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Dallo jus publicum europaeum allo jus totius orbis terrarum.

III. IL NOVECENTO: SECOLO DI GUERRE TOTALI.

2. Dallo jus publicum europaeum allo jus totius orbis terrarum.

Riprendendo le fila dell’analisi schmittiana, notiamo come il giurista tedesco attribuisca un ruolo di primo piano, nella fine del diritto internazionale europeo, al dissolvimento della componente

199

Giorgio De Vecchi, Breve storia del diritto internazionale umanitario.

200

Daniel Pick, La guerra nella cultura contemporanea, pp. 276 e segg.

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spaziale sulla quale esso si era retto fino a quel momento. La comparsa sulla scena internazionale di attori nuovi, non europei, decretò la fine di un diritto che aveva tratto le sue radici proprio dall’essere un fenomeno esclusivamente europeo.

Il processo di estensione e di espansione dall’ambito specificamente europeo a quello genericamente mondiale ed universale si manifestò anche nel fatto che gli autori, già alla fine del XIX secolo, non chiamarono più le loro opere ‘manuali di diritto internazionale europeo’, ma semplicemente ‘di diritto internazionale’, testimoniando della perdita di ogni riferimento spaziale preciso.

La dissoluzione dello jus publicum europaeum non fu seguita dalla nascita di un nuovo ordinamento spaziale, che potesse subentrargli e dare vita ad un diritto coerente ed effettivo. Cosa ancora più grave, il declino dello jus publicum europaeum non poté non determinare anche il progressivo venir meno di uno dei suoi maggiori meriti, ossia quello di essere riuscito a limitare la guerra.

Ciò che subentrava al […] posto [dell’ordinamento spaziale europeo] non era un «sistema» di Stati, ma una compresenza confusa di relazioni fattuali, priva di dimensione spaziale e di elementi sistematici, ovvero una compresenza confusa, non ordinata, senza connessioni spaziali e spirituali, di oltre cinquanta Stati eterogenei, che si presumevano equiparati tra loro ed egualmente sovrani, congiuntamente ai loro sparsi possedimenti: un caos senza alcuna struttura, che non era più capace di alcuna limitazione comune della guerra e per il quale, infine, nemmeno il concetto di «civiltà» poteva valere più come sostanza di una certa omogeneità202.

Infatti, perché il riconoscimento dei contendenti come justi hostes – presupposto della guerra en

forme – fosse possibile, era necessario che essi condividessero la medesima tavola di valori; ciò,

con l’entrata sullo scenario internazionale di stati asiatici o africani, non sembrava più possibile. Come sappiamo, proprio l’esistenza di realtà altre, esterne all’Europa, ed escluse dal diritto internazionale, aveva permesso l’efficacia dello jus publicum europaeum all’interno del continente. Non era però previsto che tali realtà potessero entrare a far parte del sistema, in qualità di soggetti statali autonomi e sovrani. È dunque comprensibile come ciò produsse uno sconvolgimento epocale, al quale difficilmente si poteva rispondere con l’affermazione di una supremazia europea sempre valida.

Anche Colombo condivide con Schmitt il giudizio sulla trasformazione del diritto internazionale da europeo a mondiale. Se gli Stati Uniti, fra i nuovi soggetti dell’ordine internazionale, si rivelarono, alla fine, i meno distanti – culturalmente ed ideologicamente – dai loro “genitori” europei,

202 Carl Schmitt, Il nomos della terra, p. 297.

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Una sfida più radicale, diversa non soltanto nel contenuto ma anche per la vicenda storica dalla quale proveniva, fu quella posta sempre dall’esterno dell’Europa dal gruppo continuamente crescente dei membri non occidentali del sistema internazionale. La loro accettazione nel sistema interstatale avvenne per gradi e superando solo lentamente riserve di tipo ancora eurocentrico […]. Dopo che, nell’ultima parte del secolo [XIX], a[ll’impero ottomano] si aggiunsero (sebbene con gradazioni diverse) la Persia, la Cina, il Siam e il Giappone, l’estensione del sistema internazionale oltre l’Europa e l’America […] ricevette il primo riconoscimento formale alla Conferenza dell’Aia del 1899 e, in modo più marcato, in quella del 1907203.

Ricordiamo come, fra i firmatari non europei della Conferenza di Ginevra del 1864, comparissero solo gli Stati Uniti; fra le parti contraenti la Convenzione dell’Aja del 1899 figurano, fra le potenze non europee, il Messico, il Giappone, il Siam, la Persia e l’Impero Ottomano; nella successiva Conferenza dell’Aja del 1907 i paesi extraeuropei rappresentano la metà dei firmatari e sono – oltre ai cinque già citati per il 1899 – Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Colombia, Cuba, Repubblica Dominicana, Ecuador, Guatemala, Haiti, Panama, Paraguay, Perù, Salvador, Uruguay e Venezuela. È più che evidente la tendenza ad un progressivo inserimento (e quindi riconoscimento) di soggetti non occidentali nel sistema internazionale; ciò che più sorprende è che tali attori non europei apposero la loro firma a provvedimenti che avrebbero dovuto regolamentare e limitare la condotta bellica. Come sappiamo, nessuna delle limitazioni della violenza promosse dallo jus

publicum europaeum aveva mai trovato spazio oltre la linea del suolo europeo, ma addirittura esse

avevano tratto legittimità proprio dall’esistenza di luoghi in cui esse non avevano valore. Singolare che adesso, con le Convenzioni dell’Aja, si richieda l’approvazione di potenze da sempre estranee a qualsiasi concetto di limitazione della violenza bellica.

Questo però non significa che le potenze europee, anche a seguito dell’entrata in vigore di tali Convenzioni, mutassero rotta:

[…] ciò che colpisce di più non è la discontinuità bensì la continuità tra le guerre extraeuropee del Novecento e quelle dei secoli precedenti […]. Nelle loro guerre extraeuropee, combattute questa volta non per costruire ma per difendere i propri imperi coloniali, paesi come la Francia e la Gran Bretagna continuarono a seguire pratiche clamorosamente incoerenti con i valori rivendicati dagli stessi paesi in Europa. […] le guerre coloniali continuarono a essere quello che erano sempre state, guerre indifferenti ad ogni limite a cominciare da quello tra combattenti e non combattenti204. Nonostante ciò, è indubbio che l’entrata in scena di nuovi Stati costituì un drastico mutamento nei rapporti fra le potenze europee e fra queste e i nuovi venuti. Ad uscirne distrutto fu lo stesso jus

publicum europaeum, che aveva basato la sua esistenza sull’omogeneità istituzionale, culturale e

ideologica tra i suoi attori.

Alessandro Colombo ben sottolinea la portata di questi cambiamenti:

203

Alessandro Colombo, La guerra ineguale, p. 231.

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Mentre, nel sistema internazionale europeo precedente, l’interesse delle grandi potenze alla continuazione delle relazioni tra loro era stato favorito dal riconoscimento comune dell’esistenza di soggetti che minacciavano la sopravvivenza del sistema dall’esterno, un sistema internazionale planetario come quello che si andava costituendo era destinato a non possedere più un esterno con il quale confrontarsi e dal quale difendersi. […] [Nel] sistema internazionale globale del Novecento […] la moderazione non avrebbe più trovato l’incentivo della difesa comune205.

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