III. IL NOVECENTO: SECOLO DI GUERRE TOTALI.
2. Organismi sovranazionali ed eliminabilità della guerra: progettualità del primo dopoguerra.
2.1 Luigi Sturzo: oltre la sovranità statale, verso la pace.
Il fatto più importante della politica internazionale dopo la grande guerra del 1914-18 è la costituzione della Società delle Nazioni e il tentativo di sostituire alla guerra un sistema organico e permanente per la soluzione pacifica delle vertenze tra gli Stati. Siamo solo all’inizio di quel che può presumersi sarà un grande fatto nella storia: la costituzione della Società delle Nazioni […]313.
Con queste parole, che tradiscono una certa soddisfazione, si espresse Luigi Sturzo nel 1929, in relazione alla nascita del nuovo organismo internazionale.
312
V. E. Orlando, Il processo del Kaiser, p. 97.
313
Luigi Sturzo, La comunità internazionale e il diritto di guerra, [ed. orig. 1929], Edizioni di storia e letteratura (collana Opera omnia di Luigi Sturzo a cura dell’Istituto Luigi Sturzo), Roma, 2003, p. 3.
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Nonostante l’autore sia consapevole che la Società delle Nazioni sia «ancora debole, e il sistema incerto» e che «permangono tuttora […] gli elementi precostituivi di ogni guerra» – in quanto sussistono sia la figura giuridica della guerra come un diritto dello stato, sia l’organizzazione politico-militare degli stati moderni – egli ritiene che la creazione di un tale organismo rappresenti una tappa epocale nell’evoluzione del diritto internazionale. L’autore è anche conscio del fatto che «l’opinione politica oscill[i] tra la fiducia e la diffidenza verso la Società delle Nazioni e le correnti politiche [siano] divise tra favorevoli e contrari»314.
Sturzo non ha problemi ad inserirsi fra quei commentatori disposti a dare fiducia ad ogni tentativo volto a dare una migliore organizzazione al sistema attuale degli Stati e ottimisti sulla possibilità di una futura eliminazione della guerra.
Valutiamo, adesso, il percorso argomentativo seguito dall’autore.
Sturzo, nel delineare il processo evolutivo del diritto internazionale, segue le linee della tradizionale teoria che abbiamo conosciuto grazie a Schmitt, che vede nel venir meno dell’autorità di Papato e Impero la nascita della fase moderna dello jus gentium. Il centro di gravità politica si trasferisce, dunque, dai due secolari poteri alla nuova entità politica, lo Stato.
L’autore non può non contraddire la tenace e sempre attuale tendenza a considerare lo Stato come la forma di organizzazione umana più naturale e perfetta, come se la sua genesi e il suo sviluppo non avessero risposto a particolari esigenze e non si collocassero in un preciso momento storico.
[…] la società politica, nella forma di stato moderno, non solo è concepita come prevalente su tutte anche su quella familiare, ma ritenuta perfino unica fonte di diritto e di autorità, limite di ogni altra società umana. Tutto ciò contiene delle esagerazioni e degli errori: nel fatto, ogni relazione umana costante dice una ragione costante di società; è naturale che la società familiare sia fondamentale e prevalente nella sua essenza, se non nel suo tipo. Invece, la formazione della società politica è storicamente tardiva, sorta quando altri elementi sociali sono maturati per dar luogo a determinati rapporti sociali che noi chiamiamo politici315.
La volontà che Sturzo afferma è quella di sganciare l’organismo statale dall’a-storicità che gli si vuole imporre, e collocarlo in un momento preciso nell’evoluzione dell’umanità. Lo Stato – ci suggerisce l’autore – la cui nascita fu dovuta a particolari esigenze storiche, non ha il carattere di assoluto, bensì potrà giungere il momento in cui la sua esistenza non sarà più funzionale al soddisfacimento delle esigenze della comunità internazionale.
