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Il senso esperito: l’interprete Cage

Teoria dell’interpretazione

7.8. Il senso esperito: l’interprete Cage

L’ultimo modello di percorso interpretativo si presenta tipicamente in termini che possono suscitare, in prima battuta, qualche perplessità: gli spettatori che sarebbero poi stati riconosciuti come appartenenti a questo modello si mostravano addirittura restii a esprimere un loro at- teggiamento interpretativo, e insieme avversi alle spiegazioni date da- gli altri spettatori. Questo non perché non possedessero una loro lettu- ra del film ma perché – ponendo un problema peraltro centrale per la teoria semiotica – mettevano in dubbio la capacità di una traduzione linguistica a rendere la dimensione semantica propria all’esperienza di un testo non linguistico. Un film, in particolare, si presenta allo spetta- tore come una sequenza di immagini e suoni, e secondo questo tipo di interpreti il discorso interpretativo non deve mai perdere di vista que- sto carattere della sua immediata fruizione. Il modello Cage (la deno- minazione gioca sia sul significato di “gabbia” sia sulle concezioni dell’omonimo compositore americano) è dunque profondamente carat- terizzato da questa tendenza all’immediatezza: un’immediatezza che innanzi tutto permette all’interprete di recepire un’enorme quantità di tratti concreti del testo.

La prima fase di elaborazione è così affidata a una sorta di sensibi-

lità emozionale, capace di selezionare e amplificare tutto ciò che im-

tesa evidenza che escluderebbe ogni mediazione culturale: l’idea, per intenderci, è che se ci si “lascia andare” non si può non entrare in con- tatto con la superficie del testo in modo da averne quelle definite im- pressioni e registrarne quei definiti caratteri. Nel caso di Apocalypse

now, questo valeva in particolare per il carattere allucinatorio avverti-

bile nel film tutt’intero, percepito in questa chiave quale elemento in- sopprimibile di qualsiasi lettura, dal momento che la natura inusuale di immagini e suoni, i giochi abbacinanti di luci ed ombre e così via non potevano non colpire qualsiasi spettatore. Con la stessa immediata evidenza si pensa debba essere colta la struttura portante del testo: nel caso, la sua costruzione modulare e la sua natura insistentemente composita ed eminentemente spettacolare, che attraversa una congerie di situazioni e generi cinematografici ben familiari a qualunque spetta- tore. Altrettanto evidente appare la chiusura del testo su tutto ciò che è tipicamente e specificamente americano (si sottolinea la sostanziale assenza dalla scena dell’esercito nemico, e la dinamica narrativa cen- trata sull’opposizione tra un ufficiale dell’esercito statunitense e un al- tro ufficiale dello stesso esercito statunitense).

Dunque tutte queste componenti sono evidenti insieme, nella frui-

zione immediata del testo. La possibilità di non afferrare, di restare

non coinvolti o di misinterpretare dipende dalla eventuale mutilazione dell’uno o dell’altro aspetto costitutivo. Implicito in questo atteggia- mento, traspare un principio di sommatoria strutturale, che la semioti- ca potrebbe approfondire, per il quale le componenti base del testo, per quanto di natura apparentemente disparata, vengono immediata- mente raccolte in una sintesi stretta e risolutiva – in questo caso, per darne un’idea, il destinatario “vede” che gli si parla della realtà ameri-

cana tramite la costruzione di uno spettacolo presentato in forma allu- cinatoria. A questo punto, grazie alla fusione immediata di queste tre

contemporanee “evidenze”, la definizione del senso del testo è pratica- mente già quasi esplicitamente costituita. Si può allora comprendere perché, secondo la concezione propria a questo interprete, il significato va pensato come una realtà immediatamente accessibile nelle immagini

e nei suoni, piuttosto che al di là di essi; secondo un’espressione tipica

di questo tipo di spettatori, “quello che si vede nel film, ecco quello che il film dice”.

