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Sulla trasversalità delle categorie plastiche Un esempio

Alcuni punti chiave per la semiotica visiva

5.4. Sulla trasversalità delle categorie plastiche Un esempio

Qualche anno fa, un gruppo di studenti in un mio corso di Teoria

della narrazione decise di condurre un piccolo studio sul film Ele- phant di Gus Van Sant. Il film, uscito nel 2003, riprende un evento di

cronaca che aveva generato una forte impressione: la strage compiuta qualche anno prima da due studenti nei confronti di compagni e pro- fessori nel liceo di Columbine, negli Stati Uniti. Il film, giudicato da molti critici affascinante e sconvolgente, aveva colpito i miei studenti, i quali percepivano nel testo un’intensità di senso che non sapevano bene a cosa riferire: al contrario di quanto ci si sarebbe potuti aspetta- re, il film non cerca infatti in alcun modo di formulare una “spiega-

zione” dei fatti. La gelida esposizione degli eventi si inserisce in una dettagliata presentazione della vita degli studenti del campus; apparen- temente, non vi è molto di più. Eppure, i miei studenti sostenevano che a quei fatti il film un senso lo attribuiva, e che nell’esperienza de- gli spettatori questo veniva chiaramente percepito, pur se non pareva corrispondere a nulla che nella storia fosse “detto”, e neppure raccon- tato dalle immagini (dunque, diremmo, a nulla che passasse propria- mente dai livelli di rappresentazione figurativa). Il modo in cui il film guardava ai fatti, e ce ne restituiva l’interpretazione, corrispondeva se- condo loro a un’espressione sintetica, ma decisamente interessante: “il senso del destino”, dicevano, intendendo che alla spiegazione dei comportamenti era sostituita l’idea, difficilmente traducibile in parole, di qualcosa di ineluttabile e in qualche modo trascendente rispetto al pensiero e alla volontà dei soggetti coinvolti. La cosa importante non era comunque, a questo punto, arrivare a una migliore elaborazione di queste indicazioni interpretative, bensì avviarsi a identificare i modi in cui il testo avesse potuto farle sorgere.

Procedemmo in due modi, da un lato guardando al testo cinemato- grafico per cercarvi gli elementi che potevano appunto avere determi- nato questi effetti di senso (un’analisi per quanto possibile sistemati- ca), dall’altro lato guardando agli spettatori, cioè agli studenti stessi, cercando di ricostruire i punti decisivi del passaggio dalla fruizione del testo alla formulazione delle loro valutazioni (poteva trattarsi qui anche solo di piccoli indizi rivelatori).

Sul primo versante, vennero alla luce sei elementi rilevanti, indivi- duati come possibili modi per suggerire, in un film, il senso dell’ineluttabilità del destino:

1. Costruzione narrativa fondata su diverse linee che si incrociano, ciascuna facente capo a uno o più personaggi non immediatamente legati ad altri (modalità narratologicamente rilevante, di cui sareb- be molto interessante indagare l’impiego da parte di diverse opere cinematografiche, soprattutto americane).

2. Inserimento di ripetizioni non giustificate: accadono più volte epi- sodi, anche micro-episodi se vogliamo, di andamento molto simile, benché l’iterazione dipenda da fattori casuali.

3. Si sottolinea lo svolgersi di un’interazione visiva tra i personaggi, enfatizzando in varie situazioni dei lunghi, significativi sguardi che alcuni personaggi fissano su altri, senza che questo possieda alcu- na giustificazioni diegetica.

4. Sono frequentemente usati movimenti circolari e avvolgenti. Que- sto è un tratto di natura topologica, che tuttavia opera una forte connessione tra la dimensione spaziale e temporale. Ci si riferisce soprattutto al movimento della macchina da presa, che spesso si muove disegnando cerchi che insistentemente avvolgono i perso- naggi.

5. Uso di una scansione ritmica lenta ma regolare (il destino, sembra, quanto più è inesorabile tanto più procede secondo tale scansione temporale)

6. Si fa in modo da fornire allo spettatore la sensazione di poter anti- cipare gli eventi, di sapere prima ciò che sta per accadere.

Questo elenco di soluzioni espressive, pur sommariamente accen- nato, può dare un’idea del modo in cui il testo filmico costruisce il suo senso. Si potrebbe dire che alcuni dei punti citati abbiano più a che vedere con aspetti della costruzione narrativa, mentre altri corrispon- dono chiaramente a categorie “plastiche” del linguaggio cinematogra- fico. Sostanzialmente, però, come nel quadro di Degas prima citato, non è molto importante quello che il film ci sta mostrando (e che per gran parte della sua esposizione è a rigore un seguito di fatti decisa- mente banali). L’effetto di senso non sorge tanto dagli eventi che sono raccontati quanto dal modo in cui l’esposizione è allestita. Come so- stenevano gli studenti, pur con qualche esagerazione, in fondo qualsi- asi cosa fosse in quel modo stata raccontata, avrebbe generato quello stesso effetto semantico che rimandava all’ineluttabilità del destino.

