• Non ci sono risultati.

La relazione topic/focus

La dimensione narrativa e patemica

8.4. La relazione topic/focus

Innanzi tutto una piccola precisazione terminologica: il termine fo-

cus, per il secondo elemento di questa coppia concettuale, è preferibile

al più usuale comment, che può comportare equivoci per l’associa- zione con idee di “commento” e di “aggiunta”. Il focus, invece, è la parte centrale e decisiva, dell’enunciato più semplice come del testo più complesso. Basilarmente, s’intende per topic il tema di cui si par- la, e per focus ciò che su tale tema si afferma. Esempio: nell’enunciato «La sorella di Giovanni non mi pare sincera» topic è “la sorella di Giovanni”, mentre la seconda parte della frase indica quale sia, in pro- posito, l’opinione di chi parla. Questa costruzione implica anche, si noti, che quanto è inserito nel topic sia, come si dice, informazione già

nota, nel senso che tanto chi enuncia quanto il suo destinatario sanno

chi è Giovanni, e che Giovanni ha una sorella: non è questo, dunque, il punto. Il topic corrisponde insomma alle conoscenze già disponibili e assunte come condivise: ragion per cui il suo interesse può risultare in molti casi propriamente secondario, tanto che spesso, nel parlare co- mune, lo si lascia addirittura implicito. Il focus corrisponde invece all’informazione nuova, alla parte decisiva in cui l’enunciatore espri- me le sue posizioni e le informazioni nuove.

La relazione topic/focus può prendere anche forme del tipo doman- da/risposta, oppure la sezione del topic può porre un problema, aprire un’alternativa, come in questo esempio: «Quanto ai modi di uscire della crisi, se sia meglio puntare sulla diminuzione del debito pubblico o sul sostegno dei livelli di consumo…»; il focus risponderà poi con la sua elaborazione argomentativa e la proposta della sua soluzione. In un saggio, il capitolo d’apertura presenta spesso il topic del libro in modo più ampio, non solo definendo l’argomento in modo dettagliato ma anche facendo il punto sullo stato delle ricerche precedenti, rias- sumendo le posizioni di altri studiosi… rispetto alle quali il libro pre- senterà, s’intende, proprie prospettive teoriche e nuovi risultati di ri- cerca (focus). Notiamo che, per quanto si tratti di enunciati argomen- tativi, è comunque valida una successione temporale: l’informazione nota e condivisa è presentata all’inizio, esattamente come abbiamo vi- sto valere per la costruzione narrativa. Quest’ultima è, certo, più com- plessa, ma sembra seguire grosso modo la medesima logica.

La fase iniziale del testo narrativo può presentarsi così come la parte meno propria al suo sistema valoriale, alla sua prospettiva sul mondo, al suo linguaggio: prima si espone ciò che è già noto, il pen- siero comune, le posizioni degli altri… o addirittura (si pensi all’ini- zio del Sesto Senso) la razionalità degli altri, il linguaggio metaforico che è usuale, i meccanismi semiotici che appaiono consueti: insom- ma, tutto ciò contro cui il testo prenderà poi la sua, innovativa, posi- zione. Ma questo corrisponde da vicino anche a ciò che abbiamo messo in luce più sopra, parlando di una prospettiva per la quale le architetture narrative sarebbero essenzialmente fondate su una corre- lazione tra un sistema di norme e il percorso personalmente compiu- to da un soggetto che molte volte, con quelle norme, entra in conflit- to (l’Infrazione del Divieto, si è capito, non è una funzione capitale soltanto nell’architettura fiabesca). Topicalizzare le regole costituite, i modelli e i linguaggi correnti, per poi focalizzare, a contrasto, il

percorso di un soggetto portatore di una visione originale, capace an- che solo di formulare un progetto che si muova fuori dei binari pre- visti, corrisponde in effetti a un meccanismo generatore di molti testi narrativi rilevanti (tra i primi esempi che possono venire in mente:

Truman Show, Romeo e Giulietta, Heart of darkness/Apocalypse now, Titanic, I Malavoglia, The Village…)

