III. IL NOVECENTO: SECOLO DI GUERRE TOTALI.
3. Lo jus in bello fra le due guerre mondiali: l’analisi di Balladore Pallieri.
3.1 Belligeranti e non belligeranti: i limiti della violenza bellica.
Interpretando le norme del diritto bellico vigente, se ne trae un primo e fondamentale principio: esso «non ammette certo soltanto misure eccezionali contro le forze armate avversarie, ma anche contro i sudditi nemici sebbene con molti maggiori limiti e in misura ben più tenue»351
. Dunque, la distinzione fra belligeranti e non belligeranti attuata dal diritto internazionale non va intesa nel senso che la violenza bellica sia consentita solo contro i primi e che i secondi ne siano risparmiati; al contrario, tale distinzione ha il significato di consentire un uso diversificato della violenza contro gli uni e contro gli altri.
[…] da un lato non può contestarsi che è necessario che verso i [non belligeranti] sia assai limitata la possibilità dell’uso di quei mezzi di distruzione leciti nei confronti dei belligeranti; e d’altra parte nemmeno può negarsi che la guerra riesce
350
Per fare alcuni esempi, citando testi alcuni dei quali saranno oggetto della nostra indagine, troviamo riferimenti e rimandi all’opera del giurista in: Antonio Messineo S.I., Il diritto internazionale nella dottrina cattolica, Edizioni la «Civiltà Cattolica», Roma, 1944; Pietro Nuvolone, La punizione dei crimini di guerra e le nuove esigenze giuridiche, Edizioni della Bussola, 1945; Giuseppe Vedovato, Diritto internazionale bellico. Tre studi: La punizione dei crimini di guerra, G.C. Sansoni, Firenze, 1946; Salvatore Lener S.I., Crimini di guerra e delitti contro l’umanità. Lineamenti di dottrina e spunti critici, Edizioni la «Civiltà Cattolica», Roma, 1948; Carlo Miglioli, La sanzione illegittima nel diritto internazionale, Casa Editrice “Atlantica”, Roma, 1950; nonché, un preciso rimando all’opera di Balladore Pallieri è rintracciabile anche nella sentenza del 1948 contro Herbert Kappler.
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efficace soltanto se rivolta non solo contro le forze armate, ma contro tutta l’organizzazione e le risorse dello Stato nemico, tra cui principalissima la sua popolazione352.
Il diritto bellico, nell’ottica di Balladore Pallieri, non vieta di portare violenza alle popolazioni civili, bensì riconosce agli Stati in guerra la possibilità di nuocere ad essi. Pur essendo questa la lettera delle disposizioni dello jus in bello, è significativo notare come il giurista non metta in evidenza l’intento limitativo delle convenzioni sugli usi di guerra; con un approccio tutto suo, l’autore mostrerà, invece, le lacune all’interno delle disposizioni, per trovare conferma della quasi totale libertà degli Stati in ogni ambito relativo alla guerra. In questo caso specifico, la norma relativa alla distinzione fra belligeranti e non belligeranti non viene interpretata nel senso che i secondi trovano in essa una forma di tutela in caso di conflitto; bensì, si avverte che, pur sussistendo dei limiti precisi oltre i quali non si può andare nel fare violenza ai civili, è lecito – nonché utile ai fini bellici – estendere il campo d’azione alla sfera dei non belligeranti. Sarà interessante notare questo particolare approccio anche nelle successive interpretazioni dell’autore circa il diritto bellico. Adesso veniamo a definire più nel dettaglio in cosa consista la violenza bellica che lecitamente può essere utilizzata contro persone private.
La violenza bellica, oltreché esercitarsi […] contro i belligeranti avversari […] può altresì in alcune ipotesi esercitarsi nei confronti dei privati e di cose private, per la utilità che indirettamente ne deriva ai fini della lotta contro i belligeranti avversari; onde la lotta continua sempre ad essere contro questi ultimi rivolta, sebbene direttamente colpisca i privati e le loro cose353.
Insomma, la violenza contro altri che non siano appartenenti alle forze armate è consentita solo per una concreta esigenza bellica e non per qualsivoglia altro motivo.
Ricordiamo però come l’appello alla necessità bellica apra un ventaglio infinito di possibilità, in cui portare violenza alle popolazioni civili non rappresenta un illecito.
Lo stesso Balladore Pallieri dedica uno speciale paragrafo all’esame dei casi in cui, anche solo «incidentalmente», privati cittadini possono essere vittima delle operazioni belliche. Se il civile è tutelato da azioni compiute dai belligeranti volte a colpire direttamente la sua persona e le sue proprietà, non si può dire la medesima cosa nel caso della violenza bellica per lui incidentalmente dannosa. In quest’ultimo caso, le possibilità che il civile rischi di essere vittima della violenza bellica, sembrano ampliarsi notevolmente.
Vediamo gli esempi tratti dal testo del giurista.
352
Giorgio Balladore Pallieri, La guerra, p. 167.
