È significativo che proprio a partire dalla seconda metà del XIX secolo, quando cominciava a farsi evidente la natura sempre più distruttiva delle pratiche belliche, si registrino i primi tentativi di limitare l’assoluta libertà degli Stati di muovere guerra se, quando e come avessero voluto.
Tali tentativi, che si concretizzarono nella stesura di codici e convenzioni, furono indotti dalla constatazione degli effetti sempre più sanguinosi delle guerre, cui la tecnologia andava fornendo strumenti sempre più efficaci per danneggiare il nemico.
9.1 Il Codice Lieber.
Anche nel caso dalla guerra civile americana, la portata degli orrori prodotti condusse ad un ripensamento delle pratiche belliche, concretizzatosi nel testo delle Lieber’s Instructions, redatte nel 1863, a guerra non ancora conclusa. «Si tratta di 150 articoli che codificano le norme del diritto
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Rupert Smith, L’arte della guerra nel mondo contemporaneo, p. 159.
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Ibid., p. 160.
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consuetudinario che gli stati maggiori degli eserciti in epoca moderna tendevano ad adottare nell’intento di condurre le guerre secondo metodi razionali coerenti con i principi della civiltà alla quale appartenevano»193
.
Tali princìpi, pur essendo rivolti unicamente all’esercito degli Stati Uniti, rappresentarono un importante modello per le Convenzioni dell’Aja del 1899 e del 1907, e dunque per lo sviluppo del diritto bellico internazionale.
Lo spirito che attraversa il Codice Lieber è quello di limitare alle strette necessità il ricorso alla forza e di ricondurlo nell’ambito della razionalità. «Di fronte alla constatazione che la tendenza degli eserciti sul campo di battaglia è quella di cedere agli impulsi della violenza gratuita e alla inconsulta vendetta nei confronti di un nemico temuto e per questo odiato quotidianamente, il codice tenta di limitare le azioni militari alla luce delle leggi eterne del diritto umanitario»194.
Vediamo più nel dettaglio alcuni articoli del codice, per evidenziarne alcune significative peculiarità.
Innanzitutto, in alcuni articoli si nota come sia perfettamente assimilato il concetto che la guerra, per essere tale, debba avere carattere pubblico, ossia rappresentare un affare di Stato; così recita parte dell’articolo 20 del codice: «Public war is a state of armed hostility between sovereign nations or governments»195.
Nell’articolo 30 si afferma che proprio nel momento in cui le guerre divennero statali, esse ebbero la tendenza a sfuggire ad ogni tipo di restrizioni. Qui si attua il rovesciamento del ragionamento schmittiano, che voleva le guerre, proprio perché tra Stati riconoscentisi justi hostes, limitate e non totali. Vediamo le parole dell’articolo 30: «Ever since the formation and coexistence of modern nations, and ever since wars have become great national wars, […] no conventional restriction of the modes adopted to injure the enemy is any longer admitted». L’articolo prosegue affermando che il diritto di guerra, al quale lo stesso Codice Lieber intende contribuire, ha lo specifico obiettivo di porre delle restrizioni alla condotta degli Stati in guerra: «but the law of war imposes many limitations and restrictions on principles of justice, faith, and honor».
L’articolo 20, in parte già citato, continua affermando l’unità della nazione, la quale si manifesta, oltre che nei periodi di pace, anche in quelli di guerra. L’articolo sembra ormai considerare la guerra non più come un arcanum regni o come mero scontro fra le forze armate degli eserciti regolari, bensì come un evento che, nel bene e nel male, coinvolge l’intera popolazione: «It is a law and requisite of civilized existence that men live in political, continuous societies, forming organized units, called states or nations, whose constituents bear, enjoy, suffer, advance and
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Giorgio De Vecchi, Breve storia del diritto internazionale umanitario; saggio reperibile online.
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Ivi.
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retrograde together, in peace and in war». Nell’articolo successivo, il ventunesimo, si ribadisce il concetto: «The citizen or native of a hostile country is thus an enemy, as one of the constituents of the hostile state or nation, and as such is subjected to the hardships of the war».
