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8. Il nuovo paradigma della guerra industriale.

8.1 La guerra civile americana.

La guerra civile americana, scoppiata nel 1861, fu il primo conflitto a rientrare nel paradigma della guerra industriale: le innovazioni nel campo dei trasporti, delle comunicazioni e degli armamenti dimostrarono, in questa occasione, tutta la loro portata. Il conflitto ebbe anche il primato per il numero degli uomini mobilitati, per la quantità di risorse impiegate e per la radicalità dello scontro. Tutto ciò ha contribuito a definirla nel tempo come la prima guerra contemporanea, premonitrice dei futuri conflitti totali (e civili) del Novecento.

Non a caso, a conferirle il carattere di guerra totale sopraggiunge anche la natura stessa dei contendenti: non più Stati riconoscentisi la loro sovranità, bensì “entità” appartenenti alla medesima nazione, portatrici di ideali ed obiettivi completamente antitetici. Un conflitto siffatto non poteva che assumere le sembianze di una guerra giusta, dove gli avversari non si riconoscono più come

justi hostes e dove l’obiettivo è perseguito senza esclusione di colpi. Un nuovo e duro vulnus per lo jus publicum europaeum.

Consideriamo, adesso, le dinamiche di questo conflitto, che gli hanno valso i titoli più sopra menzionati.

Per il Nord, […] l’obiettivo politico della guerra era evidente: mantenere in vita l’Unione e il potere del governo eletto su tutti i singoli stati. Non c’era spazio per alcun compromesso. L’obiettivo strategico-militare era dunque quello di distruggere la capacità dei confederati di agire indipendentemente e in particolare di abbattere il governo di Richmond. Il Sud, avendo proclamato una Confederazione indipendente, e avendola realizzata a tutti gli effetti, per raggiungere il proprio scopo politico avrebbe dovuto limitarsi a resistere. Il suo obiettivo strategico-militare era quindi quello di mantenere le forze dell’Unione fuori dai propri territori, respingendone le armate180

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Il Nord poteva contare su una superiorità economica e logistica rispetto al suo avversario: possedeva un apparato industriale ben sviluppato ed una rete ferroviaria estesa. Oltre ad avere il controllo di quasi tutte le grandi città, l’Unione aveva anche la supremazia in campo navale. L’industria del Sud era invece in uno stato embrionale e la sua rete ferroviaria era lunga più o meno la metà di quella del Nord. Il numero dei cannoni e delle armi da fuoco non arrivava ad un terzo di quello messo in campo dagli eserciti dell’Unione. Solo da un punto di vista ideologico la Confederazione poteva far valere una sua superiorità:

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Rupert Smith, L’arte della guerra nel mondo contemporaneo, p. 132.

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molti alti ufficiali e soldati ben addestrati avevano scelto di combattere per l’esercito sudista, e la volontà di difendere il proprio stile di vita suscitò nella popolazione un grande fervore patriottico, che indusse migliaia di uomini ad arruolarsi come volontari181.

Nell’Unione, invece, la guerra era a tal punto impopolare da costringere il governo a ricorrere al reclutamento obbligatorio. Questa impopolarità della guerra influenzò in parte la strategia del Nord: per evitare che la guerra si prolungasse troppo, si cercarono soluzioni che potessero portare velocemente al crollo del Sud. «Una di queste fu la distruzione delle capacità industriali del nemico: una specie di guerra totale che fece entrare l’ambito civile nel conflitto, con la distruzione di infrastrutture, impianti produttivi, colture e tutto ciò che poteva sostenere lo sforzo bellico»182. Fu

così che la violenza bellica oltrepassò i confini dei campi di battaglia.

