III. IL NOVECENTO: SECOLO DI GUERRE TOTALI.
6. Ritorno alla justa causa.
6.2 La resa dei conti: il Processo di Norimberga.
6.2.2 Dalla responsabilità individuale all’ordine del superiore: l’esito del Processo di Norimberga.
L’esito del processo di Norimberga, oltre a gettare i semi di un infinito dibattito, che, all’indomani delle sentenze, fiorirà negli ambienti giuridici (e non solo), fu il risultato di interpretazioni volte a confutare le tesi della Difesa degli imputati, la quale si focalizzò proprio su quei punti critici che già abbiamo evidenziato, e che rappresenteranno successivamente il fulcro del successivo dibattito. Responsabilità individuale, obbedienza agli ordini, nonché il problema dell’irretroattività della legge, sono i concetti sui quali la Corte giudicante, per fare in modo di giungere ad una decisa condanna degli imputati, impose il suo punto di vista, contraddicendo le tesi della Difesa ed alimentando le future critiche a tutto l’operato del Tribunale.
Esaminiamo alcun stralci della sentenza, evidenziando come la Corte motivò le sue decisioni. Per quanto riguarda la questione della criminalizzazione di interi gruppi, già annunciata nello Statuto dell’IMT agli articoli 9 e 10 («art. 9 Durante il processo di un singolo membro di un gruppo o di un’organizzazione il Tribunale può dichiarare […] che il gruppo o l’organizzazione, di cui l’individuo era membro, era un’organizzazione criminale»; art. 10 «Nel caso in cui un gruppo od un’organizzazione siano dichiarati criminali dal Tribunale, la competente autorità nazionale di ciascun Firmatario avrà il diritto di sottoporre a giudizio persone che abbiano appartenuto ai medesimi, dinanzi alle Corti nazionali, militari o di occupazione. In questo caso la natura criminale del gruppo o dell’organizzazione si intende provata e non dovrà essere discussa»), la Corte giudicò come «criminali» la Gestapo, le SS e la SD ; vennero assolti lo Stato Maggiore, il Comando Supremo e il Reichs Kabinet. Definire tali gruppi «organizzazioni criminali» ha rilevanza non piccola, nel senso che l’avere appartenuto a qualcuna di esse verrà a costituire una presunzione di
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responsabilità di cui i giudici dovranno tenere conto nei processi che si faranno in futuro ad altri responsabili.
L’obiezione difensiva secondo la quale uno dei princìpi legali meglio definiti è che le colpevolezza è personale e che, quindi, non si possa da alcun Tribunale infliggere punizioni in massa, viene riconosciuta esatta dalla sentenza, ma non nel senso assoluto di rendere illegale ogni decisione in questo senso. La natura delle organizzazioni incriminate è tale da rendere, in teoria, ogni suo membro colpevole. Infatti, così recita la parte della sentenza dedicata al giudizio dei gruppi e organizzazioni naziste: «There must be a group bound together and organized for a common purpose. The group must be formed or used in connection with the commission of crimes denounced by the Charter»238. Vien da sé che l’adesione volontaria ad un gruppo che ha come
finalità primaria la commissione di crimini quali quelli denunciati nell’accordo di Londra, può implicare la colpabilità di ogni aderente. Nella sentenza, però, la Corte non esclude che, laddove sia provato che il membro non fosse a conoscenza delle reali intenzioni dell’organizzazione o non avesse personalmente compiuto dei crimini, possa configurarsi la non colpabilità del membro: «Since the declaration with respect to the organizations and groups will, as has been pointed out, fix the criminality of its members, that definition should exclude persons who had no knowledge of the criminal purposes or acts of the organization and those who were, drafted by the state for membership, unless they were personally implicated in the commission of acts declared criminal by Article 6 of the Charter as members of the organization. Membership alone is not enough to come within the scope of these declarations».
