• Non ci sono risultati.

Due diverse concezioni del segno

Per una teoria unificata delle forme di correlazione segnica

2.1. Due diverse concezioni del segno

Il disorientamento presente in semiotica intorno alla nozione di se- gno può essere in parte compreso considerando le divergenze e gli squilibri che risultano dal confronto delle definizioni originariamente formulate dai due fondatori della disciplina. Ferdinand de Saussure, linguista, ci ha fornito una visione di grande interesse ma fatalmente miope rispetto a tutto ciò che si allontana dal modello linguistico. Co- sì, pur riconoscendogli il merito dell’idea di una scienza capace di oc- cuparsi di tutti i sistemi di segni, insomma di tutti i diversi linguaggi che gli esseri umani impiegano per esprimersi e per comunicare, biso- gna anche riconoscere che la sua visione resta troppo legata allo studio delle lingue naturali. Charles S. Peirce, dal canto suo, ci ha offerto una teoria più ampia, e però non ben definita e comunque lontana dalle nostre esigenze. Ma vediamo meglio i punti di forza e di debolezza delle due prospettive.

La visione raffinata e complessa di Saussure presenta molti aspetti di cui per nessuna ragione saremmo disposti a fare a meno. Tuttavia, egli stessi ebbe dubbi a proposito dell’adeguatezza delle sue defini- zioni, tanto da rimandare la decisione di mettere per iscritto i fonda- menti del suo insegnamento. La questione decisiva consiste proprio nell’aver assunto la lingua quale modello per ogni altro sistema semio- tico. Mentre l’idea della struttura correlazionale del segno, quale con- nessione tra i due lati del significante e del significato, può essere con- siderata valida ovunque, lo stesso non si può dire a proposito della na-

tura “arbitraria” di tale correlazione. Parlando di arbitrarietà del se-

gno, Saussure intende riferirsi all’assenza di motivi che giustifichino

la connessione tra un dato significante e un dato significato. Lo prova la differenza tra le lingue, e questo è indubbio: chi potrebbe sostenere che ci sia una qualche interna motivazione per cui l’apertura nel muro esterno di un edificio debba chiamarsi finestra? Indubbiamente, si trat- ta di un legame puramente convenzionale, tant’è vero che lo stesso concetto corrisponde in un’altra lingua al significante window, com- pletamente diverso, in un’altra ancora al significante ventana, e così via. Ma questo vale per ogni tipo di segno? Avendo stabilito, davvero precipitosamente, che l’arbitrarietà fosse una caratteristica definitoria non di un tipo di segni in particolare ma del concetto di segno in gene- rale, Saussure si trova in evidenti difficoltà.

Il momento più significativo è quello in cui ragiona intorno alla bi-

lancia, che nella nostra cultura vale come simbolo efficace del concet-

to di “giustizia”. In questo caso, nel caso cioè in generale dei simboli, ci troviamo indubbiamente di fronte a segni non arbitrari, ove il lega- me tra significato e significante è fondato su precise motivazioni: nel caso, l’equilibrio tra i due piatti della bilancia possiede una rilevante

analogia concettuale con idee di equilibrio ed equità che sono ovvia-

mente centrali nel concetto di “giustizia”, almeno come questo è stato elaborato nella nostra tradizione culturale. Bisogna dunque distinguere tra classi di segni arbitrari e classi di segni motivati? Saussure appare incerto, rimanda la decisione agli studiosi che seguiranno. Per quanto le sue perplessità possano farci intendere che egli fosse più favorevole a un ampliamento del concetto di segno, di fatto tale ampliamento non l’ha realizzato, e questo è apparso in seguito come il limite più grave del suo insegnamento.

Da questo punto di vista, il modo di vedere di Peirce presenta l’indubbio vantaggio di tener conto di tutta l’ampia gamma dei modi di presentarsi dei segni; se anche qui vi è un’evidente sopravvaluta- zione del modello linguistico, questa è però decisamente meno forte, e non così decisiva. Lo sguardo di Peirce, tipicamente filosofico, colloca la dimensione segnica nel contesto di una riflessione complessiva sul rapporto tra l’uomo e la realtà che lo circonda: tale rapporto assume infatti il carattere di un omnipervasivo meccanismo di interpretazione, tramite il quale noi diamo un senso a ogni componente dell’espe- rienza. Dal momento che Peirce mira a mettere in luce come tutta la nostra vita sia immersa in questa dimensione semiotica, la sua conce-

zione del segno risulta molto più ampia e variegata. La sua elabora- zione concettuale è sottile e affascinante, indubbiamente complessa e ricca di prospettive, e tuttavia decisamente lontana dai modi di pensa- re delle scienze umane e dagli interessi di chi veda i segni come parte di quella che Saussure chiama “la vita sociale”.

Dell’aspirazione a una concezione del segno che fosse la più ampia possibile, ma anche delle inferiorità concettuali rispetto alla visione saussuriana, è già testimonianza la sua stessa definizione del segno. Scrive infatti: «Un segno è qualcosa che per qualcuno sta per qual- cos’altro sotto un certo aspetto o possibilità». Colpisce subito, in que- sta definizione, la singolare insistenza nell’uso degli indefiniti, indice palese della volontà di allargare al massimo la definizione. Il principio chiave resta per tutti fondamentale: il rapporto di rinvio per cui un se- gno esiste solo nel momento in qui qualcosa rimanda a qualcos’altro. Non esiste segno finché abbiamo a che fare con un piano unico: il fu- mo, ad esempio, non è un segno ma un mero fenomeni fisico se non lo correliamo al fatto che può farci pensare alla presenza del fuoco. An- drebbe però sottolineato che nella concezione di Peirce la correlazione – pur se si tratta di una correlazione tra oggetti, come nel caso del fu- mo che rinvia alla presenza di un fuoco – è sempre soggettiva, in quanto è percepita e pensata da “qualcuno”, un interprete. È solo “per qualcuno”, cioè ai suoi occhi e nei suoi processi di pensiero, che il “qualcosa” rimanda a “qualcosa’altro”.

Se il principio della soggettività delle relazioni segniche è dunque comune a Peirce e a Saussure, una differenza decisiva è immediatamen- te visibile nell’impiego dei termini “qualcosa” e “qualcos’altro”. Dob- biamo veramente intendere che si possa riconoscere lo statuto di segno a qualcosa di fisico, un oggetto particolare esistente là fuori? Da questo punto di vista, la differenza con la visione di Saussure si presenta dav- vero profonda, poiché in Saussure né alcunché di materiale né alcunché di singolare può corrispondere al concetto di segno, o a uno dei suoi lati costituenti. Qualsiasi cosa vi sia dal lato del significante, come dal lato del significato, è per definizione un’entità psichica di carattere generale (classe, insieme, modello…). Nel quadro teorico di Peirce, invece (dove le nozioni di “significante” e “significato” non dovrebbero essere im- piegate, pena un aggravio di confusione), quando ad esempio si dice che il fumo può significare la presenza del fuoco, o l’impronta nella ne- ve il passaggio di un animale, si deve intendere che un fenomeno chi- mico materiale come il fumo, che sta avendo luogo in un certo momen-

to in un certo luogo, o un avvallamento nella superficie della neve, che in un dato momento può essere osservato in un particolare luogo, pos- sono valere, agli occhi di qualcuno, come segni.