III. IL NOVECENTO: SECOLO DI GUERRE TOTALI.
1. Dallo jus publicum europaeum alla guerra giusta: il percorso italiano.
1.2 Vittorio Emanuele Orlando: l’uomo politico di fronte al «monumentale cimento».
1.2.2 La guerra giusta e necessaria: fra rivendicazioni territoriali e difesa della civiltà.
Ora, come allora, l’Italia non vuole di più, ma non può volere di meno di questo: il compimento della sua unità nazionale e la sicurezza dei suoi confini verso terra e verso mare274.
Il possesso di Trentino, Tirolo meridionale, Trieste, Istria e Dalmazia, rivendicato già nelle carte del segreto Patto di Londra, oltre a garantire sostanziosi vantaggi strategici, rappresenterebbe una sorta
271 V. E. Orlando, La guerra giusta e necessaria (Palermo, 24 novembre 1915), in Discorsi, p. 26. Sono definite
dall’autore «generose utopie» «le seducenti teorie sulla solidarietà umana e la fede che con la scorta dei principi di una suprema giustizia immanente si potessero senza più violenza comporre le grandi competizioni mondiali».
272 V. E. Orlando, I problemi del dopo-guerra e la situazione politica e militare (Senato del Regno, 4 marzo 1918), in
Discorsi, p. 167.
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V. E. Orlando, Il terzo anniversario della guerra d’Italia (Roma, 24 maggio 1918), in Discorsi, p. 197.
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di completamento del ciclo risorgimentale d’indipendenza. La guerra viene inserita dunque in un più vasto disegno, che conferisce alle bieche rivendicazioni territoriali il più alto stigma della sacralità del fine:
Dovevamo, ad un tempo, sciogliere il voto del compimento dell’unità nazionale, sacra eredità trasmessaci dai nostri padri, dagli apostoli, dai martiri del nostro Risorgimento, e assicurare le condizioni prime ed essenziali della nostra esistenza come Stato indipendente, e, perciò sicuro ne’suoi confini […]275
.
Per evitare che il compimento dell’unità nazionale apparisse come piccola cosa rispetto agli enormi sacrifici che il conflitto richiedeva, Orlando, in occasione dei suoi discorsi pubblici, si premurò sempre di affiancare agli interessi nazionali ancora più alti motivi internazionali, che rendevano la partecipazione al conflitto un imperativo morale276. La volontà di inserire lo sforzo bellico del
popolo italiano nel più vasto conflitto internazionale contro un nemico oppressore dei popoli e della civiltà in generale è sempre presente e viva nelle parole dello statista.
Questa guerra apparve, quando fu proclamata, come la prosecuzione delle guerre del Risorgimento. Il popolo intese di combattere ancora per la sua unità e per la sua indipendenza, pei fratelli della stessa lingua, dello stesso sangue, della stessa anima, gravati tuttora da quel giogo insopportabile che opprime e soffoca le più alte aspirazioni dei più nobili popoli: di combattere per ottenere meno iniqui confini, che gli assicurino l’esistenza contro la secolare minaccia, che sembra stare in perpetuo agguato dai monti e dal mare.
Ma nel corso di questi tre anni di guerra […] bene è venuta l’Italia avvertendo che le aspirazioni particolari, anche le più giuste, le rivendicazioni nazionali, anche le più sante, divengono episodi in questo gigantesco conflitto, nel quale, più che pei singoli popoli, sembra si combatta per l’umanità intera, più che per l’esistenza di una Nazione sembra si combatta per l’avvenire e le sorti del mondo277
. E ancora:
[…] dovevamo, al fianco dei popoli iniquamente aggrediti, difendere la libertà di tutti e la giustizia per tutti contro la violenza egemonica di un solo; dovevamo, insomma, rischiare la vita per salvare le ragioni della vita, sotto pena di incorrere nella nostra squalificazione morale278.
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V. E. Orlando, La Vittoria (Camera dei deputati, 20 novembre 1918), in Discorsi, p. 276. Vedi anche A. Salandra, I discorsi della guerra, Fratelli Treves Editori, Milano, 1922, dove è costantemente presente il tema del legame ideale fra Risorgimento e Grande Guerra. Salandra vede anche nell’attuale guerra contro il nemico germanico una reviviscenza delle guerre barbariche: «Con tragica fatalità si riproducono i ricorsi di una storia due volte millenaria. Gli eterni nemici della gente nostra, raccolte le forze sotto una ferrea unità di comando, sono quei medesimi che fronteggiammo con alterna secolare vicenda. Orde di Alemanni, di Ungari, di Tartari corrono di nuovo le terre tante volte contese su cui Roma impresse indelebili i segni della civiltà latina» (p. 143).
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Ne I discorsi della guerra di Salandra, è interessante notare lo scarto fra i discorsi del periodo immediatamente precedente all’entrata in guerra e dei primi mesi del conflitto, e quelli successivi alla metà del 1916 fino agli anni Venti: nei primi, durante i quali Salandra era a capo del Governo, si nota come l’accento fosse posto esclusivamente sugli apporti territoriali che la vittoria della guerra avrebbe garantito; nei secondi, in seguito alla violenta offensiva austriaca nel Trentino che portò alle dimissioni dello stesso Salandra e, ancor più, in seguito al disastro di Caporetto, notiamo come si fanno insistenti i richiami agli «altissimi ideali» (p. 149) che dovevano ispirare lo sforzo bellico italiano.
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V. E. Orlando, Il terzo anniversario della guerra d’Italia (Roma, 24 maggio 1918), in Discorsi, p. 197.
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La guerra contro il nemico, rappresentato dagli Imperi Centrali, assumeva quindi il carattere di una missione – se non di una crociata – il cui obiettivo era la protezione dei popoli oppressi e il ristabilimento dei principi di civiltà e giustizia. «Sacro, quanto altro mai, è, dunque, il fine della nostra guerra»279
. Così forte era la volontà di dipingere la partecipazione al conflitto dell’Italia come ineludibile per il compimento di più alti disegni, che Orlando, a pochi mesi di distanza dalla dichiarazione di guerra all’Austria (e dal Patto di Londra), si spinse fino a dichiarare che l’intervento italiano non era subordinato a nessun tipo di compenso, bensì dovuto a «nobiltà generosa» e disinteressata solidarietà:
Nella nobiltà generosa della sua determinazione, nella fierezza consapevole del suo grado di grande potenza, l’Italia non subordinò il suo intervento a soccorsi o a compensi, verso i quali l’azione sua debba corrispondere, come se fosse un corrispettivo. Essa invece ha fatto e farà per la causa comune ogni sacrificio: ma lo farà per il suo libero e spontaneo apprezzamento di quel che meglio giovi alla causa comune senza altro limite che questo: il vincolo di solidarietà determinato dalla comunione del fine280.