La costruzione narrativa, con la sua evidente disposizione per successioni temporali, vale dunque anche come struttura propriamen- te argomentativa, che pone nella parte iniziale del testo la definizio- ne di un topic del discorso, e in seguito presenta ed elabora le alter- native possibili, scarta quelle che risultano inaccettabili, giungendo nella sezione finale a presentare il suo focus, cioè la sua conclusione argomentativa. Per converso, potremmo del resto considerare la struttura testuale topic/focus come la base – quasi ovvia diremmo a questo punto – per un’elaborazione narrativa: porre un problema, una difficoltà da risolvere, citando magari esempi di chi prima di noi ha tentato l’impresa scientifica senza riuscirvi – esattamente come molti saggi scientifici fanno nei loro capitoli d’apertura – introduce anche in un testo che non diremmo propriamente narrativo una sorta d’in- treccio, uno sviluppo sintattico fatto di prove da superare, dimostra- zioni da esibire e riconoscimenti da ottenere – una storia, che ha la sola particolarità (e neanche sempre) di svolgersi unicamente sul pi- ano dei dati e delle idee, senza necessariamente mettere in scena un livello figurativo definito da personaggi e ambientazioni. A un certo livello di profondità strutturale, una struttura narrativa è, propria- mente, una struttura argomentativa, e forse anzi il modello primo, e- lementare, del modo in cui cerchiamo di costruire un ordine raziona- le per la nostra esperienza. E dicendo questo abbiamo la sensazione, quanto meno, di essere arrivati vicini alla radice più vera della narra- tività.

Abbiamo riscontrato però anche un altro modo, molto interessante, di costruire la relazione topic/focus, che dobbiamo porre accanto a questi e di cui dobbiamo sottolineare la rilevanza teorica. Parlavo ora di una struttura argomentativa, e di un modo per attribuire alla nostra esperienza un ordine in qualche modo razionale; si ripensi però al caso di Elephant, e alla lettura che abbiamo visto esserne fatta da parte di un campione di spettatori. Ci troveremmo di fronte a una funzionaliz- zazione delle componenti testuali – sicuramente riscontrabile in molti altri casi – per cui è affidato alla componente figurativa il compito di

definire un topic, attraverso la sua capacità di fare riferimento, se non necessariamente a un evento specifico, a un tipo di eventi, a un tema in maggiore o minor misura riconoscibile, mentre viene affidato alla componente plastica il compito di esprimere un focus, un’interpretazione e una determinazione di senso, che passa così per vie indirette ed implicite, per suggestioni e per strade intuitive, ma che non è per questo meno forte e decisiva dal punto di vista delle valenze semantiche. Certo, la natura plastica dell’espressione del focus ne fa risaltare l’impossibilità di una traduzione in parole, un carattere sfug- gevole e ineffabile che contrasta con la definizione figurativa, che po- tremmo dire anzi quasi descrittiva, del topic.

Nel caso di Elephant, non si tratterebbe tanto dell’indicazione precisa del singolo episodio di cronaca quanto di un più ampio «A proposito di quei fatti che si ripetono nelle nostre scuole, nelle nostre città, negli spazi più sociali e educativi della nostra civiltà, e che ci colpiscono per quanto ci appaiono tragici e inspiegabili…». Questa, grosso modo, la definizione dell’oggetto di discorso operata dalla componente figurativa. Ma è soprattutto la componente plastica a ri- spondere, facendoci percepire che ciò che ci sembra privo di senso e di una qualsiasi ragionevolezza, a livello di possibili spiegazioni in termini di logica umana, sia in effetti, sì, davvero inspiegabile, e anzi propriamente impensabile, nei termini di un pensiero e di una forma di progettazione umani, ma che ci sia, al di là di questo, un ordine che possiamo soltanto confusamente avvertire, il cui senso non sap- piamo dire, che in mancanza d’altri nomi chiamiamo “destino”: qualcosa che arriviamo solo ad intuire, ma che intreccia le nostre vite al di là della nostra consapevolezza, e in dipendenza del quale non ci dividiamo, come sembrerebbe, in carnefici e vittime, in soggetti di una programmazione narrativa e oggetti che subiscono l’azione, ma siamo a conti fatti tutti vittime, e tutti oggetti della sua oscura ma i- nesorabile programmazione.

Può venirci il dubbio, a questo punto, che siano di fatto moltissimi i testi che, in ogni campo della produzione artistica, impiegano questa logica di spartizione funzionale dei compiti tra le due componenti, fi- gurativa e plastica, sia pure s’intende in modi non rigidi e non sche- matici. Si tratta certo di una tipologia di costruzione testuale da esplo- rare attentamente, ma che tra l’altro riprende in un nuovo e interessan- tissimo modo la distinzione tra una dimensione oggettiva (come quella che abbiamo definito “descrittiva”) e una dimensione soggettiva, e so-

prattutto, come in questo caso è del tutto evidente, la distinzione tra un piano di prospettive e progettualità umane e una forza superiore che in qualche modo domina il piano delle destinazioni.