Queste considerazioni valgono per quelle organizzazioni che la sentenza condannò come criminali; per quanto riguarda il Reichs Kabinet, lo Stato Maggiore e il Comando Supremo, la Corte ritenne di non dover accogliere la richiesta dell’Accusa di considerare tali organizzazioni come criminali. La motivazione risiede nel fatto che il numero dei componenti di esse è così esiguo, da rendere possibile e praticabile la strada dei processi per i singoli, senza bisogno di una dichiarazione preventiva di criminalità dell’organizzazione nel suo insieme. Ma un altro motivo è addotto nella sentenza: tali organismi non possono venir considerati né un’organizzazione né un gruppo secondo la definizione dell’articolo 9 dello Statuto. La Corte sostiene che il Reichs Kabinet, lo Stato Maggiore e il Comando Supremo sono normali organizzazioni militari, la cui natura non è inscindibilmente legata alla commissione di reati. Ciò non esclude, però, che alcuni componenti di esse possano essersi macchiati di crimini. Addirittura, la Corte è certa che i membri di tali organismi – pur non avendo sempre compiuto materialmente dei reati – fossero a conoscenza delle nefandezze e crudeltà messe in atto per volere di Hitler, e dunque ugualmente colpevoli.
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«Many of these men have made a mockery of the soldier's oath of obedience to military orders. When it suits their defense they say they had to obey; when, confronted with Hitler's brutal crimes, which are shown to have been within their general knowledge, they say they disobeyed. The truth is that they actively participated in all these crimes, or sat silent and acquiescent, witnessing the commission of crimes on a scale larger and more shocking than the world has ever had the misfortune to know. This must be said.
Where the facts warrant it, these men should be brought to trial so that those among them who are guilty of these crimes should not escape punishment».
Alle altre obiezioni giuridiche che la Difesa venne a mano a mano avanzando e ribadendo, la Corte ha cercato di rispondere, conciliando in uno sforzo supremo i princìpi e la realtà.
La retroattività della legge penale rappresenta un altro punto delicato, che non mancò di sollevare aspre obiezioni, dentro e fuori l’aula di Norimberga.
La Difesa affermò che non può sussistere – nella legge internazionale quanto in quella interna – la punizione di un crimine senza che una legge preesistente lo prevedesse. Tale principio – che si condensa nella formula nullum crimen sine lege, nulla poena sine lege – se violato, rappresenta un’aberrazione del diritto di tutte le nazioni civili. Secondo la Difesa, attribuire agli imputati la colpa di aver iniziato una guerra di aggressione, rappresenta una precisa violazione del principio della non retroattività della legge; a detta dei difensori, infatti, all’epoca del compimento dei fatti, non esisteva nessuna legge che dichiarasse la guerra di aggressione un reato, come non esisteva una Corte abilitata a giudicarlo e sanzionarlo.
«It was urged on behalf of the defendants that a fundamental principle of all law – international and domestic – is that there can be no punishment of crime without a pre-existing law. "Nullum crimen sine lege, nulla poena sine lege." It was submitted, that ex post facto punishment is abhorrent to the law of all civilized nations, that no sovereign power had made aggressive war a crime at the time that the alleged criminal acts were committed, that no statute had, defined aggressive war, that no penalty had been fixed for its commission, and no court had been created to try and punish offenders».
La Corte, pur ammettendo l’importanza della massima giuridica relativa alla irretroattività della legge penale, ritiene che essa non possa trovare applicazione al caso di coloro che devono rispondere dello scatenamento della guerra: «To assert that it is unjust to punish those who in defiance of treaties and assurances have attacked neighboring states without warning is obviously untrue, for in such circumstances the attacker must know that he is doing wrong, and so far from it being unjust to punish him, it would be unjust if his wrong were allowed to go unpunished. Occupying the positions they did in the Government of Germany, the defendants, or at least some of
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them, must have known of the treaties signed by Germany, outlawing recourse to war for the settlement of international disputes; they must have known that they were acting in defiance of all international law when in complete deliberation they carried out their designs of invasion and aggression. On this view of the case alone, it would appear that the maxim has no application to the present facts».
