V. L’ITALIA E LA SECONDA GUERRA MONDIALE.
4. Leggi ex post facto: grave violazione di diritto o necessità imprescindibile?
4.1 La punizione dei criminali di guerra e il principio nullum crimen, nulla poena sine lege.
Cominciamo ancora una volta a trattare l’argomento partendo dalle considerazioni di Pietro Nuvolone. L’autore si imbatte nel tema della retroattività della legge penale nel momento in cui si interroga circa la sanzione da applicare per i crimini di lesa umanità450. «Quali sono i criteri da
seguire per fissare la qualità e la quantità della pena?»451. Anche in questo caso, il giurista ammette
la mancanza di fonti positive al riguardo, che obbliga ad un’indagine de jure condendo.
Il modo più efficace e razionale di risolvere il problema della sanzione per i crimini di lesa umanità consiste nel far ricorso al criterio dell’analogia.
I delitti di lesa umanità, invero, integrano spesso nella loro materialità la fattispecie di reati comuni: soltanto, come abbiamo visto, ànno una specifica qualificazione che imprime loro un carattere autonomo. Essi appartengono, cioè, a un genus già previsto dalle legislazioni dei singoli paesi: omicidi, stragi, rapine, sequestri di persona, riduzione in schiavitù
450
Ricordiamo che il giurista bergamasco incentra la sua analisi sui crimini di lesa umanità, facendo rientrare sotto questa categoria i cosiddetti crimini di guerra – che rappresentano delle violazioni dello jus in bello – e quelli da lui definiti crimini di oppressione politica – ossia «provvedimenti e […] atti che […] vengono compiuti nell’ambito di uno stato, per assicurare il predominio di una fazione al governo. […] Si tratta di misure che partono da una concezione particolaristica, anche esclusivista della libertà, come bene proprio di una limitata cerchia di privilegiati, e dividono arbitrariamente il popolo in dominanti e dominati […]» (La punizione dei crimini di guerra, p. 80). Facendo riferimento all’articolo 6 dello Statuto dell’IMT, tali crimini potrebbero essere fatti rientrare sotto le categorie di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. In Nuvolone, i crimini contro la pace, invece, hanno una trattazione più marginale; l’autore si limita a considerare, secondo l’ordine umano, illecita ogni guerra che non sia una guerra di difesa, ossia risposta ad un’aggressione. Coloro che si macchiano della colpa di aver iniziato una guerra di aggressione, anche se in qualità di autorità statali, ne dovranno rispondere individualmente. In relazione al tema della sanzione, l’autore sembra concentrare la sua attenzione sui crimini più sopra enunciati, ossia quelli di lesa umanità, lasciando aperta la questione della concreta punibilità di coloro che hanno attentato alla pace iniziando una guerra di aggressione.
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ecc. E poiché tali fattispecie constano di un precetto e di una sanzione e il precetto è nella sua sostanza analogo pei delitti di lesa umanità, non resta, in mancanza di norme specifiche, che applicare analogicamente anche la sanzione452. L’autore ammette che una simile soluzione possa suscitare gravi obiezioni, non ultima quella che grida il rispetto del principio nullum crimen, nulla poena sine lege. Il giurista ritiene necessario, dunque, esporre con maggior chiarezza il suo punto di vista, per dimostrare come esso non violi nessun precetto giuridico.
Innanzitutto, l’autore tenta di confutare l’idea che la sua teoria sia in contrasto con la prima parte del principio succitato: nullum crimen sine lege.
Come è possibile intuire dalle precedenti parole dell’autore, quest’ultimo ritiene che il diritto interno degli Stati in realtà già contenga alcune norme proprie del diritto umano. Anche se esse sono state redatte dallo Stato per lo Stato, niente vieta, data la loro intrinseca natura “umana”, di applicarle ad un contesto più vasto, quale quello internazionale. E dunque, esistendo la lex, esiste pure il crimen che ne rappresenta la violazione.
[…] alcune norme del diritto interno, e più precisamente quelle che prevedono determinati reati fondamentali, sono, nella loro essenza, norme di diritto umano, anche se formalmente emanate dallo stato: pertanto esse ànno, per la loro stessa natura, un campo di applicazione più vasto di quello che viene loro assegnato dallo stato453.
