V. L’ITALIA E LA SECONDA GUERRA MONDIALE.
2. Il processo per le Fosse Ardeatine.
Il 3 maggio 1948 ha inizio, presso il Tribunale militare territoriale di Roma, il processo contro il capo dell’Aussenkommando Rom della polizia di sicurezza Herbert Kappler, responsabile della strage delle Fosse Ardeatine. Sul banco degli imputati, accanto al tenente colonnello delle SS, siedono altri cinque appartenenti alla polizia di sicurezza germanica – il maggiore Borante Domizlaff, il capitano Hans Clemens, il maresciallo ordinario Kurt Schutze, il maresciallo capo Johannes Quapp e il sergente maggiore Karl Wiedner.
L’importanza di tale processo è duplice: oltre ad essere il primo procedimento giudiziario celebrato da un Tribunale militare italiano per fatti compiuti da militari appartenenti alle forze armate tedesche, rappresenta il tentativo di fare giustizia per uno dei più gravi fatti criminosi avvenuti in Italia dopo l’8 settembre 1943.
2.1 Rappresaglia o repressione collettiva?
Com’è noto, l’uccisione di 335 persone avvenuta presso le Cave Ardeatine fu la risposta dei comandi militari tedeschi all’attentato avvenuto a Roma, in via Rasella, il 23 marzo 1944, compiuto – come si seppe successivamente – da una squadra di partigiani appartenente ai GAP romani.
La tesi difensiva poté dunque presentare la strage, non come un’uccisione indiscriminata, ma come una legittima rappresaglia o una repressione collettiva, in risposta alla morte di 33 soldati tedeschi avvenuta in seguito all’attentato di via Rasella493
. Il criterio utilizzato era rappresentato dal famigerato 10 a 1, ossia, passare per le armi dieci persone per ogni soldato tedesco morto. L’uccisione di cinque persone in più, che portò il computo delle vittime a 335, invece di 330 (essendo 33 i soldati morti), fu dovuta ad un errore nella compilazione delle liste.
Indaghiamo, a questo proposito, la legislazione riguardante il particolare istituto della rappresaglia, per poi valutare le decisioni prese dalla Corte giudicante.
Balladore Pallieri, la cui opera La Guerra è ripetutamente citata nel testo della sentenza in esame, così definisce la rappresaglia:
Il mezzo specifico concesso dal diritto internazionale come reazione contro la lesione ricevuta di un proprio diritto è la rappresaglia: al leso l’ordine internazionale concede di ledere a sua volta un diritto dell’offensore; ossia l’atto rivolto contro il diritto di quest’ultimo, e che sarebbe di per sé un atto illecito, cessa di essere tale perché legittimato dalla
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In un primo momento, i tedeschi rimasti uccisi nell’attentato furono 32; infatti, Kappler ricevette l’ordine di uccidere 320 persone. Le altre dieci, furono aggiunte da Kappler stesso, quando seppe della sopravvenuta morte di un trentatreesimo soldato tedesco. Successivamente, vedremo l’importanza di questa distinzione per l’esito del processo.
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violazione del diritto altrui precedentemente compiuto da colui contro il quale è rivolto. Anche per il diritto bellico vale la stessa regola, e l’inosservanza da parte di qualche Stato di una qualche norma del diritto bellico, autorizza lo Stato leso a ricorrere alla rappresaglia e a ledere a sua volta un qualche diritto dello Stato violatore, non più osservando nei confronti di questo alcuni degli obblighi che gli deriverebbero dalle norme belliche […]494.
Pur non esistendo una norma internazionale che contemplasse e regolasse in maniera inequivocabile l’istituto della rappresaglia, generalmente si faceva appello all’articolo 43 della Convenzione dell’Aja del 1907, che così recita: «Quando l’autorità del potere legittimo sia effettivamente passata nelle mani dell’occupante, questi prenderà tutte le misure che dipendano da lui per ristabilire ed assicurare, per quanto è possibile, l’ordine pubblico e la vita pubblica, rispettando, salvo impedimento assoluto, le leggi vigenti nel paese». Nelle incertezze e lacune di questo articolo si inseriva il diritto alla rappresaglia, il quale, in ultima istanza, era oramai riconosciuto dal diritto consuetudinario. Sempre secondo quest’ultimo, esistevano delle condizioni alle quali ci si doveva attenere perché essa fosse lecita: la sua notificazione in anticipo, la proporzionalità, ed un ordine proveniente almeno da un comandante di divisione.
