nella schematica intro- duzione delle pagine precedenti, va precisato che nessuna interpreta- zione esaurisce il suo oggetto, per cui ci è sempre possibile scoprire

che ciò che avevamo letto in un modo potrebbe essere letto in un altro. Così, non è affatto detto che l’interpretazione che abbiamo dato alla lampadina che si accende nel buio sia davvero così evidente, o che sia l’unica possibile. “Tutto può essere riletto in altro modo” è del resto un insegnamento chiave del film, che si traduce, anche questo, in cor- rispondente esperienza per lo spettatore. Tra l’altro, l’idea di un “sesto senso” può essere collegata anche alla convinzione, diffusa tra autori e studiosi di cinema, per cui la visione di un film può portarci, per un breve periodo, a fare l’esperienza – insistiamo su questo concetto – di guardare il mondo con gli occhi di altri. Ed ecco già che l’inquadra- tura iniziale può essere forse riletta in altro modo: lo schermo nero che progressivamente s’illumina può rimandare al processo stesso della proiezione cinematografica, e diventare metafora del cinema – ipotesi interpretativa che potrebbe avere conferme nei tanti successivi riferi- menti al potere delle immagini e dei suoni registrati, nonché nella sor- prendente simmetria per cui, nel finale, l’immagine svanisce in una luce completamente bianca.

Un accenno, per quanto qui necessario, alla storia raccontata nel film. Protagonista della vicenda è Malcolm, di professione psicologo infantile. All’inizio del film, lo vediamo ricevere due contrastanti de- finizioni della sua identità: mentre festeggia con la moglie la targa d’encomio ricevuta dal sindaco della città per i suoi meriti professio- nali, un ragazzo, suo ex paziente in anni passati, entra da una finestra e, per punire il suo terapeuta di non averlo saputo aiutare, gli punta contro una pistola, e spara. Sei mesi dopo, Malcolm ha un nuovo pa- ziente, Cole, che presenta sintomi molto simili a quelli del ragazzo che a suo tempo lo psicologo non aveva saputo aiutare, sicché pensa di avere una possibilità di riscattare la sua passata incapacità. Eppure (meccanismo del loop) ripercorre la stessa strada: incapace di ascol- tare il bambino, riconduce ciò che questi racconta ai modelli che lo psicologo ha appreso nei libri e negli studi universitari, proiettando sul caso nuovo le categorie precostituite del suo sapere, introducen- dolo in tipi e classificazioni già note, fino a formulare la sua impo- tente condanna tramite categorie pronte all’uso come “paranoia” e “precoce schizofrenia”, che conducono verso l’uso di psicofarmaci e verso il ricovero ospedaliero. Malcolm è infelice, tanto più che si rende conto di avere per il lavoro trascurato la moglie, la quale si sta allontanando da lui e soffre di depressione, addirittura esce con un altro. La sera del loro anniversario di matrimonio, Malcolm la rag-

giunge al ristorante con vergognoso ritardo; mentre balbetta delle scuse, Anna si alza, desolata, e gli augura un “buon anniversario” pieno di amarezza.

Nella prima metà del film, la vicenda essenzialmente espone in forma narrativizzata il paradosso di partenza, facendone una critica a una certa concezione del sapere per la quale, appunto, ogni dato nuovo deve essere collocato in una categoria già nota (questo vale anche per la valutazione, del tutto errata, che Malcolm dà sul comportamento della moglie). Il sapere su un oggetto specifico, o su una specifica per- sona, è rimandato a un sistema di conoscenze e definizioni inevitabil- mente esterno.

A questo punto, il testo deve mostrarci, nella sua seconda parte, co- me Malcolm possa giungere ad afferrare una verità cui era inizialmente cieco. Se vogliamo deve, insomma, “accendersi la lampadina”, ma que- sto deve succedere in modo necessariamente contrario a quello che la trita metafora iniziale poteva suggerire. Dunque, il primo evento decisi- vo è questo: lo psicologo decide di riascoltare il nastro di uno dei vecchi colloqui avuti con il suo precedente paziente, un nastro sentito più volte ma mai per intero: la parte decisiva del nastro è in effetti quella che non era mai stata ascoltata perché per definizione insignificante, vuota, dato che si trattava di alcuni minuti di (presunto) silenzio, corrispondenti a una sua momentanea assenza. Ma è proprio lì, nel silenzio della sua as- senza, là dove non dovrebbe esserci nulla, che è rimasta registrata l’informazione che cambierà il suo modo di pensare.