Nonostante ciò, Sturzo, interessato ad indagare l’attuale stadio evolutivo del diritto internazionale, non può negare che esso, «dallo stretto punto di vista della sua organizzazione politica, si risolv[a] in gran parte nella stessa organizzazione statale, in quanto negli stati si
314
Luigi Sturzo, La comunità internazionale e il diritto di guerra, p. 3.
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risolvono il potere, il diritto e la forza e in quanto dagli stati tali fattori si proiettano nel campo internazionale»316.
L’estrema importanza che attualmente viene attribuita all’organizzazione politica statale rende qualsiasi progetto di creazione di organismi sovranazionali invisa ai più.
È chiaro che in tali concezioni non c’è posto per l’extra-stato, per una comunità internazionale, posta a sé e con proprio volere e ritmo, perché non solo tutto esiste nello stato, ma tutto esiste anche dallo stato e per lo stato. Il diritto internazionale, nato insieme alla formazione dello stato sovrano e assoluto, aderiva strettamente, fino a ieri, a quella concezione e ne interpretava il valore fondamentale come irriducibile ad altro, come unica e reale fonte di diritto e di obbligazioni nei rapporti fra popoli e come indivisibile potere, essendo lo stato unico detentore della forza nella sua funzione di tutela e di difesa317.
Il diritto internazionale, nella sua fase attuale – lungi dal mettere fattivamente in pratica la sua caratteristica di “internazionalità”– rimane vincolato alla più stretta e antica concezione della sovranità statale. Vien da sé che anche i più stimati giuristi ritengono che lo Stato sia la fonte unica ed indiscussa del diritto anche in campo internazionale.
Sturzo non può accettare quest’ordine di considerazioni. Affermare che lo Stato sia la fonte prima del diritto internazionale, significa che esso può, in ogni momento, negarne l’esistenza e il valore. È difficile, se non impossibile, per il sacerdote di Caltagirone, far convivere il concetto di limitazione con quello di sovranità, neppure se è lo Stato stesso ad autoimporsi una limitazione della sovranità.
Secondo i principi giuridici che sono alla base della Società delle Nazioni […] e secondo l’interpretazione comune, lo stato, nel far parte di tali società, nell’accettarne le regole e le convenzioni, nell’assumerne gli obblighi, non fa che un atto volontario di autolimitazione della medesima natura giuridica di quegli atti con i quali si stipulavano e si stipulano tuttora trattati o convenzioni interstatali. […] Questa costruzione teorica sembrerebbe a prima vista confermare il vecchio principio della sovranità dello stato, quale tramandato dalla concezione assolutista; ma invece, anche i più rigidi giuristi statolatri lo escludono. Essi dichiarano che oggi non si può più parlare di sovranità di uno stato nel rapporto del sistema internazionale. I due concetti di sovranità e limitazione, sia pure sotto forma di autolimitazione, si escludono a vicenda […]318
.
Se dunque si esclude che lo Stato sia la fonte del diritto internazionale – perché la natura del primo collide con quella del secondo –, da dove ha origine quell’insieme complesso di norme valevole per l’intera comunità internazionale?
Escluso che la volontà statale abbia un ruolo, Sturzo afferma che il diritto internazionale sia un «prodotto della coscienza collettiva formata fra gli uomini individui nello sviluppo della propria
316
Luigi Sturzo, La comunità internazionale e il diritto di guerra, p. 40.
317
Ibid., p. 41.
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individualità, nell’attrito e sviluppo della vita associata»319. Errano quei giuristi che credono,
seguendo le teorie rousseauiane, che la libera volontà statale rappresenti il fondamento del diritto internazionale; tali giuristi
Credono ad un patto iniziale libero, sempre in essere, sempre implicitamente rinnovato e quindi risolvibile; ma né la società politica in genere, né la comunità internazionale in specie sono società libere; in tanto sono società necessarie in quanto l’uomo è per sé sociale e postula rapporti con i suoi simili320
.