Adesso torniamo ai fatti che condussero alla strage delle Fosse Ardeatine e alle motivazioni espresse dalla Corte in merito.
Innanzitutto, prima di avvalorare la tesi difensiva, la quale insisteva nel far passare la strage come legittima rappresaglia, la Corte si soffermò sulla «qualificazione dell'attentato di Via Rasella poiché, solo in conseguenza di un atto illegittimo che si riporta direttamente o indirettamente all'attività di uno Stato, sorge in altro Stato danneggiato da quell'atto il diritto di agire in via di rappresaglia […]»495.
Fatta questa premessa, viene da chiedersi se la formazione partigiana che compì l’attentato di via Rasella potesse essere fatta rientrare nella categoria di legittimo belligerante, la sola che permetta di riportare l’operazione da essi compiuta nell’orbita statale. Secondo la Corte, «Nel marzo 1944 il movimento partigiano aveva assunto proporzioni di largo rilievo ed una discreta organizzazione, ma non aveva ancora acquistata quella fisionomia atta ad attribuirle la qualifica di legittimo organo belligerante». Infatti, secondo l’articolo 1 della Convenzione dell’Aja del 1907, una formazione militare, per godere della qualifica di legittimo belligerante, doveva possedere una qualche forma di distintivo che permettesse di individuare chiaramente i combattenti, avere una chiara struttura gerarchica interna, portare le armi apertamente ed osservare il diritto di guerra; requisiti che i partigiani dell’attentato romano non possedevano. «Ciò premesso, si può senz'altro affermare che
494
Giorgio Balladore Pallieri, La guerra, pp. 377-378.
495 Per il testo completo della sentenza Kappler del 20.07.1948, vedi il sito del Ministero della Difesa, nella sezione
Rassegna di Giustizia Militare, Processi per crimini di guerra;
http://www.difesa.it/GIUSTIZIAMILITARE/RASSEGNAGM/PROCESSI/KAPPLER_HERBERT/Pagine/default.aspx. Tutte le successive citazioni virgolettate sprovviste di note sono tratte dal testo della sentenza.
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l'attentato di Via Rasella, qualunque sia la sua materialità, è un atto illegittimo di guerra per essere stato compiuto da appartenenti ad un corpo di volontari il quale, nel marzo 1944, non rispondeva ad alcuno degli accennati requisiti».
Seguendo il ragionamento espresso nella sentenza, vediamo come la Corte, pur ritenendo l’attentato di via Rasella un atto illegittimo perché compiuto da illegittimi belligeranti, non escluda che detto attentato avrebbe potuto determinare per i tedeschi il diritto di procedere con una rappresaglia. Non possiamo non notare una contraddizione in ciò: se l’esercizio della rappresaglia presuppone, come la stessa Corte ammette496, la responsabilità dello Stato che ha compiuto la violazione, come si
può far discendere il diritto a procedere con la rappresaglia da un atto, quale quello compiuto in via Rasella, per il quale lo Stato italiano non può dirsi responsabile, in quanto gli autori non sono suoi legittimi belligeranti? Ha notato questa evidente contraddizione il noto studioso di diritto internazionale, Roberto Ago, quando, dalle pagine della «Rivista italiana di diritto penale»497, si è
trovato a dare un giudizio sull’appena concluso processo contro Kappler. Il giurista ritiene che la Corte giudicante non abbia ben compreso la portata delle norme internazionali sulle quali essa si è appoggiata per dare una qualificazione dell’attentato di via Rasella e per stabilire la configurabilità del diritto di rappresaglia.
Innanzitutto, l’articolo 1 della Convenzione del 1907, oltre a stabilire i requisiti necessari per ottenere la qualifica di legittimo belligerante, ammonisce che coloro i quali non posseggano tali requisiti, non saranno tutelati da alcuna garanzia.
