• Non ci sono risultati.

La pietra angolare della costruzione saussuriana

Soggettività, pertinenza, teoria della conoscenza

4.3. La pietra angolare della costruzione saussuriana

Il passaggio dalle concezioni scientifiche dell’Ottocento a quelle più moderne del Novecento può tra l’altro essere visto nei termini di un abbandono dei paradigmi classificatori (descrittivi) a favore di pa- radigmi esplicativi (correlazionali): se per molti scienziati dell’Otto- cento conoscere voleva dire suddividere e raggruppare, nella visione

novecentesca si tratta piuttosto di trovare le ragioni e le dipendenze, e dunque collegare nel disegno di un sistema. Può apparire allora quasi paradossale notare come Saussure, nel suo sforzo di spiegare il fun- zionamento della lingua, si sia reso conto di quanto decisiva fosse la sua capacità di agire come sistema classificatorio. Ma sta proprio ac- cadendo in quegli anni che l’attenzione per i processi di classificazio- ne passa dal cassetto degli strumenti degli scienziati al tavolo dei fe- nomeni da studiare (si pensi anche all’interesse per i sistemi di classi- ficazione di società altre, testimoniato nei saggi pubblicati su L’Année

sociologique). In anni recenti, del resto, è tornata molto viva

l’attenzione per le forme di classificazione del sapere (studi sulle folk

taxonomies, costruzione partecipata di sistemi classificatori d’ogni ti-

po tramite il web…). Il fatto decisivo è che ci siamo resi conto che l’organizzazione sottostante a ogni sistema di classificazione esprime sempre un punto di vista socialmente costituiti.

Ciò che in effetti il nuovo modo di guardare pone in evidenza, e di cui ci fornisce una fondamentale spiegazione, è il modo in cui i siste- mi semiotici costruiscono un ordine là dove non ci sarebbero che «ne- bulose indistinte». Se è vero che la realtà extrasemiotica, “oggettiva”, non è che un caotico insieme di entità in mille modi diverse, l’atto or- dinatore dei sistemi semiotici, che istituisce l’ambiente di vita umano, consiste in primo luogo nel cancellare la più gran parte di quelle diffe- renze come irrilevanti, non pertinenti.

La “pertinenza” è il meccanismo che il sistema semiotico impiega per separare le differenze, selezionando tra tutte le poche che davvero contano, e Saussure ci ha spiegato come questo funzioni, con speciale evidenza per le unità del lato del significante – celebre in particolare l’esempio fatto sui grafemi (le lettere dell’alfabeto, in quanto modelli astratti). Ogni volta che tracciamo una certa lettera, come quando pro- nunciamo un certo fonema, molte delle caratteristiche dell’oggetto, vi- sivo o sonoro, corrispondono a variabili libere, e dunque non determi- nanti, non pertinenti. Quando tracciamo la lettera “t”, per riprendere l’esempio fatto da Saussure, siamo liberi di disegnarla più bassa e lar- ga o più alta e stretta, di fare il tratto verticale più rettilineo o più mor- bido, e così di seguito. Queste sono caratteristiche che l’oggetto grafi- co positivamente possiede, eppure non hanno effetto sulla sua identità.

Il tratto verticale in quanto tale, invece, ci vuole, e un trattino oriz- zontale che tagli a qualche altezza l’asta verticale ci vuole anch’esso: questi sono, appunto, elementi pertinenti. Ma perché questi e non altri

sono da considerare tali? La risposta è che l’identità dei segni è essen- zialmente negativa e differenziale: i caratteri pertinenti della lettera “t”, nell’esempio, sono quelli che ne garantiscono la sua identitaria

difformità. Una “t” è, in pratica, definita dal suo non-essere una “l”,

non-essere una “i”, e così via. Gli elementi che contano sono quelli che definiscono l’entità grafica non in positivo ma solo come oggetto

diverso dagli altri.

Si possono avere delle riserve sulla convinzione di Saussure per cui tale ragionamento possa essere condotto nello stesso modo sul lato del significato, ma in ogni caso anche l’area che un certo segno detiene sul piano del significato – quello che Saussure chiama il suo valore – dipende da un gioco di rapporti differenziali (si ricor- derà il bizzarro esempio fatto nel primo capitolo sull’ipotetica comparsa e scomparsa del termine di colore batirro, che porterebbe a mutare il valore dei termini di colore contigui). L’idea di Saussu- re è davvero radicale; giunge ad affermare: “Nella lingua non vi

sono se non differenze. Di più: una differenza suppone in generale

dei termini positivi tra i quali essa si stabilisce; ma nella lingua non vi sono che differenze senza termini positivi” (Saussure 1916: 145, corsivi nell’originale).

Questo modo di vedere aprì la strada a una vera rivoluzione concet- tuale, legata soprattutto a quella corrente di pensiero strettamente as- sociata alla semiotica che è stata, e di fatto è tuttora, lo strutturalismo. Il principio per cui l’identità di ogni entità semiotica dipende non da contenuti o caratteri positivi bensì da relazioni di carattere negativo- differenziale con altre entità, ci conduce verso una visione dei fatti semiotici profondamente de-materializzata, dove il disegno intangibile della rete relazionale prende risolutamente il primo piano, relegando su un livello secondario e poco rilevante quella superficie concreta e percepibile con cui gli oggetti ci si presentano. È questo il nodo con- cettuale profondo e decisivo che sta al centro del modello teorico saussuriano; è in questo senso che Saussure può affermare, a proposito del significante linguistico, che nella sua essenza esso non è affatto fonico: “è incorporeo, costituito non dalla sua sostanza materiale, ma unicamente dalle differenze che separano la sua immagine acustica da tutte le altre” (Saussure 1916: 144). Ed è su questa base che si stabili- sce il principio della relazione tra unità stabilmente codificate e loro occorrenze indefinitamente variabili. Ne vedremo tra poco alcuni e- sempi di applicazione.