Alla base di ogni costruzione giuridica sta, dunque, la volontà collettiva, che in ultima analisi non è altro che l’insieme di volontà individuali che traducono in atto la coscienza collettiva.
Si deve pertanto convenire che la vera fonte del diritto non è lo stato né la comunità internazionale, in qualsiasi stadio si trovino del loro sviluppo sociale, ma la personalità umana in quanto individua e in quanto sociale nel suo perenne sviluppo di rapporti. Le società concrete sono i mezzi attraverso i quali il diritto si oggettiva; quanto più concrete e individuali sono le società, tanto più visibili ed effettive sono le realizzazioni del diritto321.
L’intenzione dell’autore è quella di relativizzare l’importanza dello Stato – accentuandone la natura di organismo storico non assoluto – per mettere al centro di ogni processo evolutivo la comunità umana. L’odierna fase storica, che vede la nascita di organismi sovranazionali, non è altro che l’espressione di una particolare volontà collettiva, che, allo stadio attuale della sua evoluzione, richiede un superamento della rigida ed incontrastata sovranità nazionale.
Vien da sé, che i vari tentativi messi in atto per concretizzare questa volontà espressa dalla collettività, sia vista di buon occhio da Sturzo.
Il sacerdote e uomo politico di Caltagirone è convinto che la Società delle Nazioni sia l’esempio tangibile, seppur incerto, del nuovo corso intrapreso dalla comunità internazionale.
Nell’esame del nuovo organismo, l’autore non può fare a meno di evidenziare le importanti conquiste ottenute, che si sono risolte nel miglioramento della convivenza internazionale. In particolare, Sturzo sottolinea gli importanti passi, fatti nell’ambito societario, in relazione alla giustizia internazionale.
L’organizzazione della giustizia pubblica è la prova e lo stigma che una società qualsiasi si volge verso un ritmo più civile; la giustizia, infatti, è il fondamento dell’organizzazione politica. Si doveva passare dal concetto dell’arbitrato volontario a quello obbligatorio e da un semplice ufficio permanente qual’era la Corte d’arbitrato dell’Aja alla Corte permanente di giustizia internazionale. Il passo era difficile, onde le conquiste fatte fin qua sono di carattere limitato e preliminare322.
319 Luigi Sturzo, La comunità internazionale e il diritto di guerra, p. 62. 320
Ivi.
321
Ibid., p. 63.
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Nelle riflessioni sturziane troviamo sempre una buona dose di realismo, che porta l’autore ad essere consapevole dei limiti insiti negli odierni tentativi di migliorare l’assetto internazionale; tale realismo, lungi dal trasformarsi in sterile pessimismo, prende i tratti di un fiducioso ottimismo, rappresentando un pressante stimolo verso l’azione.
Le altre importanti conquiste della Società delle Nazioni ricordate da Sturzo riguardano la protezione delle minoranze, l’istituzione del mandato e tutte quelle iniziative volte a promuovere la cultura e il progresso sociale (regolamento del diritto internazionale operaio, repressione della tratta delle donne e dei fanciulli, controllo della vendita delle armi etc.). Ma ciò che preme maggiormente all’autore è esaminare il «compito preciso della Società, per prevenire ed impedire ogni guerra [attraverso la valutazione della] portata teorica e pratica delle singole disposizioni»323.
La guerra, dal punto di vista giuridico, è il «diritto di risolvere un conflitto fra gli stati per mezzo della forza armata». Questa definizione ci dà il concetto di guerra relativo allo stato presente dell’organizzazione statale e interstatale dei popoli civili324.
In questa definizione che l’autore dà di guerra non possiamo non notare come egli inserisca anche l’istituto bellico fra quei fenomeni non immuni al trascorrere del tempo, e che, anzi, rappresentano una particolare espressione del contesto nel quale si trovano ad esistere e ad agire.