L’obiettivo del Nord era portare alla resa l’avversario, fiaccando non solo il morale dei combattenti, ma anche, e soprattutto, quello dei non combattenti. Le parole del capo delle forze dell’Unione Philip Henry Sheridan bene riassumono la strategia messa in atto: «è difficile piegare con le armi un popolo fiero, combattivo, coraggioso; ma mettete alla fame i suoi vecchi, i suoi bambini e le sue donne; distruggete sistematicamente le sue case: e vedrete i fucili cadere dalle mani dei combattenti». L’operazione affidata al maggiore generale William T. Sherman, la quale prevedeva di attaccare in profondità i territori del Sud e che si concluse con la famosa marcia verso il mare attraverso la Georgia, si attenne al disegno di Sheridan.

Sospinto da una parte dalla convinzione ideologica, diffusa nell’opinione pubblica dell’Unione, che fosse meglio violare le vecchie regole della guerra piuttosto che lasciare prevalere i principi degli uomini di stato confederati, e dall’altro dal calcolo strategico che l’unico modo di porre fine alla guerra fosse «renderla terribile al di là di ogni sopportazione» [cit. in Schelling 1966, 15], Sherman si rivolse in modo sistematico contro la volontà di resistenza del popolo nemico distruggendo tutti gli impianti industriali, i mulini, i magazzini, le stazioni, le strade ferrate e, in caso di resistenza, le stesse abitazioni private. Dopo essere stata evacuata, la stessa capitale della Georgia, Atlanta, fu data interamente alle fiamme. «Se il popolo urlerà contro la mia barbarie e la mia crudeltà, risponderò che la guerra è guerra […]. Se vogliono la pace, loro e i loro familiari devono interrompere la guerra» [ibidem]183.

Colombo, e con lui altri commentatori, fa risalire l’origine del duplice sconfinamento del terrore – dal campo di battaglia, da un lato, e della violenza senza regole dall’altro – proprio alla famosa marcia attraverso la Georgia del generale Sherman.

Ormai era divenuto chiaro che, per vincere una guerra, giocassero un ruolo di primo piano linee di comunicazione estese e un apparato industriale efficiente. Il Sud non riuscì a colmare il divario esistente con il suo avversario, in quanto si presentava fortemente carente in entrambi i settori. Mentre gli Stati confederati si vedevano distruggere dal nemico le già esigue strade ferrate, senza

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Rupert Smith, L’arte della guerra nel mondo contemporaneo, p. 139.

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Ibid., p. 140.

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che le industrie fossero capaci di sostituirle, l’Unione, che già partiva con una buona copertura ferroviaria, riuscì ad estenderla durante il conflitto, grazie ad una produzione di rotaie su scala industriale. Sul versante degli armamenti, la guerra fornì lo slancio al loro sviluppo: «furono introdotte le armi a retrocarica e migliorati i proiettili d’artiglieria, fu sviluppata la produzione di massa dei fucili e delle munizioni, le navi da guerra vennero corazzate ed entrarono in servizio treni armati composti di vagoni blindati che ospitavano cannoni leggeri e fucilieri»184

.

Insomma, l’industria incise su ogni aspetto della guerra civile: trovarsi impreparati sotto questo aspetto significava essere destinati alla sconfitta. Così fu per il Sud, il quale, ormai prostrato dalla strategia distruttiva del Nord, si vide costretto a chiedere la pace.

La guerra civile americana ebbe un impatto importante sui modi di concepire e fare la guerra futuri; da quel momento fu chiaro come l’industria, consentendo la produzione di nuovi tipi di armi e di nuovi sistemi di trasporto, fosse divenuta il settore chiave nella conduzione delle ostilità, dal quale non si poteva più prescindere. Ma ciò che più qualificò il conflitto americano fu la messa in luce dell’utilità di usare la forza fuori dal campo di battaglia. Se alla Rivoluzione Francese si attribuisce il merito di aver armato il popolo, alla guerra di secessione americana si può attribuire quello di aver dilatato, fino a comprendere l’interezza del suolo di una nazione, il campo di battaglia. Va da sé che una tale strategia, oltre a non potersi più basare sull’usuale distinzione fra combattenti e non combattenti, finisca addirittura per prediligere l’attacco ai civili. Non guerra di popolo, ma guerra contro il popolo.