Chiarito questo punto, l’autore passa a confutare l’obiezione che ritiene la sua teoria lesiva del principio nulla poena sine lege. In realtà, stabilire che i crimini di lesa umanità siano contemplati da norme giuridiche, significa, di conseguenza, stabilire che per essi sia prevista anche una sanzione corrispondente. Il punto, semmai, una volta stabilito il fondamento giuridico, risiede nel fissare la qualità e quantità della pena. Anche in questo caso, l’autore ritiene che la soluzione al problema possa essere trovata nel diritto statale. Stabilito precedentemente che si debba trattare di una sanzione penale, «come determinare ora la misura di questa sanzione?»454
È evidente che il criterio migliore è quello di prendere come punto di riferimento la sanzione prevista per quei reati che, nell’ambito dell’ordinamento statuale, costituiscono violazione di quegli stessi precetti fondamentali. Così facendo, noi non creiamo arbitrariamente delle norme penali, ma ci serviamo di norme penali stabilite da un ordinamento giuridico, ma non ancora formulate in una legislazione. Non si tratta, in base all’analogia, di creare nuove pene, ma di trovare il modo più razionale di formulazione di un precetto che già di per sé stesso esiste ed è valido insieme alla sanzione che ne rappresenta la naturale conseguenza455.
Ecco dunque superato il problema della retroattività della legge; in realtà, per Nuvolone, con la volontà di punire i crimini di lesa umanità non si rischia mai di infrangere il principio nullum
452 Pietro Nuvolone, La punizione dei crimini di guerra, p. 106. 453
Ibid., p. 107.
454
Ibid., p. 108.
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crimen, nulla poena sine lege, in quanto i precetti e le sanzioni, se non formalmente sanciti in una
legislazione apposita, sono già presenti e accessibili. Tutt’al più, l’unico problema che si presenta è la sistemazione in un codice autonomo di queste norme, che renda la loro conoscenza e la loro applicabilità più sicure.
[…] la sanzione è la conseguenza naturale del precetto; stabilita l’obbligatorietà del primo […] è implicitamente stabilita l’obbligatorietà della seconda, e il problema è soltanto un problema tecnico di formulazione, non un problema sostanziale di qualificazione giuridica della norma456.
Come già per il tema dell’esimente dell’ordine superiore, la trattazione di Salvatore Lener ha notevoli punti di contatto con quella del giurista bergamasco. Il gesuita, infatti, ritenendo che i crimini di guerra abbiano il loro fondamento giuridico nel diritto penale comune, non vede sorgere problemi di retroattività della legge nel caso della loro punizione.
Nel caso concreto, i crimini di guerra commessi dai tedeschi possono essere perseguiti applicando il vecchio diritto penale tedesco (disconoscendo all’ordinamento nazista una valenza giuridica) o i codici penali dei paesi dove sono stati commessi i delitti.
[…] è certo che anche il codice penale tedesco colpiva gli omicidi, le lesioni personali, la riduzione in schiavitù, le violenze carnali, i furti, le rapine, i saccheggi, i danneggiamenti dolosi e via dicendo. Certamente questi crimini erano puniti in tutti i paesi, in cui i tedeschi occupanti li hanno commessi. L’impossibilità di invocare con effetto per sé discriminante il nuovo diritto nazista in quanto, per il contrasto col diritto umano insito nello stesso ordinamento germanico o in quello internazionale, trattasi di semplice manifestazione di violenza e non di effettiva giuridicità, toglie ogni impedimento all’applicabilità del vecchio diritto penale tedesco o delle varie leges loci delicti commissi. L’applicazione delle sanzioni previste da codeste leggi non ha, dunque, alcun carattere retroattivo, una volta accertata la piena efficacia delle medesime al momento in cui i delitti furono ordinati ed eseguiti457.
Ammessa la indiscussa validità di quelle norme del diritto penale che hanno recepito i precetti del diritto umano, la punizione dei crimini di guerra – che su tali norme si basa – non rischia mai di infrangere il dogma della irretroattività della legge penale.
Con ciò non possiamo però dire che Lener disconosca l’importanza del principio nullum crimen,
nulla poena sine lege. Se Nuvolone si era limitato a trattare il tema prendendo a riferimento
esclusivamente i crimini di lesa umanità, il gesuita compie invece un’analisi più ampia.
Innanzitutto, Lener attribuisce al principio sopra citato «una triplice limitazione repressiva: 1) impossibilità di punire un fatto non previsto dalla legge come reato; 2) impossibilità di applicare analogicamente la legge penale a un fatto non specificamente da essa contemplato; 3) impossibilità di leggi penali retroattive»458.
