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La democrazia della morte: “guerra ai civili”.

III. IL NOVECENTO: SECOLO DI GUERRE TOTALI.

4. La democrazia della morte: “guerra ai civili”.

I primi cedimenti nell’edificio dello jus publicum europaeum, come sappiamo, si manifestarono proprio nello jus in bello, sul quale si erano concentrati i maggiori sforzi del diritto internazionale classico. Basti pensare, a titolo esemplificativo, che, fra le vittime dei conflitti novecenteschi, il numero dei civili crebbe fino a superare il numero dei militari; questo avvenne non solo per effetto del coinvolgimento non intenzionale in atti di guerra diretti contro obiettivi strategici, ma, sempre più spesso, per effetto di politiche di sterminio rivolte in modo preordinato contro di loro.

Con l’acutizzarsi del processo di disumanizzazione e barbarizzazione del nemico – stigma di ogni guerra condotta per una giusta causa – viene meno la distinzione fra civili e combattenti; la coscrizione di massa, insieme alla mobilitazione totale ed ideologica della società a sostegno dello sforzo bellico,

conduce a individuare nella popolazione del paese che si combatte un nemico. La distinzione tra soldato e civile si fa più labile, e le popolazioni civili da una parte divengono oggetti delle strategie militari, giacché sfondare il “fronte interno” significa minare la coesione dell’avversario, dunque indebolirlo mortalmente; dall’altra, iniziano a essere guardate con sospetto, perché possono celare un pericolo mortale per le truppe, tanto più infido in quanto invisibile, sempre pronto a colpire alle spalle213.

Anche Ernst Jünger percepisce questo venir meno della distinzione fra combattenti e non combattenti; il fenomeno è però imputato, in sommo grado, alle potenzialità sempre più distruttive degli armamenti ed è presentato come uno degli effetti collaterali più vistosi della mobilitazione totale:

212

Alessandro Colombo, La guerra ineguale, p. 224.

213

Luca Baldissara, Giudizio e castigo. La brutalizzazione della guerra e le contraddizioni della “giustizia politica”, in Luca Baldissara, Paolo Pezzino (a cura di), Giudicare e punire, L’ancora del Mediterraneo, 2005, p. 31.

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Come ogni vita genera in sé già il seme della propria morte, così anche l’apparire sulla scena delle grandi masse include in sé una democrazia della morte. Ci siamo già lasciati alle spalle l’epoca del tiro ben mirato. Il comandante di squadriglia, che nell’alto della notte impartisce l’ordine di bombardamento, non è più in grado di distinguere fra combattenti e non combattenti, e la nuvola mortale di gas trascorre come un elemento naturale su tutti gli esseri viventi. Ma che simili minacce siano possibili non implica, come presupposto, né una mobilitazione parziale, né una mobilitazione generale, sì invece una mobilitazione totale, che si estende fino al bambino nella culla. Questi è infatti minacciato come tutti gli altri, se non addirittura di più214.

I civili divennero protagonisti delle guerre novecentesche non solo in quanto destinatari delle operazioni militari, bensì anche come veri e propri attori delle collaterali guerre irregolari. Possiamo addirittura dire che il coinvolgimento “indiretto” delle popolazioni civili nel conflitto andò di pari passo con il loro coinvolgimento “diretto”: i due fenomeni rappresentarono le facce di una stessa medaglia.

Ricordiamo i precedenti costituiti dalla resistenza popolare alle invasioni napoleoniche e, in parte, il fenomeno dei francs tireurs della guerra franco-prussiana; in questo caso il popolo in armi figurava come la conseguenza dello sfondamento della guerra oltre i suoi limiti originari, ma «pur sfuggendo alla nozione di regolarità degli eserciti regolari, [il popolo in armi] non si proponeva ancora come un nuovo soggetto politico, bensì solo come uno strumento eccezionale ed estremo di quello vecchio»215 – che, passato il pericolo, si adoperava a disarmarlo nuovamente. Per dirla con le

parole di Schmitt, «l’acheronte che aveva rotto gli argini per un attimo [sarebbe rientrato] subito nell’alveo dell’ordine statale»216.

La completa fuoriuscita della guerra dagli argini dello Stato si ebbe solo nella fase novecentesca. Contrariamente a ciò che ci potremmo aspettare, il primo conflitto mondiale non conobbe vasti fenomeni di guerra irregolare. Essa sembrò segnare una battuta d’arresto in quel lungo e tormentato processo di armamento del popolo. «Per quanto terribile sia stata», osserva Aron, «la prima guerra del XX secolo, quanto meno in Europa, si arrestò alle soglie dell’armamento del popolo»217. Ciò che

la stabilità del fronte occidentale non aveva reso possibile in occasione di quella guerra, divenne sempre più frequente nelle successive.

Con il Secondo conflitto mondiale, la guerra ai civili e la guerra combattuta dai civili divennero un tutt’uno. L’infido e incontrollabile spettro della “guerra di popolo” accompagnò tutte le campagne militari delle forze armate tedesche.

La paura e l’ossessione dei tedeschi per la “guerra di popolo” – le varie forme di guerra di guerriglia e di resistenza – si fondano su [una] visione, risalente sino agli stereotipi del franc-tireur forgiati durante la guerra franco-prussiana del

214 Ernst Jünger, La mobilitazione totale, 1930, in Carlo Galli (a cura di), Guerra, p. 175. 215

Alessandro Colombo, La guerra ineguale, p. 248.

216

Carl Schmitt, Teoria del partigiano, Il Saggiatore, Milano, 1981, p. 37.

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1870, poi rinnovati allo scoppio del primo conflitto mondiale nel 1914 […]. E i medesimi stereotipi, arricchiti dal razzismo politico-ideologico (contro l’ebreo, contro lo slavo, contro il comunista), saranno infine operativi nel secondo conflitto mondiale quando si tratterà di compiere rappresaglie, eccidi e stragi contro le popolazioni dei paesi occupati, sia sul fronte dell’Est che su quello dell’Ovest218.

L’esistenza di bande armate, le quali ostacolavano le normali operazioni di guerra e rendevano difficile mantenere stabile l’occupazione dei territori, fornì all’occupante tedesco il pretesto, se non la giustificazione, a procedere con severissime rappresaglie, che spesso si tramutavano in atroci stragi di civili estranei ad ogni coinvolgimento bellico.

Il fenomeno della resistenza armata delle popolazioni civili durante il secondo conflitto mondiale condensa ed estremizza l’ormai avvenuto sfondamento della violenza bellica in ogni settore della vita civile. Il civile – sia esso un anziano indifeso o un giovane, potenziale partigiano – non potrà più dirsi esonerato dalla violenza bellica.

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