III. IL NOVECENTO: SECOLO DI GUERRE TOTALI.
2. Organismi sovranazionali ed eliminabilità della guerra: progettualità del primo dopoguerra.
2.2 Giorgio Balladore Pallieri e il dogma della volontà statale.
Nell’opera La guerra di Giorgio Balladore Pallieri333 – testo di riferimento, fino a tutti gli anni
del secondo dopoguerra, per gli studi volti ad approfondire la natura giuridica dell’istituto bellico – sarà interessante notare la diversa posizione espressa da un giurista circa l’attuale status del diritto internazionale e la sua possibile evoluzione.
L’opera dello studioso rappresenta l’espressione più tangibile della difficoltà nella quale regnano i coevi tentativi di superare l’assoluta sovranità statale; come vedremo più nel dettaglio, la possibilità della costituzione di un organismo sovranazionale è vista come mera utopia, di cui il recente Patto della Società delle Nazioni è un timido, quanto inefficace strumento.
C’è da dire che, a discolpa di Balladore Pallieri, la condizione vissuta dal diritto internazionale del primo dopoguerra non era tale da poter far sperare in una sua celere evoluzione verso la formazione di un sistema sovrastatale. In un’epoca di supremazia degli Stati, l’opera di un giurista di diritto internazionale non poteva non avere come soggetto gli Stati e i rapporti fra di essi. Le speranze per un futuro migliore, l’idealità e le astrattezze appartengono al “campo del forse”, non di diretta competenza per un giurista, il cui compito fondamentale è descrivere l’attuale stato delle cose partendo da precisi dati di fatto.
Veniamo adesso ad una trattazione più specifica dell’opera.
Il concetto di volontà – che è sempre volontà statale per Balladore Pallieri – appare il perno attorno al quale l’autore fa ruotare l’intero fenomeno bellico.
L’inizio delle ostilità – o, meglio, il sorgere dello stato di guerra – ha come primo e necessario presupposto la dichiarazione di volontà dello Stato.
[…] si può anzitutto e con facilità escludere che lo stato di guerra sorga per un qualche evento naturale o per un qualche fatto che sfugga alla volontà dei subietti. L’ipotesi di due o più Stati i quali si trovino in istato di guerra l’uno verso l’altro senza che alcuno fra essi l’abbia voluto, è palesemente una ipotesi assurda: può essere che uno Stato si trovi trascinato nolente in un conflitto bellico, ma non può immaginarsi un conflitto bellico non voluto da alcun soggetto
332
Luigi Sturzo, La comunità internazionale e il diritto di guerra, p. 113.
333
Giorgio Balladore Pallieri, La Guerra, Vol. 3 di Trattato di diritto internazionale di P. Fedozzi e S. Romano, CEDAM, Padova, 1935.
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internazionale e in cui tutte le Parti siano state involte senza alcun concorso della loro volontà. Lo stato di guerra si sostituisce dunque al normale diritto di pace solo se ciò corrisponde alla volontà almeno di un soggetto […]334.
La volontà di un soggetto internazionale è dunque la premessa che opera il trapasso dallo stato di pace a quello di guerra. Non è nemmeno necessario che ci sia accordo fra tutti i soggetti tra cui la guerra deve svolgersi: basta la volontà di una parte perché l’altra – anche se nolente – sia trascinata nel conflitto.
Non dobbiamo però dedurre da ciò che gli Stati in guerra possano esercitare pienamente la loro libertà; il passaggio dallo stato di pace a quello di guerra comporta una precisa regolamentazione, che fa delle ostilità un’insieme di azioni regolate dal diritto bellico. Su questo Balladore Pallieri è intransigente; addirittura, il considerare legittimo e conforme al diritto qualsiasi conflitto – previa dichiarazione di guerra, espressione “giuridica” della volontà dello Stato – è l’unico modo per veder regolamentate, secondo le norme dello jus in bello, le ostilità. Lo jus ad bellum, al tempo della supremazia statale, non discrimina fra i soggetti che vogliono far guerra e non pone condizioni circa le cause scatenanti il conflitto; l’unica limitazione è rappresentata dalla norme dello jus in bello, alle quali tutti i contendenti debbono attenersi. Vien da sé, che anche una guerra scatenata per una volontà illegittima di uno Stato, debba essere trattata alla stregua di un qualsiasi altro conflitto e che quindi debbano valere anche per essa le regole del diritto bellico.