Paradossalmente, negli articoli successivi si afferma che, grazie al progresso della civiltà compiuto nell’ultimo secolo, gli Stati hanno accettato una distinzione fra civili e militari, evitando che i primi fossero toccati dalle violenze belliche (per quanto lo consentissero le esigenze di guerra). «Art. 22. Nevertheless, as civilization has advanced during the last centuries, so has likewise steadily advanced, especially in war on land, the distinction between the private individual belonging to a hostile country and the hostile country itself, with its men in arms. The principle has been more and more acknowledged that the unarmed citizen is to be spared in person, property, and honor as much as the exigencies of war will admit». Ovviamente, il progresso della civiltà, che ha consentito di preservare la vita delle popolazioni durante i conflitti, ha riguardato solo gli Europei e i loro discendenti americani: «Art. 25. In modern regular wars of the Europeans, and their descendants in other portions of the globe, protection of the inoffensive citizen of the hostile country is the rule; privation and disturbance of private relations are the exceptions». Agli albori della civiltà e tuttora presso i popoli barbari, le popolazioni civili soffrono ancora tutti gli inconvenienti della guerra: privazione della libertà, mancanza di protezione, rottura dei legami familiari. «Art. 24. The almost universal rule in remote times was, and continues to be with barbarous armies, that the private individual of the hostile country is destined to suffer every privation of liberty and protection, and every disruption of family ties. Protection was, and still is with uncivilized people, the exception». Singolare che le Lieber’s Instructions – ritenute la risposta alle crudeltà che i militari unionisti e confederati stavano compiendo nella guerra di secessione ancora in corso – considerino gli americani fra i popoli che praticano la guerra all’insegna dell’umanità e del rispetto della vita umana.
Dopo aver stabilito che la tutela della popolazione durante il conflitto rappresenta, oltre che un dovere, un marchio distintivo della condotta della guerra dei popoli civilizzati, si procede specificando quali siano effettivamente le azioni proibite e quali, invece, consentite.
Innanzitutto, già all’articolo 14 si stabilisce cosa debba intendersi per ‘necessità militare’ e quali operazioni possano essere fatte rientrare sotto questa categoria: «Military necessity, as understood by modern civilized nations, consists in the necessity of those measures which are indispensable for securing the ends of the war, and which are lawful according to the modern law and usages of war». Dunque, ricadono sotto la necessità militare tutti quei provvedimenti che sono indispensabili per la conclusione del conflitto e che non trasgrediscono la legge e gli usi di guerra. L’articolo successivo enumera i casi in cui può essere invocata la necessità militare: «Military necessity admits of all
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direct destruction of life or limb of armed enemies, and of other persons whose destruction is incidentally unavoidable in the armed contests of the war; it allows of the capturing of every armed enemy, and every enemy of importance to the hostile government, or of peculiar danger to the captor; it allows of all destruction of property, and obstruction of the ways and channels of traffic, travel, or communication, and of all withholding of sustenance or means of life from the enemy; of the appropriation of whatever an enemy's country affords necessary for the subsistence and safety of the army, and of such deception as does not involve the breaking of good faith either positively pledged, regarding agreements entered into during the war, or supposed by the modern law of war to exist».
Dunque, ogniqualvolta la necessità militare lo richieda, è lecito, oltre che nuocere al nemico in armi, distruggere le proprietà e le vie di comunicazione, e privare l’avversario di ogni mezzo che garantisca la sua difesa e la sua sussistenza. Se ciò implica il danneggiamento, o perfino l’uccisione, di persone estranee ai corpi armati, è da ritenersi un effetto collaterale della necessità militare, e dunque non comporta una trasgressione della legge.
Che la guerra, secondo il Codice Lieber, possa essere condotta con altri mezzi che non siano esclusivamente militari, lo rende esplicito l’articolo 17: «War is not carried on by arms alone. It is lawful to starve the hostile belligerent, armed or unarmed, so that it leads to the speedier subjection of the enemy».
Ogni violazione alla necessità militare è severamente punita: «Art. 44. All wanton violence committed against persons in the invaded country, all destruction of property not commanded by the authorized officer, all robbery, all pillage or sacking, even after taking a place by main force, all rape, wounding, maiming, or killing of such inhabitants, are prohibited under the penalty of death, or such other severe punishment as may seem adequate for the gravity of the offense.
A soldier, officer or private, in the act of committing such violence, and disobeying a superior ordering him to abstain from it, may be lawfully killed on the spot by such superior».
Appare evidente come sotto l’ampia categoria di necessità militare, rientrando sotto di essa tutti quegli atti che in qualche modo possono contribuire alla veloce conclusione del conflitto e al ristabilimento della pace, scompaia il principio di tutela delle popolazioni inermi. Inoltre, non si può non rilevare come lo stabilire cosa sia concesso o meno nelle ostilità rimandi completamente alla discrezione del capo militare. Qualsiasi atto, anche il più atroce, se considerato necessario, non è illegittimo.
L’articolo 19 ben riassume ciò che abbiamo appena detto: «Commanders, whenever admissible, inform the enemy of their intention to bombard a place, so that the noncombatants, and especially the women and children, may be removed before the bombardment commences. But it is no
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infraction of the common law of war to omit thus to inform the enemy. Surprise may be a necessity». Ancora una volta si affida alla discrezione del comandante la decisione di far evacuare donne e bambini da un luogo prima di bombardarlo. L’effetto sorpresa può costituire una necessità. La IV sezione del codice è dedicata a categorizzare quei soggetti che prendono le armi e partecipano alle ostilità, senza far parte dell’esercito regolare. I cinque articoli costituenti la sezione evidenziano come ormai sia stata raggiunta la consapevolezza che i militari delle forze autorizzate non rappresentino più gli unici soggetti che partecipano alle ostilità; esiste una vasta gamma di attori che, a diverso titolo, contribuisce alla guerra.