Dei corpi o degli individui armati che non presentino le condizioni richieste potranno quindi essere passati per le armi, se catturati dalle forze armate nemiche, senza che le leggi di guerra siano violate, né lo Stato cui tali corpi o individui appartengano avrà diritto di protestare, in simile ipotesi, contro una violazione del diritto internazionale di guerra. Ma quello che è evidente, e che è invece sfuggito alla Corte, è che si tratta, peraltro, sempre e soltanto di condizioni necessarie perché si possa pretendere ad uno speciale trattamento: né la convenzione del 1907 né alcun’altra norma di diritto internazionale si sono mai sognate di statuire addirittura un dovere per lo Stato di non permettere l’esistenza e l’azione di forze comunque armate che non abbiano i requisiti previsti dall’art. 1 del Regolamento concernente le leggi e gli usi della guerra terrestre. È quindi assurdo pensare che ad uno Stato possa venir imputato un illecito internazionale […] quando tolleri l’esistenza e l’azione di corpi volontari che non adempiano alle condizioni richieste per essere riconosciuti come «belligeranti» legittimi. Questi ultimi agiranno a loro rischio e pericolo e non saranno coperti dalle garanzie che tutelano i belligeranti ed essi soli, ma lo Stato non viola, per il solo fatto della loro esistenza, alcun obbligo
496 Dalla sentenza: «Il fondamento della rappresaglia è dato dalla necessità di attribuire allo Stato offeso un mezzo di
autotutela in conseguenza ed in relazione ad un atto illecito di uno Stato straniero. L'esercizio di essa è strettamente collegato alla esistenza di una responsabilità a carico dello Stato cui si riporta quell'atto. E' sulla base di questo presupposto che allo Stato offeso è dato colpire, per rappresaglia, un qualunque interesse dello Stato difensore» (corsivo mio).
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Roberto Ago, L’eccidio delle Fosse Ardeatine alla luce del diritto internazionale di guerra, in «Rivista italiana di diritto penale», 1949, p. 216 e seg.
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giuridico internazionale; ed è quindi assurdo altresì parlare, per un simile fatto, del sorgere nello Stato nemico di un titolo giuridico per il ricorso a una legittima rappresaglia498.
Dunque, per Ago, se la violazione è stata compiuta da formazioni irregolari, lo Stato offeso non può rivalersi sullo Stato al quale appartengono i violatori, mettendo in atto una rappresaglia. Lo Stato, infatti, non può ritenersi responsabile per atti compiuti dalle formazioni irregolari, come non può essere responsabile per il solo fatto di non aver impedito l’esistenza e l’azione di belligeranti illegittimi. Tutt’al più, lo Stato offeso, se riesce ad individuare gli autori della violazione, può passarli per le armi, senza che così facendo compia un illecito.
Ma adesso torniamo al testo della sentenza. La Corte ritiene di dover dare ancora altre spiegazioni circa la sua decisione di ritenere la rappresaglia tedesca legittima.
Nella sentenza, pur essendosi stabilito che le formazioni partigiane non erano organi belligeranti legittimi, non si è potuto negare che esistesse uno stretto legame fra esse e lo Stato italiano:
«Essi [i partigiani autori dell’attentato], come si è detto, facevano parte di una organizzazione militare inquadrata nella Giunta Militare. Questa, alla stessa stregua del Comitato di Liberazione Nazionale, per il riconoscimento implicito ad essi fatto, attraverso numerose manifestazioni, dal Governo legittimo e per i fini propri di quest'ultimo (lotta contro i tedeschi) che essa attuava in territorio occupato, si poneva come organo legittimo, almeno di fatto, dello Stato italiano. Questa interpretazione trova una conferma nel fatto che lo Stato, successivamente, considerò come propri combattenti i partigiani, i quali avessero combattuto effettivamente contro i tedeschi».
Vediamo, dunque, come la Corte arrivi a definire le formazioni partigiane come organo legittimo dello Stato italiano – almeno di fatto –, stravolgendo quanto più sopra detto. È evidente come il Collegio faccia difficoltà a dare seguito giuridico alle sue considerazioni circa la natura del fenomeno partigiano.