Gli imputati, occupando posizioni di governo in Germania, erano sicuramente a conoscenza dei trattati firmati dal loro Stato, e sapevano, quindi, che essi bandivano la guerra come mezzo di risoluzione di controversie internazionali. Progettando piani di aggressione ed invasione, quindi, agirono sfidando scientemente il diritto internazionale. Ad esemplificazione e a conferma di ciò, nella sentenza viene fatto richiamo al Patto Briand-Kellogg, al quale avevano sottoscritto 63 Nazioni, fra le quali la Germania, l’Italia e il Giappone. Ma qual’era l’effetto legale di tale Patto? si chiede la Corte. La risposta non può dare luogo a dubbi:
«The nations who signed the pact or adhered to it unconditionally condemned recourse to war for the future as an instrument of policy, and expressly renounced it. After the signing of the pact, any nation resorting to war as an instrument of national policy breaks the pact. In the opinion of the Tribunal, the solemn renunciation of war as an instrument of national policy necessarily involves the proposition that such a war is illegal in international law; and that those who plan and wage such a war, with its inevitable and terrible consequences, are committing a crime in so doing. War for the solution of international controversies undertaken as an instrument of national policy certainly includes a war of aggression, and such a war is therefore outlawed by the pact». La condanna della guerra come strumento di politica internazionale comprende anche e sicuramente la guerra di aggressione; il diritto internazionale vigente è chiaro su questo punto.
Un ultimo punto sul quale la Corte ritiene di dover dare dei chiarimenti, riguarda la questione della responsabilità individuale legata all’altro importante tema dell’ubbidienza agli ordini. La Difesa ha puntato su una precisa interpretazione di questi due concetti, per sostenere la non responsabilità degli assistiti.
Innanzitutto, la Corte respinge risolutamente il principio, fatto valere dagli avvocati difensori, che il diritto internazionale, regolando i rapporti fra le entità statali, non conosca la responsabilità individuale, bensì solo quella degli Stati. Per confortare la tesi della Corte circa la responsabilità dell’individuo anche nel diritto internazionale, nella sentenza si citano casi passati in cui singoli individui sono stati giudicati e puniti per la violazione di precetti internazionali, quali quelli vietanti lo spionaggio e il sabotaggio, nonché per l’infrazione delle norme dello jus in bello.
Inoltre, nella sentenza si ribadisce che crimini contro il diritto internazionale possono essere commessi unicamente da uomini e non da entità astratte, quali gli Stati.
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«Many other authorities could be cited, but enough has been said to show that individuals can be punished for violations of international law. Crimes against international law are committed by men, not by abstract entities, and only by punishing individuals who commit such crimes can the provisions of international law be enforced».
Ribadita la responsabilità individuale all’interno del diritto internazionale, nella sentenza ci si prodiga di demolire un altro assunto, più volte utilizzato dalla Difesa per invocare la non colpabilità degli imputati: l’ubbidienza agli ordini.
Nello screditare la volontà dei difensori di far passare ogni azione compiuta dagli imputati come un diretta conseguenza degli ordini di Hitler, di modo che la responsabilità fosse soltanto di quest’ultimo, nella sentenza si cita l’articolo 8 dello Statuto dell’IMT («il fatto che l’imputato abbia agito in esecuzione dell’ordine del proprio Governo o di un superiore non lo esime dalla responsabilità, ma può essere tenuto in considerazione per mitigare la pena qualora il Tribunale ritenga che la giustizia lo esiga»), chiarissimo nella sua formulazione.
L’esimente dell’aver ubbidito ad un ordine superiore non potrà mai essere fatta valere per le gravi violazione del diritto internazionale: «That a soldier was ordered to kill or torture in violation of the international law of war has never been recognized as a defense to such acts of brutality, though, as the Charter here provides, the order may be urged in mitigation of the punishment. The true test, which is found in varying degrees in the criminal law of most nations, is not the existence of the order, but whether moral choice was in fact possible».
La conclusione alla quale giunge la Corte in tema di ordini del superiore appare, in ultima analisi, come un ulteriore rafforzamento del concetto della responsabilità individuale, più volte affermato. Niente – né l’interpretazione del diritto internazionale come diritto infrastatale, né la qualità di funzionario dello Stato ricoperta, né l’aver ubbidito agli ordini di un superiore – impedisce al singolo di rispondere individualmente dei reati che ha commesso.
104 PARTE SECONDA
105 IV. L’ITALIA E LA PRIMA GUERRA MONDIALE.