456
Pietro Nuvolone, La punizione dei crimini di guerra, p. 108.
457
Salvatore Lener S.I., Crimini di guerra e delitti contro l’umanità, pp. 95-96.
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L’utilizzo dell’analogia penale, come l’introduzione di leggi speciali che derogano apertamente al principio della non retroattività, sono, per il gesuita, i segni evidenti di una degenerazione del diritto. Quest’ultimo, infatti, deve garantire la libertà e la sicurezza dell’individuo, attraverso una legislazione certa, che stabilisca, cioè, cosa sia permesso e cosa no.
Lo strumento analogico, utilizzato da Nuvolone per rinvenire la legge e la sanzione per i crimini di lesa umanità, rappresenta per Lener (il quale non ne reputa necessario l’utilizzo per la punizione dei crimini di guerra), un’evidente deroga al principio della stretta legalità della legge penale. Egli giustifica in qualche modo il ricorso che ad esso hanno fatto alcuni giuristi, anche italiani, spinti dalla retta volontà di punire crimini che non erano contemplati dalla legislazione vigente.
L’aspirazione ad una giustizia meno formale, soprattutto nel campo penale, l’assurdo di una società impotente a punire fatti universalmente considerati come crimini, l’avvicinamento sempre più necessario del diritto alla morale: queste le ragioni altamente degne di considerazione che i fautori dell’analogia penale, anche italiani, fanno a buon diritto valere. Lener però non può approvare un metodo, quale quello analogico, che è apertamente in contrasto con la certezza del diritto.
La legge penale […] ha l’essenziale funzione di difesa preventiva della società mediante la minaccia di pene proporzionate ai delitti. Per esplicare efficacemente quest’ufficio, però, essa deve essere certa. Ora, nel sistema dell’analogia, del giudice penale libero e consimili, non sussiste nessuna certezza della legge e perciò nessuna intimidazione pel delinquente, nessuna difesa preventiva per la società459.
In sostanza, per Lener, il rifiuto dell’analogia ha come conseguenza finale che nessuno possa essere punito per un’azione che, al tempo in cui essa si svolse, rientrava nella legittima sfera di libertà dell’agente.
Come abbiamo visto, la punizione dei crimini di guerra e contro l’umanità non cade nella retroattività, come non necessita del ricorso allo strumento analogico460: per il gesuita, infatti, tali
crimini possono essere puniti attraverso il diritto penale comune, che già li contempla e li sanziona. A differente giudizio giunge Lener per le altre due fattispecie di crimini punite a Norimberga: i crimini contro la pace e il crimine di cospirazione, rispettivamente il Count two e il Count one dell’Indictment.
459
Salvatore Lener S.I., Crimini di guerra e delitti contro l’umanità, pp. 58-59.
460 Nel corso della sua trattazione, Lener sembra però ammettere il ricorso all’analogia per i soli crimini di guerra e
contro l’umanità; egli non sembra, cioè, vedere una contraddizione fra quanto più sopra detto circa l’inammissibilità dell’utilizzo dello strumento analogico e il farvi ricorso per i crimini di guerra. Così si esprime in relazione ai crimini di guerra e ai delitti contro l’umanità: «Relativamente a tale categoria di atti, invero, l’indagine, pur svolgendosi spesso in apicibus juris, ha potuto mantenersi sostanzialmente sul terreno giuridico; e, concludendo per l’applicabilità quanto meno analogica [corsivo mio] del diritto penale comune, superare l’obiezione della inesistenza di una fonte di diritto qualificante reati i fatti in esame» (Crimini di guerra e delitti contro l’umanità, p. 109).
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Nonostante l’aspirazione dei pacifisti – e di alcuni giuristi che si fanno guidare più da aspirazioni ideali che non da criteri strettamente giuridici – la guerra non è ancora un crimine penalmente perseguibile.
Delitto è soltanto l’azione proibita da una legge penale, da una norma cioè che ne connetta la commissione con la irrogazione della pena. Per potersi parlare perciò di crimini contro la pace, occorre una norma che tuteli questo supremo interesse dei popoli mediante la comminazione di sanzioni penali contro coloro che vi attentano, Stati o persone singole che siano461.