[…] rilevare come tali sentenze siano rivelatrici delle difficoltà di una specifica cultura giuridica e militare della guerra di misurarsi con i meccanismi della guerra totale appena conclusa. Non solo. Anche della difficoltà di comprendere quel fenomeno partigiano, esteso in forme diverse a molti dei paesi che avevano vissuto l’esperienza dei regimi d’occupazione, che le stesse motivazioni della sentenza Kappler definivano «una delle migliori manifestazioni dello spirito di resistenza delle popolazioni dei territori occupati», riconoscendo che «le formazioni partigiane, in genere, sono sorte spontaneamente, hanno agito nei primi tempi per necessità nell’orbita della illegalità fino ad assumere, come avvenne in proseguo di tempo anche per il movimento partigiano italiano, una organizzazione capace di acquistare la qualifica di organo legittimo belligerante». Ciò che veniva concesso sul piano delle considerazioni d’ordine generale e discorsivo veniva dunque negato attraverso la rigida e formalistica interpretazione legale dei trattati499.
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Roberto Ago, L’eccidio delle Fosse Ardeatine alla luce del diritto internazionale di guerra, p. 220.
499
Luca Baldissara, Giudizio e castigo. La brutalizzazione della guerra e le contraddizioni della “giustizia politica”, in Luca Baldissara, Paolo Pezzino (a cura di), Giudicare e punire, p. 55.
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A questo punto, avendo fatto questa premessa, il Collegio ammette che, se non è possibile addebitare allo Stato l’azione criminosa compiuta da singoli individui, dall’altra parte, nel caso in esame, esistendo un legame fra gli attentatori di via Rasella e lo Stato italiano, è possibile per lo Stato offeso procedere con la rappresaglia.
«Si può concludere, pertanto, che nel territorio occupato non sono ammissibili rappresaglie relativamente ad azioni manifestatesi per la insufficiente attività di prevenzione o di repressione dell'autorità occupante; sono possibili, invece, rappresaglie quando la violazione del diritto internazionale verificatasi in territorio militarmente occupato si riporti direttamente alla volontà dello Stato che abbia perduto quel territorio.
In questa ipotesi il criterio della insufficiente prevenzione o repressione non entra in funzione poiché vi è un'attività diretta a causare una violazione.
Dall'accennato rapporto sussistente fra il movimento partigiano e lo Stato italiano deriva che in conseguenza dell'atto illegittimo di Via Rasella, lo Stato occupante aveva il diritto di agire in via di rappresaglia».
Dunque, per la Corte, i tedeschi agirono in conformità con il diritto internazionale, predisponendo una rappresaglia, sennonché violarono il principio della proporzionalità.
«[…] si riconosca nella rappresaglia un mezzo di autotutela, di sanzione o di legittima difesa, deve assumersi necessariamente a suo contenuto il concetto di proporzione fra violazione subita e violazione causata se non si vuole cadere nell'antigiuridicità. Chi agisce per autotutela, in via di sanzione o per legittima difesa di un suo diritto, quando la legge gliene riconosca il potere, solo in quanto proporzioni la sua azione alla violazione subita può accampare a sua difesa la causa giustificatrice dell'antigiuridicità. Oltrepassando volontariamente i limiti della proporzione egli risponde del fatto commesso poiché, traendo occasione da una situazione legittimatrice di un dato evento, ne ha voluto causare altro più grave.
Fra l'attentato di Via Rasella e la fucilazione delle Cave Ardeatine vi è una sproporzione enorme sia in relazione al numero delle vittime sia in relazione al danno determinato».
Dunque, se in via preliminare la rappresaglia per l’attentato di via Rasella fu atto legittimo, il non aver rispettato il criterio della proporzionalità l’ha degradata a fatto antigiuridico.
La Corte ritenne, a questo punto, di dover valutare la successiva tesi difensiva, che si sostanziava della volontà di far passare la strage delle Fosse Ardeatine come una legittima repressione collettiva. Tale istituto era previsto dall’articolo 50 della Convenzione dell’Aja del 1907, il quale stabiliva la liceità della repressione collettiva qualora le popolazioni civili potessero essere considerate solidalmente responsabili di un atto compiuto da individui. Tale istituto poteva essere messo in atto solo quando si fosse «dimostrata impossibile l’individuazione del colpevole o dei