• Non ci sono risultati.

Kant: progetti di pace perpetua.

3. Giuristi contro teologi: dalla morale al diritto.

5.2 Kant: progetti di pace perpetua.

Accanto alla dottrina dell’equilibrio, di cui Vattel fu uno dei più fedeli seguaci, il Settecento conobbe un altro modo di pensare le relazioni fra gli Stati e, conseguentemente, una strada diversa per garantire pace e benessere al continente europeo.

Già Rousseau aveva dedicato ai due pilastri costitutivi della repubblica europea sferzanti critiche: la diplomazia dei trattati – da lui definita «“una guerra continuata, tanto più crudele in quanto il nemico vinto non ha più il diritto di difendersi” – e lo jus gentium – leggi chimeriche perché prive di sanzione, garantite “solo dall’utile di chi ci si assoggetta”»114.

Con le sue parole, Rousseau esprime lo scetticismo che aleggiava intorno a quel progetto, di cui la dottrina dell’equilibrio ne è la precisa manifestazione, che affidava interamente alla buona volontà dei sovrani la tenuta pacifica dell’interno continente europeo.

A prima vista sembra che in questo diritto internazionale interstatale di sovrani equiparati tutto sia legato al filo sottile dei trattati con cui questi Leviatani vincolano se stessi: al pacta sunt servanda e all’auto-obbligazione contrattuale di

112

Emmerich de Vattel, Le droit des Gens, 1758, in Carlo Galli (a cura di), Guerra, p. 93.

113

Carl Schmitt, Il nomos della terra, p. 201.

46

sovrani che restano liberi. Questo sarebbe in effetti un tipo di diritto problematico e altamente precario. Sarebbe veramente un’associazione di egoisti e di anarchici, le cui auto-obbligazioni richiamano l’arguta immagine del giocoliere virtuoso nell’arte di liberarsi da ogni catena115.

Da queste critiche prenderà avvio «la proposta costruttiva attorno alla quale si svilupperà il successivo dibattito teorico-politico: superare l’imperfetta capacità regolativa di autobbligazioni volontarie rimesse alla libera disponibilità dei sottoscrittori – e dunque, in ultima analisi, alla sola legge del più forte – in favore della creazione di un più solido vincolo associativo tra gli Stati, fondato su una cessione, quanto meno parziale, di sovranità. Sarà proprio a partire da queste basi che si svilupperà la particolare via settecentesca alla pace perpetua»116.

Il Zum ewigen Frieden kantiano (ma nel complesso un po’ tutta la produzione del filosofo) rappresenta uno dei progetti più noti, che si sforzano di trovare la strada per attribuire al sistema delle relazioni internazionali quell’armonica stabilità che sin dall’inizio dell’epoca moderna gli è completamente mancata. La pace perpetua rappresenta dunque il fine verso il quale l’intero progetto kantiano tende.

L’argomentazione del filosofo tedesco parte dal presupposto che, per superare la conflittualità permanente prodotta del sistema dell’equilibrio, sia necessario una costituzione politica in cui l’ultima parola sulla guerra spetti alla generalità della cittadinanza. A questo proposito, Kant ritiene che la costituzione repubblicana, ispirata agli ideali di libertà ed eguaglianza, sia il miglior assetto politico-istituzionale per la realizzazione di una pace perpetua. Così il filosofo argomenta il suo assunto:

Ora, la costituzione repubblicana […] presenta anche la prospettiva della conseguenza voluta, ossia la pace perpetua; ed eccone la ragione. – Se […] il consenso dei cittadini è richiesto per deliberare «se la guerra debba essere o no», allora non c’è niente di più naturale che, in quanto quelli che dovrebbero assumere su se stessi tutte le calamità della guerra (poiché si tratta di combattere in prima persona, di sostenere le spese della guerra con i propri averi, di riparare faticosamente le distruzioni che essa lascia dietro di sé; e per colmo dei mali, infine, di caricarsi, a causa di prossime e sempre nuove guerre, di un debito mai estinguibile, che renderà amara la stessa pace), essi riflettano a lungo prima di iniziare un così cattivo gioco117.

La costituzione repubblicana rappresenta per Kant solo uno dei presupposti per la realizzazione della pace perpetua. «Accanto ad essa, si ripropone infatti con intatto vigore l’esigenza di dare vita a una forma di raccordo interstatuale, in grado di sostituire anche a questo livello le ragione del diritto a quelle della forza»118. Kant condivide con gli altri pacifisti settecenteschi l’idea che lo jus gentium,

così come è stato finora concepito e realizzato, non garantisca un ordine pacifico nei rapporti

115 Carl Schmitt, Il nomos della terra, p. 174. 116

Luca Scuccimarra, I confini del mondo, p. 296.

117

Immanuel Kant, Per la pace perpetua. Un progetto filosofico, 1795, in Carlo Galli (a cura di), Guerra, p. 106.

47

internazionali. È necessario che le relazioni fra gli Stati siano regolamentate da una giurisdizione al di sopra delle parti, a cui far ricorso ogni qual volta si presentino motivi di attrito. Solo così, si può sfuggire all’estrema libertà di giudizio e azione che caratterizza i soggetti statali, colpevole dell’attuale ed endemica conflittualità.

Come la pace tra gli individui richiede «il patto di fondazione di una costituzione civile (factum unionis civilis)», nella quale «ognuno possa aver riconosciuto e garantito il suo contro ogni attentato da parte di altri», allo stesso modo la pace tra gli Stati sembra presupporre una «convenzione dei popoli» che abbia come fine la fondazione di un nuovo ordine giuridico internazionale119.