Abbiamo la sensazione, a questo punto, di trovarci di fronte alla proposta di una struttura segnica diversa da quella cui rimandava la lampadina iniziale, ma ci è difficile capirne la definizione e afferrar- ne il senso. Che cosa fa allora il testo? Ne moltiplica le occorrenze al suo interno, attraverso una serie di ripetizioni variate. Vengono alli- neati una serie di episodi sostanzialmente equisimili: occhi che e- splorano dettagli di fotografie che apparirebbero irrilevanti, la sco- perta di un delitto rimasto impresso per errore in un nastro video do- po la fine della registrazione, un filmato che gira all’infinito su un te- levisore che nessuno sta guardando, l’intuizione sorprendente del fat- to che Anna, del tutto al contrario di quanto ci sembrava di aver “vi- sto”, in realtà stava dimostrando un’infinita tenerezza per Malcolm, alla cena del loro anniversario, e poi ancora l’impiego della tecnica decentrante della scrittura automatica, il fermare l’attenzione sulla (apparentemente) banale fede nuziale che ad Anna scivola involonta-

riamente di mano, il riconoscere un senso alle parole apparentemente sciocche che alla moglie sfuggono durante il sonno, o ai racconti al- trettanto apparentemente insensati del suo giovane paziente, e accet- tare infine l’idea che solo l’altro, guardandoci dall’esterno coi suoi occhi, può sapere chi siamo, vedendo quello che noi mai avremmo potuto vedere.

È questa ripetizione delle occorrenze, e la loro studiata variazione, a condurci a costruire la nuova struttura segnica e a individuarne il si- gnificato: c’è un altro modo di conoscere, capiamo, che si attiva quan- do l’attenzione, non più diretta dalla nostra logica, inquadra luoghi te- oricamente vuoti: capire è trovare il senso ove non pensavamo ce ne fosse alcuno, ascoltare quello che ci pareva essere un silenzio, guarda- re con gli occhi di qualcun altro, da una posizione che non è la nostra, andare verso chi ci fa paura e adempiere alle sue richieste d’aiuto, ri- conoscere la nostra assenza nella scena cui pensavamo di esser stati presenti, e viceversa… Ma questo può riportarci anche al punto di par- tenza: a comprendere che la metafora della luce che si accende nel bu- io della cantina poteva essere anche più sottile, se decidiamo di rende- re pertinente il fatto che l’irrompere della luce è collocato in un luogo che per definizione è normalmente – non per caso ma per sua natura – buio: dove dunque quella della luce è una presenza inattesa, divergen- te ed anomala.

Alla fine, la somma di questi episodi traccia il disegno di una classe prima non concepita. Seguendo in fondo il tipo di operazione proposta da Lévi-Strauss (1955) nella sua celebre analisi del mito di Edipo, trasformiamo la successione sintagmatica degli episodi in un gruppo paradigmatico. Mettendole insieme, le diverse varianti mo- strano la loro coerenza, e capiamo di trovarci di fronte a differenti realizzazioni di una nuova struttura espressiva, di un nuovo signifi- cante che vediamo costruirsi all’interno del testo. Arricchiamo così la nostra concezione del segno; senza abbandonare il principio per cui un segno si colloca su un piano più generale ed astratto rispetto alle realizzazioni testuali, rileviamo la possibilità che una nuova enti- tà segnica sia costituita attraverso la sua ripetuta realizzazione all’interno, anche, di un singolo testo.

In pratica, capita questo, all’interprete: che nella lettura del testo si trova a un certo punto di fronte a un componente che non sa interpre- tare, perché non sa farlo rientrare in nessuna categoria significante già nota. Il testo va avanti, e l’interprete incontra un altro componente che

– come poi capirà per le stesse ragioni – di nuovo non è in grado di in- terpretare, e poi ancora un altro, e ancora un altro. A un certo punto, l’interprete si rende conto che questi componenti che apparivano non interpretabili, perché non corrispondevano a nessun modello signifi- cante conosciuto, possono però tra loro formare una nuova classe, per- ché ripetono tratti a ben guardare comuni. Si disegna così davanti ai suoi occhi una struttura segnica la cui identità, la cui logica, il cui va- lore concettuale sono, almeno in una certa misura, effettivamente nuovi. Il lavoro interpretativo ha aggiunto una componente inedita al suo bagaglio culturale e semiotico.