Gli articoli della IV sezione distinguono cinque tipologie di combattenti estranei alle forze regolari. La prima è costituita da quelli che vengono definiti «partisans» i quali «are soldiers armed and wearing the uniform of their army, but belonging to a corps which acts detached from the main body for the purpose of making inroads into the territory occupied by the enemy. If captured, they are entitled to all the privileges of the prisoner of war». Sorprendentemente, sono definiti partigiani coloro che indossano l’uniforme dell’esercito e sono armati. L’unica cosa che li differenzia riguarda la loro attività – fatta prevalentemente di scorrerie nel territorio nemico – collaterale e separata rispetto alle operazione dell’esercito regolare. Se catturati, godono dei medesimi privilegi di un qualsiasi altro militare.
La seconda categoria, alla quale è dedicato l’articolo 82, comprende «Men, or squads of men, who commit hostilities, whether by fighting, or inroads for destruction or plunder, or by raids of any kind, without commission, without being part and portion of the organized hostile army, and without sharing continuously in the war, but who do so with intermitting returns to their homes and avocations, or with the occasional assumption of the semblance of peaceful pursuits, divesting themselves of the character or appearance of soldiers – such men, or squads of men, are not public enemies, and, therefore, if captured, are not entitled to the privileges of prisoners of war, but shall be treated summarily as highway robbers or pirates». In questa categoria si fanno rientrare tutti coloro che partecipano alle ostilità in modo saltuario, senza far parte dell’esercito regolare e senza avere un preciso incarico (pur potendo avere «the character or appearance of soldiers»). Nel loro caso, se catturati, possono essere trattati sommariamente, alla stregua di ladri o pirati.
L’articolo 83 stabilisce che il soldato che si travesta con l’uniforme dell’esercito nemico, con lo scopo di ottenere informazioni, verrà trattato, se catturato, come una spia e, conseguentemente, punito con la morte.
L’articolo successivo invece riguarda tutti coloro che «Armed prowlers, by whatever names they may be called, or persons of the enemy's territory, who steal within the lines of the hostile army for the purpose of robbing, killing, or of destroying bridges, roads or canals, or of robbing or destroying
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the mail, or of cutting the telegraph wires, are not entitled to the privileges of the prisoner of war». Anche in questo caso, come per l’articolo 82, si fa riferimento a quella vasta categoria di soggetti, non riconducibili all’esercito regolare, che compiono atti bellici. A differenza della seconda categoria, che prevedeva soggetti che momentaneamente assumevano le “sembianze” di soldati, l’articolo 83 sembra essere maggiormente generico, riferendosi semplicemente a civili armati. L’ultima categoria, a cui è riservato l’articolo 85, contempla i ribelli di guerra: «War-rebels are persons within an occupied territory who rise in arms against the occupying or conquering army, or against the authorities established by the same. If captured, they may suffer death, whether they rise singly, in small or large bands, and whether called upon to do so by their own, but expelled, government or not. They are not prisoners of war; nor are they if discovered and secured before their conspiracy has matured to an actual rising or armed violence». In questo caso, si fa riferimento a coloro che, all’interno di un territorio occupato, prendono le armi contro l’esercito o le autorità occupanti – sia che lo facciano per ordine del governo espulso, sia che insorgano volontariamente. Anche in questo caso, se catturati, tali ribelli non godono di alcuna garanzia giuridica.
In conclusione, possiamo affermare che viene considerato legittimo belligerante – con tutte le garanzie che questo comporta – chi fa regolarmente parte dell’esercito regolare e chi, come i
partisans dell’articolo 81, indossi l’uniforme e conduca operazioni all’interno di corpi regolari
distaccati dall’esercito. Tutti gli altri finiscono nella categoria degli armed prowlers, dei ribelli, dei ladri o dei delinquenti comuni.
Il Codice Lieber è passato alla storia come uno dei primi tentativi di mettere per iscritto alcune norme relative alla condotta in guerra. Al suo interno abbiamo trovato conferma che la guerra interstatale rappresenti l’unico paradigma legittimo e come, di conseguenza, unici belligeranti legittimi siano le forze armate dello Stato. Come è ovvio, un tale assioma porta con sé, come conseguenza, la distinzione fra combattenti e non combattenti: questi ultimi, in quanto non legittimati a prendere parte alle attività belliche, dovrebbero rimanere immuni dalle conseguenze delle ostilità. Ciò, in linea di principio, dovrebbe corrispondere al vero, se non fosse che esistono delle circostanze in cui non è possibile rispettarne l’inviolabilità. Con l’introduzione della necessità militare, si apre infatti un ventaglio di probabilità che fanno decadere il principio a tutela dei civili. Tutto ciò che è finalizzato alla rapida e positiva conclusione del conflitto – implichi pure l’uccisione di inermi – è concesso. Tutto è quindi rimandato alla necessità di guerra e, in ultima istanza, alla discrezione del comandante militare, che stabilisce quando essa possa essere invocata.