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Alla specie di azioni belliche in cui indirettamente si attenta alla vita dei civili appartengono i bombardamenti, «i quali, specie quando sono assai intensi, colpiscono tutto ciò che si trova entro una data zona, senza possibilità di distinguere tra cose o persone […]»354
.
Il bombardamento rivolto, durante una battaglia, contro la zona in cui si trova il belligerante avversario con cui quella è ingaggiata, è pienamente consentito, qualunque sia il danno che altri abbiano a soffrire. Del pari è consentito il bombardamento di una città nella quale si difenda l’esercito avversario, ed anche se non si riesce a localizzare i punti dai quali la difesa è prestata355.
Così Balladore Pallieri interpreta l’articolo 25 della Convenzione dell’Aja del 1907, il quale vieta di bombardare città, villaggi e abitazioni non difese; ogni città, villaggio o semplice abitazione che possa difendersi, può divenire un possibile – e lecito – bersaglio di bombardamenti, non rappresentando un ostacolo la presenza di civili.
Del pari, Balladore Pallieri, riprendendo la lettera delle disposizioni dell’Aja, nota come – a conferma del fatto che i bombardamenti possano esercitarsi in una molteplicità di siti – le stesse convenzioni internazionali citano soltanto i pochi luoghi in cui il bombardamento non è consentito.
Anche le convenzioni internazionali si sono messe per questa via che è sola conforme alle odierne esigenze belliche, e non già indicano le parti di una città contro le quali il bombardamento può essere diretto, ma invece quelle poche contro le quali non può essere diretto, onde tutte le altre che sono le più numerose ed eccedono di assai le sole opere di difesa, possono essere oggetto di questa specie di violenza bellica356.
In effetti, lo stesso articolo 27 della Convenzione dell’Aja – «Negli assedi e bombardamenti devono essere presi tutti i provvedimenti necessari per risparmiare, quanto è possibile, gli edifici consacrati al culto, alle arti, alle scienze, alla beneficenza, i monumenti storici, gli ospedali ed i luoghi ove trovansi riuniti gli ammalati e i feriti, a condizione che essi non siano adoperati in pari tempo a scopo militare. […]» – oltre ad elencare gli edifici e i luoghi, si afferma che essi devono essere risparmiati dai bombardamenti per quanto sia possibile. A Balladore Pallieri non sfugge questa eccezione:
Dunque contro questi solo limitatissimi luoghi ed edifici non può la violenza bellica essere esercitata; inoltre l’obbligo sussiste solo nella misura del possibile, e per di più solo se quelle località non siano in pari tempo impiegate ai fini militari357.
L’autore mette poi in evidenza come sia difficile, nella pratica, rispettare l’articolo 27, il quale, a sua volta, sembra prestarsi a cattive interpretazioni:
354 Giorgio Balladore Pallieri, La guerra, p. 256. 355
Ivi.
356
Ibid., p. 258.
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Non sembra tuttavia che questa norma [art. 27], durante l’ultima guerra, sia stata osservata scrupolosamente quanto avrebbe dovuto […]. Del resto le stesse eccezioni che la Convenzione medesima prevede, e che pure sono inevitabili, possono dar luogo facilmente ad abusi358.
Anche l’articolo 26 della medesima Convenzione non è immune da ambiguità, che a dire del giurista, ne minano l’efficacia.
Assai difficilmente applicabile e di ben scarso valore è apparsa nei tempi più recenti anche l’altra restrizione, posta dalle convenzioni dell’Aja nell’art. 26, ove si dice che il comandante delle truppe prima di intraprendere il bombardamento, e salvo il caso di attacco a viva forza, deve fare tutto ciò che da lui dipende per avvisare le autorità359.
Per il giurista, anche in questo caso, per aggirare la norma – ossia, non notificare l’inizio dei bombardamenti – si può fare appello alle necessità militari.
La facilità con cui si può oggi improvvisare una difesa, rapidamente trasportando i mezzi idonei, la necessaria celerità con cui ogni operazione bellica ha da essere compiuta, rendono oggi quasi sempre sussistenti quelle necessità belliche che consentono di tralasciare la notificazione: uno degli ultimi bombardamenti preceduti da notificazione fu quello tedesco di Anversa nel 1914; e qui si rivelò anche un’altra difficoltà: quella di riuscire a far pervenire la notificazione alla città investita360.
Accanto al bombardamento, le stesse disposizioni dell’Aja collocano l’assedio. Anche per questa specie di operazione militare, vengono fatte valere le medesime disposizioni circa l’obbligo di risparmiare luoghi ed edifici civili non utilizzati a scopi militari. È interessante porre attenzione ad un esempio fatto dall’autore in relazione all’assedio e alla tutela riservata ai civili in questa eventualità. Da quest’esempio sarà possibile trarre la conclusione che ben poche sono le garanzie per i civili, qualora vengano fatte valere le necessità belliche.