[…] attualmente nessun testo positivo internazionale può interpretarsi nel senso che lo stato di guerra non sorga ove la guerra sia stata illecitamente dichiarata, e, ripetiamo, assai saggiamente e opportunamente l’ordine internazionale si è astenuto dal disporre in tal senso, e utilissimo è che esso continui ad ammettere in ogni caso il sorgere dell’applicabilità delle norme belliche, che almeno limitano giuridicamente e raffrenano la violenza spiegata dagli Stati335.
Con parole che ricordano Schmitt, Balladore Pallieri constata che, fino a quando non si riuscirà ad eliminare totalmente il diritto degli Stati a fare guerra, ci si debba accontentare di disciplinare almeno la loro condotta durante le operazioni militari.
Finché l’ordine internazionale non si trova in questa condizione, finché vi è da attendersi che gli Stati non rinuncino a far valere con la forza i loro interessi anche in quei casi in cui l’ordine internazionale eventualmente non li autorizzi, è assai meglio che il diritto internazionale, rendendosi conto di questa realtà di fatto, disciplini almeno la guerra, comunque e per qualunque causa sia iniziata, ossia riconosca che gli Stati possono sempre, per qualunque ragione, ad opera della loro volontà, far sorgere quello stato di guerra che è condizione imprescindibile perché la guerra si svolga secondo norme giuridiche e da queste frenata336.
Seguendo il ragionamento dell’autore, se si stabilisse che soltanto determinati motivi rappresentino cause giuste e legittime per dare inizio alle ostilità, si verificherebbe il gravoso fatto che la violenza
334
Giorgio Balladore Pallieri, La guerra, p. 15.
335
Ibid., pp. 29-30.
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esercitata durante guerre prive di una giusta causa (quindi illegittime perché al di fuori del diritto internazionale) potrebbe scatenarsi sfrenatamente ed illimitatamente.
Balladore Pallieri ritiene che lo stesso diritto internazionale, allo stato attuale, riconosca la suprema libertà degli Stati a soddisfare i loro interessi – anche i più egoistici, come il semplice ampliamento territoriale – ricorrendo allo strumento bellico.
[…] l’ordine internazionale medesimo riconosce che il suo sistema di norme è insufficiente a provvedere a tutti gli interessi statali, e che molti e seri interessi resterebbero talora ingiustamente sacrificati regolandoli solo in base alle norme internazionali esistenti; perciò concede ai soggetti internazionali di passar sopra alle norme giuridiche per soddisfare certe loro esigenze che possono essere anche eque e degne di considerazione, ancorché ad esse non sia riuscito a provvedere giuridicamente. […] Concedendo agli Stati l’uso della guerra anche per la tutela di semplici loro interessi, il diritto internazionale riconosce esplicitamente la insufficienza del proprio sistema giuridico, il quale, come bene si è detto, non provvede a disciplinare le materie in cui sorgono i più gravi contrasti di interessi fra Stati, ma regola solo le questioni di secondaria importanza e lascia insolute le prime337.
Nonostante – dice Balladore Pallieri – non esista alcuna norma internazionale che consideri illecita la guerra, da tempo si ebbero aspirazioni ed invocazioni per giungere ad una sua formulazione. L’autore non dedica particolare spazio alla descrizioni delle varie teorie pacifiste, chiudendo la questione con un radicale, quanto definitivo, giudizio:
Entrare in un esame di queste varie opere [di autori che a vario titolo possono essere fatti rientrare nella categoria degli irenisti] sarebbe del tutto inutile: si tratta per lo più di «utopie», di progetti inattuabili e irrealizzabili, dove la pace si spera di ottenere quasi sempre con gli stessi espedienti, per mezzo di una confederazione di Stati, spesso dotata di organi propri, o almeno di una assemblea ove i singoli partecipanti si radunino e la quale tratti gli interessi comuni e faccia osservare la pace338.
Allineandosi a Del Vecchio, del quale cita i passi tratti da Il fenomeno della guerra e l’idea della
pace, Balladore Pallieri ritiene che la pecca più grande delle varie teorie ireniste sta nell’aver
creduto che la guerra sia una semplice accidentalità del diritto internazionale, che possa essere soppressa lasciando quello immutato:
[…] essa è invece derivata dalle stesse imperfezioni e deficienze del diritto internazionale, per modo che la sua soppressione non può pensarsi se non accompagnata da una profonda trasformazione nel modo di posizione delle norme internazionali e nel loro contenuto, così che queste realizzino un equo sistema fra gli Stati339.