Dall’intero testo del codice traspare una fiducia quasi incondizionata nella razionalità e buona fede dell’uomo occidentale, che lo porterebbe, per natura, ad aborrire pratiche scorrette e disumane. In questo senso, non si percepisce l’estrema fragilità di un concetto, quale quello di necessità
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militare, che si basa esclusivamente sulla fiducia che un capo militare la invochi solo per giusti motivi.
9.2 Le Convenzioni europee: da Ginevra all’Aja.
Fra le prime convenzioni europee è da citare quella di Ginevra del 1864; essendo il suo preciso intento quello di migliorare la sorte dei militari feriti in guerra, non stupisce che essa scaturì proprio dall’indignazione suscitata dalla battaglia di Solferino, fra le più cruenti che il suolo europeo avesse ospitato.
[…] il lamento dei feriti disseminati lungo le strade la sera della battaglia del 24 giugno, per soccorrere i quali erano in azione solo sei medici, si stampò nella mente di un testimone occasionale, il ginevrino, Jean-Henry Dunant che da quell’esperienza derivò un impegno umanitario definitivo e che gli fu riconosciuto con l’attribuzione del primo premio Nobel per la pace nel 1901. Nel 1862 egli pubblicò «Un souvenir de Solferino», un libro nel quale, oltre a descrivere gli orrori della battaglia e le sue conseguente devastanti sul corpo dei soldati, indicava quale soluzione la costituzione di un corpo specializzato per la cura dei feriti in guerra. Sull’onda dell’impatto d’opinione suscitata, furono accelerati i tempi per la convocazione della prima Conferenza internazionale a Ginevra, dove il 22 agosto 1864 fu firmata la Convenzione sul miglioramento delle condizioni dei feriti in guerra. È questa la data e l’atto di nascita della Croce Rossa Internazionale 196.
L'8 agosto 1964, a Ginevra, venne convocata una Conferenza diplomatica alla quale parteciparono i rappresentanti di 12 governi, compresi gli Stati Uniti, unica potenza non europea rappresentata. I lavori si conclusero con la stesura di un documento, composto da dieci articoli, che garantiva neutralità e protezione alle ambulanze e agli ospedali militari, al personale delle équipes sanitarie e al materiale utilizzato. La protezione venne estesa anche alla popolazione civile che si fosse adoperata per i soccorsi ai feriti.
Viene stabilita, inoltre, la regola fondamentale secondo la quale «i militari feriti o malati saranno raccolti e curati, a qualunque nazione appartengano».
La prima Convenzione di Ginevra, passo decisivo nella storia del diritto internazionale umanitario, si pose l’obiettivo di mitigare la crudeltà della guerra; essa, dichiarando la neutralità del militare ferito, rappresentò un primo passo verso il riconoscimento della dignità umana, senza distinzioni di appartenenza di campo.
I lavori della prima Conferenza dell’Aja, che si concluse il 29 luglio 1899, si concretizzarono nella stesura di tre Convenzioni.
Con la prima veniva istituita una Corte permanente d’arbitrato allo scopo di prevenire i conflitti armati. Detta impropriamente ‘Tribunale dell'Aja’, la Corte era di fatto un elenco di arbitri nominati dagli Stati aderenti (4 per ogni Stato) ai quali veniva affidato, di volta in volta, il giudizio arbitrale sulle controversie internazionali. La Corte espletò la sua più intensa attività negli anni che
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precedettero la Prima guerra mondiale; anche se l'efficacia degli arbitrati non riuscì a impedire la corsa alla guerra, il lavoro e l'esperienza giuridica acquisiti suggerirono, nel 1921, la costituzione della Corte permanente di giustizia internazionale nell'ambito della Società delle Nazioni.
La terza si limitò ad estendere alle guerre sul mare le norme di protezione dei feriti stabilite nella conferenza di Ginevra del 1864; essa però restò lettera morta almeno fino al 1907.
La seconda, concernente le leggi e gli usi della guerra terrestre, è la più importante.
Già nel suo preambolo197 notiamo che ricorrono con molta frequenza termini che descrivono
l’operazione del revisionare per limitare, che rappresenterà uno degli obiettivi primari del diritto internazionale.
Le parti contraenti, ci dicono, hanno ravvisato la necessità di «sottoporre a revisione le leggi e gli