Infine è sicuramente da negare la sussistenza di alcun obbligo di concedere ai non belligeranti la uscita da una piazza assediata. Cotesta concessione potrebbe, specie nel caso di scarsezza di viveri nella città assediata, essere assai dannosa all’assediante, e prolungare di molto l’assedio. Perciò anche quando interi gruppi di non combattenti vengono cacciati a forza fuori della città dai difensori di questa, le truppe assedianti possono respingerli, e obbligarli a rientrare sparando contro di loro, per quanto penosa possa essere la loro condizione. Il caso si verificò non raramente; particolarmente noto quello di Metz quando migliaia di persone uscirono dalla città assediata per passare attraverso le linee prussiane. I prussiani le respinsero con le armi, come non potevano esimersi dal fare, per ottenere la resa per fame della città361. In base alla necessità militare, che in ultima istanza è necessità di concludere più in fretta possibile le ostilità, tutto è sostanzialmente concesso. Nel caso del bombardamento, come per altre fattispecie, viene fatta valere un’unica norma, ossia quella che impone un rapporto di proporzione tra l’obiettivo che si spera di ottenere e i danni superflui che si arrecano.
358 Giorgio Balladore Pallieri, La guerra, p. 259. 359
Ivi.
360
Ivi.
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[…] è necessario che gli oggetti la cui distruzione è consentita e alla quale si tende, si trovino in una certa quantità, o presentino una notevole importanza ai fini bellici perché il bombardamento possa legittimamente venire effettuato, ed è questo il criterio seguito anche nella pratica, poiché è su questo rapporto di proporzione, determinabile solo in ogni singolo caso concreto, che i belligeranti hanno sempre basato le loro argomentazioni per giustificare il proprio operato362.
Anche in questo caso, però, Balladore Pallieri non può non evidenziare la fragilità di un tale principio.
Certo, il criterio è tutt’altro che preciso, e inoltre non venne sempre interpretato nello stesso modo363.
Come la necessità bellica364, anche il rapporto di proporzione si presta alle più soggettive
interpretazioni, che rendono, in ultima analisi, inefficaci le norme che dovrebbero regolarlo.
Come abbiamo potuto notare, ben poche sono le tutele di cui i civili possono godere: in nome dell’esigenza bellica, le loro proprietà e le loro vita possono essere violate.
La labilità del confine che separa la sfera dei belligeranti da quella dei non belligeranti è resa ancor più evidente dalla definizione comunemente accettata di teatro di guerra. Se con quest’ultimo si intendono «le località ove le operazioni belliche, e cioè, in genere, […] le operazioni e le misure divenute lecite per effetto del sorgere dello stato di guerra, possono svolgersi nei confronti del belligerante avversario»365, vediamo che, nel concreto, esso si estende per quasi la totalità dei
territori degli Stati in lotta. Infatti, secondo la norma, soltanto i territori sottoposti alla sovranità di uno Stato neutrale e, più in generale, nei territori neutralizzati, le operazioni belliche non sono consentite.
In tutti gli altri territori che non cadono sotto uno dei due divieti anzidetti, possono essere compiute operazioni belliche, e pertanto possono da ogni Stato venire compiute sia nei suoi territori, sia in quelli dello Stato avversario, non sussistendo più in tempo di guerra l’obbligo di rispettare la sovranità territoriale dell’avversario, sia in alto mare, sia nei territori nullius366.
Come nel caso dei bombardamenti, per i quali la Convenzione dell’Aja del 1907 stabilisce i pochi luoghi che devono essere risparmiati, così, anche nel caso delle operazioni belliche in generale, si citano esclusivamente i territori nei quali esse non possono essere effettuate.
362
Giorgio Balladore Pallieri, La guerra, pp. 261-262.
363
Ibid., p. 262.
364 Per una trattazione più specifica dell’ambiguità insita nel concetto di necessità militare, vedi p. 69 del presente
lavoro.
365
Giorgio Balladore Pallieri, La guerra, p. 184.
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Quelli che vanno specificati non sono, pertanto, i territori dove le operazioni belliche si possono compiere, ma quelli ove non si possono compiere, poiché, all’infuori di quelle due specie di territori prima esaminati [Stati neutrali ed aree neutralizzate], le operazioni belliche sono lecite ovunque367.
Dopo aver valutato come il diritto internazionale regoli il dispiegamento delle ostilità, appare evidente come nessun luogo o persona possa dirsi al riparo dalla violenza bellica. L’estensione del teatro di guerra a quasi la totalità dei territori degli Stati in lotta, rende evidente come i civili siano impossibilitati a sfuggire alla violenza bellica. Se riprendiamo la definizione clausewitziana di teatro di guerra368, è evidente come lo scarto con quella attuale sia notevolissimo. Al tempo delle
guerre napoleoniche, le operazioni militari avvenivano all’interno di un luogo circoscritto, che corrispondeva, grossomodo, al campo di battaglia. I civili, ai quali era interdetto l’accesso ad esso, tutt’al più potevano subire le conseguenze indirette del conflitto; ad esempio, saccheggi e devastazioni, spesso legati al problema dell’approvvigionamento delle truppe. Le stesse armi utilizzate raramente riuscivano a colpire obiettivi che andassero oltre i confini dei campi di battaglia.