Un ragionamento teorico su questo atteggiamento interpretativo ci riporta alle prospettive aperte dalla rivoluzione del concetto di “comu- nicazione” portata dal classico intervento di Roman Jakobson. Si ri-

corderà innanzi tutto che quell’intervento dava spazio a una forma molto particolare di comunicazione, detta “poetica”, caratterizzata proprio dall’immediatezza di fruizione: l’espressione poetica sarebbe infatti distinta dalla tendenza a porre in primo piano la superficie e- spressiva, fermando l’attenzione del destinatario sulle sue particolarità immediate e sensibili. Nel messaggio poetico il piano del significante si opacizza e, pur non perdendo totalmente la funzione referenziale, muta la propria natura: da quel mero strumento che era, si fa ora vero

protagonista. Lo stesso nei postulati di base del modello Cage, per il

quale è in effetti decisivo che la superficie espressiva del testo non venga subito attraversata bensì fruita in tutta la sua specificità, con tut- to il peso della sostanza (a seconda dei casi sonora, visiva ecc.) che la compone.

Tuttavia, l’atteggiamento interpretativo Cage non è riducibile al concetto jakobsoniano di “funzione poetica”. In primo luogo, risulta molto sottolineato l’interessante postulato di un’inevitabile resa reali- stica, anzi addirittura mimetica, del linguaggio in quanto tale. Consi- deriamo d esempio, nella lettura data al film di Coppola, un tratto lin- guistico giudicato particolarmente evidente, quello psichedelismo di immagini e suoni. Ebbene, questo non va considerato propriamente né come qualcosa cui l’opera alluda (di cui l’opera parli), né come un tratto significante che l’opera utilizza per parlare d’altro. Non c’è ri- mando a un senso secondo, ma semplice riproduzione mimetica: la vocazione allucinatoria di una certa cultura americana si traduce imme- diatamente nelle modalità in cui tale cultura si esprime, nei linguaggi che parla, e attraverso i quali esibizionisticamente si costruisce.

In un quadro concettuale per cui il significato di un’opera (cine- matografica, musicale, pittorica, eccetera) aderisce strettamente al testo e all’esperienza di fruizione, c’è forse un modo di presentare un universo culturale più adeguato di quello della riproduzione mimeti- ca del suo sguardo e dell’adozione del suo stesso linguaggio? Come si può davvero riprodurre questa cultura eccessiva e allucinatoria, nella forma più fedele e realistica, se non, per usare l’espressione co- lorita di un nostro lettore empirico, “sparando l’acido nella macchina da presa”? O, secondo un’altra espressione significativa, cosa può decidere il significato di un testo cinematografico più di quello che viene definito “il modo in cui si tiene in mano la macchina da pre- sa”? Se realizzato in questo modo, anche un film apparentemente di

non registrandolo ma costruendolo; si “documenta” una certa cultura americana non tanto perché si offre allo spettatore una rassegna dei suoi luoghi comuni ma perché lo si conduce a fare, per alcune ore, la diretta esperienza del linguaggio (cioè della forma di pensiero) pro- prio a quella cultura. Il senso sta, diremmo, nel codice cinematogra- fico impiegato più che in ciò che è oggetto delle immagini; non si tratta di “guardare dentro il testo” ma di percepire la realtà attraverso i modi proposti dal testo.

Questa particolare prospettiva d’interpretazione (che ha varianti dotte in certe forme raffinate di critica, e varianti più semplici in certe aree della cultura giovanile) implica un assunto che abbiamo già in- contrato in altra forma, e cioè che una cultura è costituita essenzial- mente dal sistema di linguaggi con cui organizza e rappresenta il reale. È dunque il codice, e non un contenuto del messaggio, la meta finale del percorso interpretativo. Il modello Cage, così precisato, appare in linea con le posizioni di molti studiosi, di letteratura e d’arte, per i quali i testi a funzione estetica, mentre possono sembrare impegnati in una descrizione di oggetti ed eventi della realtà, di fatto stanno espri- mendo un modo specifico di percepire e pensare il reale. Considerato in termini più propriamente semiotici, il modello Cage riprende anche l’idea di Lévi-Strauss per cui ciò cui un testo rinvia è, fondamental- mente, il codice di lettura dell’esperienza che esso espone e sostiene. Non a caso, l’atteggiamento Cage può essere riconosciuto vicino an- che al pensiero di Prieto, per cui ciò che è veramente importante è la comprensione del modo in cui si organizza un sistema di conoscenza, cioè quella soggettività culturale strutturata che definisce le pertinenze e il senso delle cose.