[…] la guerra, come ogni istituto sociale, ha la sua concretizzazione e il suo sviluppo secondo i tempi e i luoghi. Varia secondo il tipo di civiltà; come i nuclei umani da nomadi divengono stabili, da famigliari o di tribù divengono cittadini e politici, da feudali divengono statali o nazionali, così il tipo delle lotte armate fra i popolo si modifica, si sviluppa e si adatta all’evolversi sociale325
.
Attualmente, e solo attualmente, per guerra si intende una guerra pubblica, cioè fra Stati. Potrà venire il momento in cui l’istituto bellico potrà subire delle variazioni, nonché si potrà dare la circostanza in cui esso non risulti più necessario.
Se attualmente si fanno tentativi di ridurre i casi di guerra, di proibirla come strumento di politica nazionale, di arrivare a considerarla un crimine, di limitare gli armamenti, di attenuarne gli effetti – e tali tentativi si concentrano nel nuovo organismo della Società delle Nazioni – si può trarre la conclusione, insieme a Sturzo, che i tempi siano maturi per una graduale limitazione nell’utilizzo dello strumento bellico, che conduca ad una sua successiva totale eliminazione. E appare evidente che tali tentativi possono essere compiuti solo attraverso l’operato di un’organizzazione interstatale.
323
Luigi Sturzo, La comunità internazionale e il diritto di guerra, p. 51.
324
Ibid., p. 69.
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Il tramonto del binomio guerra-Stato, le cui avvisaglie sono attualmente percepibili, lascerà spazio per il nuovo binomio non guerra-interstato. Nonostante numerose siano ancora le incertezze lungo questo cammino, Sturzo è fiducioso nella realizzabilità del progetto.
Come abbiamo già detto, la Società delle Nazioni, prefissandosi lo scopo di garantire alle nazioni pace e sicurezza, mira a limitare i casi concreti in cui sia necessario ricorrere alla guerra. Sturzo è consapevole del fatto che tale organismo non possa ancora giungere ad una totale eliminazione dell’istituto bellico. A suo avviso, i tentativi fatti dall’organismo ginevrino nel senso di ridurre la gamma dei conflitti che possono essere ritenuti legittimi, è già un buon punto di partenza. In particolare, Sturzo rintraccia quattro tipologie di conflitto legittime secondo il dettato della Società delle Nazioni; nella totalità dei casi in cui il ricorso alla guerra è lecito, notiamo che l’utilizzo della forza rappresenta l’ultima spiaggia nel tentativo di risoluzione pacifica – attraverso l’arbitrato – delle vertenze fra Stati: «uno stato può ricorrere alla guerra dopo l’arbitrato ovvero dopo la decisione unanime del consiglio o della maggioranza qualificata dell’assemblea contro quello o quegli stati che non si conformano alle decisioni […]; uno stato può ricorrere alla guerra nel caso che il Consiglio non riuscisse a far accettare il suo rapporto da tutti i suoi membri […]; uno stato può ricorrere alla guerra nel caso che una delle due parti ritiene, e il Consiglio riconosce, che il dissidio verte su una questione che il diritto internazionale rimanda alla competenza esclusiva di detta parte […]. […] uno stato societario può ricorrere alla guerra […] quando sia in conflitto con uno o più stati non appartenenti alla Società delle Nazioni, che rifiutino di sottoporre la vertenza alla procedura prevista»326.
Non possiamo non notare che, nonostante siano soltanto quattro le eventualità che rendono legittimo il ricorso alla guerra, la Società delle Nazioni sia ben lungi dal riuscire a garantire la pace e la sicurezza promessi.