Dall’altro lato, venne in luce l’elemento decisivo che aveva messo gli studenti sulla strada della loro interpretazione del film. Cosa inte- ressante: non era nulla di ciò che il testo narrava, né nulla di ciò che sullo schermo avevano visto, bensì l’uso nella colonna sonora di un brano musicale di fortissima suggestione, il celeberrimo movimento iniziale della sonata op. 27 n. 2 di Beethoven – il famoso Chiaro di

luna (riferimento figurativo discutibile, e ovviamente non ascrivibile

all’autore). Questa musica, prima ancora di ogni altro elemento, sem- brava portare nel film la sensazione dell’ineluttabilità del destino.

Provammo allora a vedere cosa poteva esserci, nella musica, che in qualche modo corrispondesse a quanto era stato detto per il film. E co- sì furono individuati i seguenti caratteri:

a. Ripetizione inusuale di note e strutture musicali. Il brano è, se vo- gliamo, genialmente monotono, per il ritmo costante dell’accompa-

gnamento, che inizia a scandire regolarmente il tempo prima della comparsa della melodia, e non si interrompe mai fino alla fine, co- me il ticchettio di un orologio misterioso e inquietante. Anche la cellula che regge la linea melodica, però, si ripete con evidente e in- solita insistenza. E a sua volta prevede, all’interno, la ripetizione i- niziale di sei volte la stessa nota.

b. Il ritmo è lento, regolare quasi ai limiti dell’ossessivo. Inarrestabi- le, quasi meccanico nella sua insistenza.

c. Veniamo all’effetto di movimento circolare. Abbiamo detto che la base di quello che tradizionalmente si dice “accompagnamen- to” è in questo brano regolare e ininterrotta, e abbiamo parlato di una sorta di orologio che scandisce inarrestabile ogni momento del brano. Tuttavia è importante aggiungere che la costruzione ritmica di questa base è fondata su gruppi di “terzine”, cioè sulla piccola irregolarità di tre note collocate nel tempo calcolato per due. In pratica, l’effetto è di una sorta di movimento circolare, come una piccola ruota che continuamente parte dal basso e sale, e poi riparte dal basso, e così via, in un movimento avvolgente e senza limite.

d. L’invenzione più geniale è però quella di costruire la cellula me- lodica principale su un piccolo meccanismo di anticipazione: viene cioè fatta suonare una nota collocandola, per così dire, leg- germente fuori tempo, troppo presto, nello spazio tra la battuta che sta chiudendosi e prima dell’inizio della nuova battuta. Que- sta nota anticipa quella che dovrà essere suonata, regolarmente, a

tempo, all’inizio della battuta successiva, in modo che agisce co-

me una specie di suggerimento all’ascoltatore, un preannuncio di quale nota sta per essere suonata. Un attimo prima, l’ascoltatore sa cosa sta per accadere – o più precisamente, diremmo, sente quello che sta per sentire.

Dei sei caratteri indicati prima, la musica ne possiede dunque al- meno quattro (restano fuori i punti 1 e 3, che sembra in effetti difficile rendere in musica). Quello che ci colpisce è proprio la centralità di questa corrispondenza, che per i nostri spettatori è stata la chiave pri- ma che ha reso possibile l’inizio della loro analisi del testo. Opera mu- sicale e opera cinematografica – pur del tutto irrelate sotto altri punti di vista – generano un effetto di senso notevolmente analogo, perché impiegano tratti simili dal punto di vista del loro “allestimento plasti-

co”. Questo ci conferma che alla loro radice, e nella loro definizione profonda, le componenti plastiche sembrano ancorarsi a un livello soggiacente, forse primario, almeno in parte collocato al di là dei modi di costituzione specifica dei singoli sistemi semiotici.

Riprenderemo brevemente più avanti le indicazioni che questo e- sempio può fornirci in termini di strutture testuali, e della relativa spartizione funzionale che può interessare le componenti d’ordine fi- gurativo e d’ordine plastico, ma rileviamo ora come questa constata- zione del carattere primario e trasversale delle componenti plastiche offra una qualche conferma anche a un altro principio della nostra co- struzione teorica. Vediamo infatti che anche gli autori originali – e nel caso in questione possiamo davvero parlare anche di un autore collo- cato ai massimi livelli dell’originalità creativa – fanno comunque rife- rimento anche a moduli semiotici definiti su un livello ben più genera- le rispetto alla dimensione propriamente testuale dell’opera che vanno componendo. Tanto Beethoven quanto Gus Van Sant lavorano a parti- re da una struttura espressiva già esistente, e si noti che ciò non limita per nulla ai nostri occhi il valore del testo da loro creato. Questa os- servazione ci porta al nodo decisivo, per il mantenimento del nostro modello teorico: quanto, nell’analisi della testualità a base analogica, possiamo sostenere di trovarci effettivamente di fronte a modelli a- stratti e in qualche misura generali, che si proiettano nei testi in occor- renze specifiche, e quanto invece ci troviamo di fronte a creazioni uni- che, che in quanto tali sfuggirebbero in certa misura alla presa della nostra prospettiva “neoclassica”? Il confronto trasversale ora operato tra cinema e musica sembra portare qualche elemento a nostro favore, ma non è sufficiente. Proviamo allora a esplorare una strada che a prima vista sembrerebbe, con il nostro modello, manifestamente in- compatibile.