E al momento attuale, nonostante gli sforzi compiuti, la guerra non rappresenta ancora un crimine perseguibile. Il Patto della Società delle Nazioni, come il Patto Briand-Kellogg, pur rappresentando dei passi concreti verso la messa al bando dell’istituto bellico, sono ancora molto lontani dallo scopo.
Supponiamo pure che a norma di qualche trattato (per es. il Patto Kellogg) la guerra (simpliciter o d’aggressione) sia senz’altro qualificabile come delitto: una dichiarazione del genere può ritenersi per sé sufficiente a fondare concrete pretese punitive, senza l’organizzazione di un vero e proprio ordinamento penale internazionale? […] «Le autorità supreme di Società minori (Stati) hanno diritto a far guerra, finché la maggiore Società (internazionale) non giunge a tal perfezione […] da conoscere, volere ed ottenere una esatta giustizia fra gli associati. Dunque finché l’etnarchia non sarà rettamente e sodamente costituita, le nazioni potranno, ed anche lecitamente, guerreggiare per farsi ragione» [cit. tratta da Taparelli, Trattato di diritto naturale].
Finché, dunque, l’ordinamento internazionale non assumerà natura penale e non contemplerà la guerra come crimine provvisto di sanzione, ogni tentativo di condurre davanti ad un tribunale individui colpevoli di aver scatenato una guerra, si tradurrà in un affronto alle più basilari regole del diritto. Vediamo, infatti, che nel caso dei crimini contro la pace, le potenze redattrici dello Statuto dell’IMT hanno creato una nuova fattispecie di reato, con il preciso intento di punire atti compiuti precedentemente alla sua formulazione. La violazione del principio della irretroattività della legge penale è qui più che evidente.
Come è facile intuire, Lener non risparmia le sue critiche al Count One dell’Indictment del Processo di Norimberga, il quale si prefiggeva di punire coloro che parteciparono «come leaders, organizzatori, istigatori o complici alla formulazione o esecuzione di un piano comune o complotto per commettere, o implicante comunque la commissione di, crimini contro la pace, crimini di guerra e delitti contro l’umanità […]». Se il gesuita ha ampiamente dimostrato che la guerra non è delitto, «tanto meno, allora, può essere considerato delitto il semplice proposito di far guerra»462.
461
Salvatore Lener S.I., Crimini di guerra e delitti contro l’umanità, p. 112.
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Tutt’al più, se di un piano comune o cospirazione si vuole parlare, risulta assurdo punire alcuni tedeschi soltanto, in quanto gli obiettivi prefissati sono stati condivisi e convalidati da tutto il popolo tedesco.
Pertanto: o si condanna l’intero popolo tedesco, o è assurdo parlare di complotto, di associazione a delinquere, di cospirazione contro la pace, come delitto di alcuni tedeschi soltanto463.
Per Lener, dunque, il mancato rispetto di quel sommo principio giuridico, che è il principio della irretroattività della legge penale (insieme ad altre criticità, che valuteremo in seguito), ha inciso negativamente e profondamente sul valore universale e morale dell’intero Processo di Norimberga. L’avere riunito, pertanto, in unico procedimento penale, contro i medesimi imputati, capi di accusa certamente fondati sul diritto (delitti contro l’umanità) con altri affatto privi di fondamento giuridico (delitti contro la pace) e fuso tutto in un sistema generale schiettamente politico (count one) è un errore basilare che vizia l’intero processo di Norimberga464. Nessuna aspirazione morale – per quanto nobile –, come nessuna volontà politica, potrà mai rendere legittima la violazione dei princìpi giuridici fondamentali.
Come ormai possiamo dedurre da ciò che già abbiamo detto, Giuliano Vassalli, soprattutto in merito alla nostra ultima affermazione, ritiene che, se il fine si presenta come moralmente giusto, è lecito, se non necessario, derogare ad alcuni princìpi giuridici. Non possiamo però non far notare come il giudizio del giurista sia strettamente focalizzato sui crimini contro l’umanità e tralasci la questione del Count one e del Count two, sui quali si è soffermata l’analisi di Lener.