Un’altra questione relativa alla guerra di secessione americana merita qualche considerazione; nel maggio del 1861 gli Stati del Sud vennero riconosciuti quali parti in guerra da alcune potenze europee, quali l’Inghilterra e la Francia. Un tale riconoscimento produsse una grande controversia fra il governo degli Stati Uniti d’America e le due nazioni europee, che si protrasse per decenni. La giustificazione inglese consisteva nella semplice constatazione che un tale riconoscimento avrebbe riportato nell’alveo del justum bellum il conflitto americano; ciò «voleva significare solo che la guerra in oggetto, anche a voler lasciare impregiudicata la questione della sua giustizia, era pur sempre una guerra nel senso del diritto internazionale ed era quindi sottoposta alle regole di una moderna e civile condotta di guerra»185. Il governo inglese voleva quindi allontanare da sé il

sospetto di parteggiare per la causa degli Stati confederati, e disconoscere la natura civile – di conflitto intestino – alla guerra americana.

184

Rupert Smith, L’arte della guerra nel mondo contemporaneo, p. 143.

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Se essi [gli Inglesi] continuavano a parlare della loro neutralità nei confronti di entrambe le parti in lotta nel quadro della guerra civile, intendevano in realtà esclusivamente applicare il concetto non discriminante di guerra interstatale a una guerra civile intrastatale186.

Tali giustificazioni, come è facile intuire, suscitarono l’irritazione del governo americano. Il riconoscimento degli insorti non poteva avere un carattere meramente dichiarativo o fattuale.

Tanto da un punto di vista pratico, quanto da un punto di vista morale e giuridico, il riconoscimento degli insorti è qualcosa di completamente diverso da una constatazione di fatto o da un’enunciazione meramente dichiarativa. Ogni riconoscimento che una grande potenza pronuncia nei confronti degli insorti di un altro Stato rafforza il potenziale di lotta non solo morale, giuridico e propagandistico, ma anche militare di questi insorti, rei di alto tradimento e di sabotaggio, e ciò in modo immediatamente effettivo. […] In realtà il governo americano attaccava con la sua argomentazione lo stesso istituto giuridico del riconoscimento degli insorti quali belligeranti, non solo perché il riconoscimento di una guerra interna allo Stato era incompatibile con l’unità e l’indivisibilità della sovranità statale, ma anche perché l’equiparazione giuridica tra un governo legale e i suoi nemici illegali, interni allo Stato, non appariva affatto come l’espressione di una perfetta neutralità. Al contrario, comportava la valutazione di un evento interno allo Stato divergente da quella del governo competente, venendo in tal senso a costituire una forma di intervento piena di conseguenze187.

Se il riconoscimento inglese degli insorti poteva avere il merito di qualificare questi come justi

hostes, e di conseguenza garantire loro un trattamento conforme alle norme dello jus in bello,

dall’altra parte si configurava come uno snaturamento dello jus publicum europaeum, che contemplava esclusivamente le guerre interstatali. Le guerre civili dovevano rimanere di esclusiva pertinenza dello Stato entro il quale esse si manifestavano. Ogni ingerenza esterna – come fu avvertito il riconoscimento inglese degli insorti – avrebbe minato l’istituto stesso della sovranità statale.

Come sappiamo, le guerre civili (insieme a quelle coloniali), essendo guerre infrastatali, rimasero sempre avulse dal rispetto delle norme dello jus in bello, essendo queste valevoli esclusivamente per i conflitti interstatali. Non sorprende, dunque, che coerentemente gli Stati dell’Unione, ritenendosi l’espressione del governo legittimo, poterono utilizzare ogni mezzo per sconfiggere coloro che, ai loro occhi, apparivano come ribelli e traditori.

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