L’attuale status del diritto internazionale non permette ancora di poter fare a meno della guerra, come non è in grado di consentire il trapasso dal sistema degli Stati a quello che prevede la costituzione di un organismo sovranazionale.
337
Giorgio Balladore Pallieri, La guerra, pp. 44-45.
338
Ibid., p. 47.
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L’autore passa poi ad esaminare il Patto della Società delle Nazioni, per valutare come gli sviluppi del diritto internazionale si rispecchino nel testo ginevrino. Vedremo successivamente quale sarà il giudizio del giurista circa l’operato e la funzionalità di tale organismo.
Balladore Pallieri riconosce che l’organismo ginevrino ebbe il primato di porre delle norme limitative circa l’uso della guerra, per il generale interesse della conservazione della pace. Entrando nello specifico, attraverso l’analisi degli articoli più significativi del Patto, potremo apprezzare in cosa consistono tali norme limitative.
Innanzitutto, l’art. 13 obbliga i membri a tentare, come prima cosa, una pacifica risoluzione della controversia fra loro insorta; tale risoluzione può essere ricercata facendo ricorso ad un arbitrato o alla Corte permanente oppure ricorrendo al Consiglio della Società. Per il ricorso all’arbitrato o alla Corte è necessario l’accordo delle parti contendenti, poiché questi organi funzionano solo se entrambe le parti si sono accordate al riguardo con un trattato generale; la sentenza arbitrale o giudiziaria vieta di muovere guerra contro la parte che ad essa si conformi; il Consiglio, invece, può esercitare la sua attività e giungere alla redazione di un rapporto, anche se adito da una sola parte. In questo caso, solo se la relazione del Consiglio è stata approvata all’unanimità essa ha il medesimo valore di una sentenza arbitrale o giudiziaria, ossia i contendenti vi si devono attenere; nel caso contrario, «i membri della Società si riservano il diritto di prendere quei provvedimenti che stimeranno necessari per la tutela del diritto e della giustizia». Ciò non esclude che si possa fare ricorso allo strumento bellico.
Questa differenza, che lo stesso Patto ha evidenziato, ne prevede una più grande alla base: la distinzione fra controversie giuridiche e controversie politiche.
Il fatto che, oltre a questi due procedimenti [arbitrato e ricorso alla Corte], istituiti per questa categoria di controversie [giuridiche], il Patto ne abbia ancora organizzato e disciplinato un terzo, quello innanzi al Consiglio, dimostra chiaro che il Patto ritiene che quelle elencate nell’art. 13 non sono le sole controversie che tra gli Stati possono insorgere e per le quali essi possono volere ricorrere alla guerra. Poiché d’altra parte l’art. 13 comprende tutte le controversie giuridiche, così si deve necessariamente ammettere che il patto riconosca oltre a queste anche l’esistenza delle controversie politiche, e per queste principalmente crei il procedimento dinnanzi al consiglio della Società340.
La possibilità di adire il Consiglio implica che gli Stati possono sollevare delle pretese non fondate sul diritto o addirittura in contrasto con esso e che per ottenere soddisfacimento a queste possono rivolgersi ad organi internazionali – ed eventualmente ricorrere alla guerra. Il ricorso a quest’ultima, come già abbiamo ricordato, diviene lecito nel caso in cui il Consiglio, nel deliberare circa la questione che gli è stata sottoposta, non giunga ad una sentenza unanime.
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[…] quando il Patto richiede, perché sorga l’obbligo di non ricorrere alla guerra, che il rapporto sia stato votato all’unanimità e sia stato almeno accettato da una delle due parti, il Patto ha voluto proceder con tutta la dovuta cautela in questa delicata materia delle controversie politiche, ove spesso può riuscire difficile dare ragione all’una piuttosto che all’altra delle parti contendenti, e ha ritenuto che una sufficiente presunzione della bontà e della equità della risoluzione proposta possa aversi soltanto quando tutte quelle condizioni sussistono. Quando invece vi è disaccordo tra gli stessi membri estranei alla controversia, o quando tutte le parti contendenti insorgono contro la deliberazione del Consiglio, il Patto ritiene che non si possa con bastante sicurezza affermare quella soluzione come la più appropriata e la più equa nel caso controverso, e consente pertanto alle parti di cercare di farsi ragione da sé medesime341.