Nonostante ciò, è innegabile come l’approccio di Vassalli sia differente da quello del gesuita; ben lo testimoniano le parole utilizzate dal giurista perugino. Trattando degli insegnamenti che potrebbero trarsi dalla punizione dei delitti contro l’umanità, l’autore annovera fra essi
La necessità di spogliarsi di formalismo giuridico nella considerazione del principio nullum crimen sine lege e in particolare del principio di non retroattività della legge penale. Si tratta di principi che vanno valutati da un punto di vista teleologico, in relazione cioè al fine che la loro osservanza deve conseguire in una società bene ordinata465. L’autore ritiene, inoltre, che se apparentemente il principio dell’irretroattività della legge penale viene violato nel momento in cui il diritto internazionale punisce come reati fatti che non erano tali per il diritto interno nel momento in cui vennero compiuti, in realtà «la funzione preventiva e intimidatrice della pena, a cui il principio vuol rispondere, è [comunque] adempiuta».
Una serie infinita di testimonianze ci dice che gli odierni criminali, senza dubbio tutti i maggiori e tutti i più efferati e brutali, avevano piena coscienza dell’indegnità delle loro azioni e quanto meno delle conseguenze che li attendevano, in linea di diritto, in caso di una sconfitta che essi volevano appunto ad ogni prezzo, sino all’ultimo momento, impedire. I
463
Salvatore Lener S.I., Crimini di guerra e delitti contro l’umanità, p. 137.
464
Ibid., pp. 139-140.
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moniti ufficiali delle Nazioni Unite erano stati del resto numerosi e ben chiari, assai più di quanto possa esserlo qualunque precetto legislativo interno466.
Giuseppe Vedovato non è del medesimo pensiero: nonostante la punizione dei criminali di guerra sia profondamente sentita, ciò non autorizza a mettere in dubbio l’assolutezza di alcuni fondamentali precetti giuridici.
In particolare, egli ci tiene ad evidenziare gli espedienti argomentativi con i quali recentemente si è tentato di aggirare il rischio di cadere nella retroattività. Secondo coloro che relativizzano il principio nullum crimen sine lege
Il legislatore, quando pone la norma, assume il compito di scopritore della norma che preesiste alla sua formulazione positiva. La proibizione di un atto, che riscuota il consenso della pubblica opinione, ha in ciò stesso la sua forza imperativa ed il legislatore che la sanziona non fa altro che interpretare una norma non scritta. Il diritto trova la sua base, non nei testi scritto, ma nella coscienza umana che distingue il bene dal male: le leggi dichiarano principi che abbiamo dentro di noi467.
Con tale argomentazione si aggira il problema della retroattività della legge penale per la punizione di crimini che non sono previsti e sanzionati da alcun diritto positivo; i sostenitori di tale teoria aggirano il problema della retroattività per crimini di guerra, affidando al legislatore l’unica funzione di scoprire quelle norme che già esistono nella coscienza di ogni uomo.
Una norma internazionale relativa alla determinazione dei crimini di guerra che sia accolta dagli Stati […], in quanto dichiarativa, presuppone sempre l’esistenza di una norma naturale o comune agli Stati civili. E però nel porre tale norma positiva si fissa ciò che la giustizia vuole sia fatto e, quindi, non si è di fronte ad una legge ex post facto468. Con la stessa discrezionalità, avverte Vedovato, i sostenitori di tale teoria risolvono il problema della pena; per dirimere la questione delle sanzioni per reati non contemplati dagli ordinamenti giuridici senza cadere nella retroattività, si farà ricorso ad un tribunale internazionale, il quale avrà ampia libertà di scegliere le pene per i suddetti reati.
[…] il tribunale penale internazionale può irrogare la pena di morte per tutti i reati, oppure può analogicamente applicare le pene previste per reati simili dalle legislazioni nazionali del reo o della vittima. Per la procedura, infine, è sempre il tribunale internazionale che ne può legittimamente stabilire le regole, che si muovono sugli schemi generalmente osservati469.
Com’è evidente, Vedovato disapprova totalmente questa costruzione teorica:
466 Giuliano Vassalli, La giustizia internazionale penale, p. 57. 467
Giuseppe Vedovato, La punizione dei crimini di guerra, p. 257.
468
Ibid., p. 258.
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Che in tutta questa costruzione per giustificare la retroattività della legge penale internazionale ci sia la preoccupazione di dare veste giuridica ad un obiettivo politico ci sembra più che ovvio470.
L’autore sottolinea come il principio nullum crimen, nulla poena sine lege abbia una valenza assoluta anche e soprattutto nel diritto internazionale, «poiché questo disciplina i rapporti della