Sturzo, come gli animatori del progetto ginevrino, furono consapevoli del carattere insoddisfacente, perché poco radicale, delle disposizioni date dal nuovo organismo in tema di conflitti fra Stati. Il Protocollo di Ginevra del 1924, pur non avendo avuto la ratifica degli Stati, rappresenta
Uno sviluppo del patto; si muove in forma più aderente ai termini di arbitrato obbligatorio come estremo di tutti i mezzi pacifici per risolvere una vertenza e ai criteri di sanzione in tutti i casi che la guerra venga dichiarata. Onde, come conseguenza giuridica, non è riconosciuta che una sola guerra legittima, quella che, d’accordo con la Società della Nazioni, venga combattuta per resistere alla guerra promossa da uno o più stati violatori del patto e inosservanti delle procedure obbligatorie o delle decisioni arbitrali o dei pareri degli organi societari327.
326
Luigi Sturzo, La comunità internazionale e il diritto di guerra, p. 96.
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Con il Protocollo di Ginevra si giunse a delineare nettamente la figura giuridica dell’aggressione: ogni Stato che inizia una guerra è, per questo stesso motivo, aggressore; ogni Stato che resiste, nel seno della Società delle Nazioni, è, per lo stesso motivo, aggredito.
Così il diritto di guerra, secondo il Protocollo, non è più un diritto dello stato a risolvere una vertenza a mezzo delle armi, ma diviene solo un diritto dello stato a resistere ad una aggressione armata e un diritto della Società delle Nazioni ad applicare le sanzioni contro lo stato aggressore328.
Il Protocollo non divenne realtà, questo Sturzo lo sa; nonostante questo deludente risultato, la portata delle aspirazioni ivi contenute rappresenterà un importante precedente nella futura organizzazione pacifica della comunità internazionale.
La Società delle Nazioni, come pure lo stesso Protocollo di Ginevra, «ha un valore morale ed effetti giuridici molto più importanti, per il momento almeno, del suo valore politico immediato»329. Con
queste parole Sturzo conferma, ancora una volta, la sua fiducia in ogni tentativo volto a migliorare l’organizzazione del sistema internazionale: ogni tentativo, seppur incompleto e destinato ad un momentaneo fallimento, rappresenterà un importante precedente per l’opera successiva.
Poiché ogni sforzo non va perduto, l’ideale […] rimane330.
Che il sacerdote di Caltagirone non possa essere accusato di nutrire un ottimismo esagerato e di illudersi troppo circa la facilità di attuazione di un regime internazionale che non conosca più l’istituto bellico, lo conferma il suo giudizio sul Patto Briand-Kellogg.
Nonostante Sturzo ammetta che questo Patto abbia «un enorme valore morale, in quanto nella sua ampiezza è un’affermazione di condanna di ogni guerra e manifesta l’esplicita volontà dei popoli di volere risolvere ogni vertenza fra gli stati solo con mezzi pacifici»331, è consapevole che in esso
siano presenti notevoli ambiguità che ne minano l’efficacia. Una su tutte, la condanna del ricorso alla guerra «come strumento di politica nazionale», lasciando intendere che esistano altre tipologie di conflitto da considerare legittime.
Il Patto Briand-Kellogg rappresenta la dimostrazione, secondo Sturzo, che ogni tentativo, volto a rendere illegittimo ogni tipologia di guerra, attuato nell’attuale contesto di supremazia statale, è destinato ad un misero fallimento.
[…] anche col patto Kellogg la guerra non è del tutto eliminata sia dal sistema giuridico che da quello politico-nazionale e internazionale. I progressi compiuti hanno lasciato inalterati ancora due principi inconciliabili con la reale abolizione
328 Luigi Sturzo, La comunità internazionale e il diritto di guerra, p. 100. 329
Ibid., p. 48.
330
Ibid., p. 100.
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del diritto di guerra: la pretesa sovranità e completa indipendenza di ogni singolo stato e la pretesa necessità degli armamenti332.
L’incontrollata sovranità statale – che si esprime nella rivendicazione del diritto di fare guerra – rappresenta un gravoso ostacolo, il cui superamento si presenta come inevitabile per garantire pace e sicurezza all’intera comunità internazionale.