Come vediamo, l’art. 13 del Patto «non fa alcuna distinzione quanto alle cause per cui gli Stati vogliano muovere guerra, e non apporta alcun limite al riguardo, e lascia gli Stati altrettanto liberi quanto per l’innanzi di muovere guerra per qualunque motivo»342
.
Balladore Pallieri afferma che il succitato articolo, lungi dal proibire determinate categorie di guerra, «vuole unicamente evitare le guerre di sorpresa, e impone un determinato termine prima che la guerra venga iniziata, confidando che il trascorrere del tempo e l’attività degli organi incaricati di trovare una pacifica soluzione, possano spesso evitare lo scoppiar delle ostilità»343. Nel sottolineare
ciò, il giurista trova conferma del fatto che nemmeno la Società delle Nazioni sia stata in grado di mettere in dubbio il dogma della sovranità statale, che ha nell’illimitato diritto di far guerra il suo stigma.
L’art. 15, nel comma 8, sembra dare nuova conferma del fatto che il Patto è ben lungi dall’intaccare l’autonomia degli Stati: «Se una delle parti sostiene e il Consiglio riconosce che la vertenza concerne un argomento che secondo il diritto internazionale rileva esclusivamente alla giurisdizione interna di detta parte, il Consiglio lo constaterà in un rapporto, ma senza raccomandare alcuna soluzione». Balladore Pallieri tira le sue conclusioni:
Basti avvertire che con quelle parole sembra sancirsi nuovamente, anche nei confronti degli organi della Società, il principio della libertà degli Stati in una sfera che questi hanno sempre rivendicato come tale, e cioè principalmente per quanto riguarda la potestà che gli Stati esercitano sui soggetti a loro per qualsivoglia titolo subordinata entro i loro confini territoriali. Di questa libertà di regolare a proprio piacere quanto attiene alla propria organizzazione, ai rapporti con i propri sudditi e in genere a tutto ciò che avviene entro i propri confini territoriali, gli Stati furono sempre particolarmente gelosi; e il Patto non ha voluto intaccare questa loro libertà344.
Peri riassumere: nel caso di controversie politiche – non risolte da una sentenza unanime del Consiglio – come nell’eventualità che la questione sollevata rientri nella competenza esclusiva degli Stati, in entrambi questi casi si solleva un’eccezione che tronca il normale procedimento e si lasciano gli Stati liberi di risolvere, eventualmente anche con la guerra, la controversia insorta.
341 Giorgio Balladore Pallieri, La guerra, p. 60. 342
Ibid., p. 54.
343
Ibid., pp. 54-55.
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Significativo appare un altro articolo del Patto, che, pur restringendo la libertà degli Stati di muovere guerra (l’art. 15 “allargava” la possibilità di ricorrere allo strumento bellico), ribadisce ulteriormente l’indipendenza e sovranità degli Stati. L’art. 10 in questione recita così: «I membri della Società si impegnano a rispettare e a proteggere contro ogni aggressione esterna l’integrità territoriale e l’attuale indipendenza politica di tutti i membri della Società».
La enorme importanza di questo articolo appare subito evidente, vietando esso quelle guerre di conquista, che sono tra le più frequenti che gli Stati scatenano, e proteggendo i membri nei loro beni più essenziali, la loro esistenza e la loro indipendenza e la loro integrità345.
L’art. 10 del Patto è significativo in quanto limita l’assoluta libertà degli Stati di scatenare guerre di conquista, riaffermando il dogma dell’integrità ed indipendenza degli Stati. Limitare la libertà degli Stati per tutelarla.