Se la costituzione repubblicana rappresenta per Kant l’ordinamento più consono per l’attuazione della pace perpetua partendo dall’interno degli Stati stessi, all’esterno una perfetta garanzia di pace potrebbe essere offerta dalla creazione di un’istituzione politica transnazionale in grado di garantire a ciascun popolo il suo diritto. Quest’ultima, sulla base di un principio di federazione dei popoli, prenderebbe le sembianze di una “repubblica universale”, da Kant altrimenti definita come un

Völkerstaat, uno Stato di popoli. Tale nozione implica, nel ragionamento kantiano, il totale

assoggettamento dei diversi popoli costituenti la repubblica universale ad un potere superiore da loro stessi costituito.

A questo punto, gli studiosi del filosofo tedesco non hanno potuto evitare di constatare come il ragionamento kantiano si macchi di inestricabili contraddizioni.

Ricordiamo come il progetto federativo implichi, necessariamente, la cessione, da parte degli Stati, di almeno una parte della loro sovranità.

Considerato il ruolo assolutamente decisivo che nella teoria politica kantiana la dinamica della sovranità assume ai fini dell’esistenza di un popolo come soggetto costituito, ciò equivarrebbe però al letterale dissolvimento di quelle stesse entità collettive di cui si postula un più stretto coordinamento ai fini di una coesistenza durevolmente pacifica120. Detto con le parole del filosofo, uno Stato di popolo non potrebbe non scontrasi con un’insuperabile contraddizione logica,

perché ogni Stato contiene il rapporto di un superiore (che dà le leggi) con un inferiore (che obbedisce, cioè il popolo), e molti popoli di uno Stato costituirebbero solo un popolo, ciò che contraddice alla premessa (giacché qui si ha da affrontare il diritto dei popoli l’uno verso l’altro, in quanto costituiscono diversi Stati e non devono fondersi in uno Stato)121.

119 Luca Scuccimarra, I confini del mondo, p. 332 (tra virgolette citazioni da Kant, tratte da Über den Gemeinspruch e da

Zum ewigen Frieden).

120

Ibid., pp. 333-334.

48

Più sotto: «ogni Stato ripone la sua maestà […] proprio nel non essere sottoposto ad alcuna coazione legale esterna […]»122.

In queste parole si scorge la difficoltà nel conciliare un progetto, quale quello della repubblica universale – che si propone di limitare la sovranità degli Stati in nome della pace – con il dogma della sovranità, che lo stesso Kant fatica ad abbandonare.

Il compromesso che il filosofo raggiunge, che gli permette di superare apparentemente la contraddizione, prevede un passaggio graduale dalla situazione di anarchia, nella quale gli Stati godono di piena e sfrenata libertà, ad una di ordine perfetto, nella quale avremo un Völkerstaat che comprenderà tutti i popoli della Terra.

Per Stati che sono in rapporti reciproci non può esserci, secondo la ragione, nessun altro modo di trarsi fuori dallo stato senza legge, in cui c’è soltanto guerra, se non che rinuncino, proprio come i singoli uomini, alla loro libertà selvaggia (senza legge), si adattino a leggi pubbliche coattive e così formino (certo progressivamente) uno Stato di popoli (civitas gentium) che infine comprenderà tutti i popoli della Terra. In quanto però, secondo la loro idea del diritto dei popolo, non vogliono affatto questo […], in luogo dell’idea positiva di una repubblica universale (se non si vuol perdere tutto), solo il surrogato negativo di una confederazione che respinga la guerra, che sia permanente e che si ampli sempre più, può trattenere il vortice delle inclinazioni bellicose e contrarie al diritto, ma certo con costante pericolo della sua rottura123.

Non possiamo non accennare, per completare il quadro, all’invito kantiano a non condurre i rapporti con i popoli non europei all’insegna dell’aggressività e della volontà di dominio. È necessario, per portare a definitivo compimento il progetto di creazione di uno Stato mondiale dei popoli, che fin da subito venga bandita ogni forma di colonialismo a favore di un diritto cosmopolitico.

Ora, dato che la comunanza (stretta o meno) ormai dovunque prevalente tra i popoli della Terra si è estesa a tal punto che la violazione del diritto compiuta in un punto della Terra viene percepita in tutti, l’idea di un diritto cosmopolitico non è un modo chimerico e stravagante di rappresentarsi il diritto, ma un necessario completamento del codice non scritto sia del diritto dello Stato che del diritto delle genti, per il diritto pubblico degli uomini in generale, e così per la pace perpetua, verso cui si può sperare di trovarsi in continuo avvicinamento solo a questa condizione124.

Per concludere, possiamo affermare che l’intero progetto kantiano, pur fra contraddizioni e difficoltà interpretative, si distingua per l’ambizione: nessun tentativo di categorizzazione o limitazione della guerra, ma pura volontà di una sua eliminazione. La fine delle ostilità e dunque il raggiungimento della pace perpetua poggiano, per Kant, su tre pilastri: «repubblica all’interno (ossia uguaglianza, libertà, legalità e cittadinanza informata), federazione di Stati, o di popolo […], all’esterno (ossia progressiva dismissione degli aspetti violenti ed egoistici della sovranità, e

122

Immanuel Kant, Per la pace perpetua. Un progetto filosofico, 1795, in Carlo Galli (a cura di), Guerra, p. 107.

123

Ibid., pp. 109-110.

49

contemporanea trasformazione del diritto delle genti che deve perdere il proprio carattere di diritto alla guerra), e infine instaurazione del diritto cosmopolitico e quindi del divieto di considerare i popoli extraeuropei come passibili di colonizzazione (ossia critica dello jus publicum europaeum come struttura epocale fondata sulla differenza fra Europa e resto del mondo)»125

.

Outline

Documenti correlati