Il Patto della Società delle Nazioni prevede delle sanzioni per coloro che violino le disposizioni statuite; l’art. 16 così dispone: «Qualora uno dei membri della Società ricorra alla guerra in violazione dei patti […] sarà considerato ipso facto come colpevole di aver commesso un atto di guerra contro tutti gli altri membri della Società, i quali si impegnano fin d’ora a interrompere immediatamente ogni rapporto commerciale e finanziario col medesimo, a proibire ogni traffico tra i propri cittadini e i cittadini dello Stato contravventore, e ad interdire ogni rapporto finanziario, commerciale o personale tra i cittadini dello Stato contravventore e i cittadini di qualsiasi altro Stato, sia o non sia membro della Società. Sarà in tale caso dovere del Consiglio di raccomandare ai vari governi interessati quali forze militari, navali o aeree dovranno essere fornite da ciascuno dei membri della Società, come contributo alla forze armate destinate a proteggere i patti sociali. […]». Dunque, nel caso di violazione delle norme societarie da parte di un membro, gli altri membri hanno il dovere di intervenire in soccorso dello Stato che ha subito la violazione, con una serie di provvedimenti che non escludono il ricorso alla guerra.
La sola efficace reazione [alla violazione] potrà pertanto essere quella esercitata da terzi Stati, i quali, anziché restare neutrali ed imparziali nel conflitto fra altri scoppiato, intervengano in soccorso dell’aggredito, e prendano contro l’aggressore misure che possono andare sino alla guerra contro di esso, e possono anche consistere in altri provvedimenti non così gravi, ma comunque a lui dannosi, e tali da influire notevolmente sull’esito del conflitto. Non vi è divieto alla guerra che abbia pratica portata ed efficacia se non è sanzionato in simile modo346.
L’autore, pur essendo d’accordo con la sostanza dell’art. 16, è incerto sulla reale natura obbligatoria dei provvedimenti da prendersi contro il trasgressore:
345
Giorgio Balladore Pallieri, La guerra, p. 68.
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Se l’articolo è esplicito nel senso che la violazione di uno di quegli impegni importa senz’altro l’obbligo da parte di tutti i membri di iniziare il procedimento previsto dall’articolo medesimo, è però da ricordare che le successive elaborazioni per cui l’articolo è passato attraverso gli organi della Società, hanno portato ad affermare che quell’obbligo sussiste bensì, ma che ogni membro è arbitro di determinare esso medesimo quand’è che una violazione del Patto si sia o non avuta. In conseguenza la violazione di un qualche articolo del Patto non fa sorgere ipso facto l’obbligo dei membri di agire in conformità all’art. 16, ma questo obbligo sorge per ogni membro solo dopo che esso abbia, secondo il suo libero apprezzamento, accertato che una violazione del Patto si sia avuta; e poiché ogni membro procede per proprio conto a questo accertamento e il Consiglio della Società dà al riguardo semplici suggerimenti, dipende in realtà dall’arbitrio di ogni membro l’adempiere o meno agli obblighi di cooperazione che gli impone l’art. 16347
.
Sebbene il giurista sia consapevole che una tale interpretazione dell’articolo in questione non sia stata formalizzata, ritiene con certezza che gli Stati, gelosi della loro autonomia di giudizio e di azione, si atterrano ad essa. Vien da sé, che il valore dell’impegno statuito dall’articolo ne esca notevolmente diminuito.
Da questo sommario esame dell’interpretazione data da Balladore Pallieri al contenuto del Patto della Società della Nazioni, non possiamo dire che l’autore abbia espresso un giudizio negativo nei confronti delle norme ivi statuite. Ritiene altresì che l’organismo ginevrino abbia ben interpretato le esigenze dell’attuale sistema internazionale, che vede negli Stati gli unici soggetti. L’abolizione della guerra, passante attraverso l’istituzione di ente sovranazionale, appare per il momento un obiettivo irrealizzabile e dunque bene ha fatto la Società delle Nazioni a non privare indiscriminatamente lo Stato del suo diritto di ricorrere alla guerra.
Nel testo del Patto, il giurista trova quindi conferma della persistere quasi indiscusso della sovranità statale e di conseguenza della liceità – in molti casi – del ricorso alla guerra.
L’esposizione delle norme del Patto ci ha mostrato come, anche per gli Stati da questo vincolati, la guerra continui ad essere lecita in molti casi. L’arbitrato non è mai obbligatorio e d’altronde nemmeno esclude ogni eventualità di conflitto armato; inoltre, se invece che agli arbitri o alla Corte, gli Stati si sono rivolti al Consiglio, basta che il rapporto di questo non sia stato votato all’unanimità, o che nessuna delle parti lo abbia accettato, o che la controversia riguardi una materia