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Il Patto di Londra e lo Statuto dell’International Military Tribunal.

III. IL NOVECENTO: SECOLO DI GUERRE TOTALI.

6. Ritorno alla justa causa.

6.2 La resa dei conti: il Processo di Norimberga.

6.2.1 Il Patto di Londra e lo Statuto dell’International Military Tribunal.

Dopo il conflitto 1914-18 la punizione dei criminali di guerra terminò in una farsa: il Kaiser non venne mai estradato dall’Olanda, mentre dei circa 800 responsabili tedeschi di crimini di guerra soltanto una parte irrisoria comparve sul banco del tribunale di Lipsia.

Durante la Seconda guerra mondiale il problema della punizione dei responsabili di gravi crimini si fece insistente, fino a divenire uno degli scopi di guerra dichiarati.

Una delle prime dichiarazioni di carattere generale fu fatta il 25 ottobre 1941, allorché il Presidente Roosvelt e il Primo Ministro Churchill promisero al mondo che la punizione dei reati di guerra sarebbe stata uno degli scopi principali del conflitto. Il 13 gennaio 1942, al St. James’s Palace di Londra, i governi Alleati, prendendo atto che le violenze inflitte durante il conflitto alle popolazioni civili non avessero nulla in comune con la concezione dell’atto di guerra o del reato politico, ribadirono la loro volontà di consegnare alla giustizia i responsabili di tali atti e di eseguire le conseguenti sentenze.

Tali princìpi vennero confermati in occasione della Conferenza di Mosca dell’1 novembre 1943:

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Éric Thiers, intervento nella tavola rotonda “La guerre anticipée: normes juridiques et violence de guerre”, in Luca Baldissara, Paolo Pezzino (a cura di), Giudicare e punire, pp. 38-39.

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Al momento della conclusione di qualsiasi armistizio con qualunque governo che si possa essere costituito in Germania, quegli ufficiali tedeschi e uomini e membri del partito Nazista che siano stati responsabili o autori delle atrocità, massacri e persecuzioni, saranno rinviati nei paesi dove i loro misfatti vennero perpetrati, affinché possano essere giudicati e puniti secondo le leggi di quei paesi liberati e dei liberi governi che si saranno quivi costituiti. Saranno compilate delle liste da tutti questi Paesi, con speciale riguardo alle zone invase dell’Unione Sovietica, Polonia, Cecoslovacchia, Grecia, Norvegia, Danimarca, Belgio, Lussemburgo, Francia e Italia. Che coloro i quali non hanno finora macchiato le mani di sangue innocente non vadano ad ingrossare le file dei colpevoli, perché sicuramente le tre Potenze Alleate li perseguiteranno sino ai confini della terra e li consegneranno ai giudici perché giustizia sia fatta. La precedente dichiarazione non pregiudica il caso di criminali tedeschi le cui azioni non hanno particolare localizzazione geografica e che saranno puniti da una decisione comune dei Governi Alleati.

Il 20 ottobre 1943, qualche giorno prima della dichiarazione di Mosca, «in una riunione presso il Foreign Office a Londra, era stata istituita la Commissione per i crimini di guerra delle Nazioni Unite dai rappresentanti di 17 fra le nazioni alleate (Francia, Grecia, Norvegia, Olanda, Australia, Canada, Usa, Regno Unito, Polonia, Jugoslavia, Cecoslovacchia, Belgio, Cina, India, Nuova Zelanda, Lussemburgo. Il Sud Africa poi non partecipò ai lavori, mentre la Danimarca fu ammessa come membro a pieno titolo nel luglio 1945) che iniziò i suoi lavori a Londra l’11 gennaio 1944: suo compito era raccogliere documentazione sui crimini di guerra proveniente dai vari uffici nazionali, vagliarla per verificare che vi fossero elementi per una incriminazione (prima facie

evidence), creare una lista di criminali di guerra da diramare alle autorità militari per la ricerca,

l’arresto e la consegna ai vari governi nazionali per il processo (la commissione infatti non aveva il potere di arrestare e processare gli imputati, competenza questa delle autorità militari e dei singoli governi), fornire pareri legali»236.

Se questa fu la procedura da attuare per giungere alla punizione di quei criminali i cui atti erano geograficamente localizzabili, e dunque di competenza delle autorità nazionali i cui cittadini erano parte lesa, si dovette attendere l’8 agosto 1945 per formalizzare la procedura relativa alla punizione di quei criminali di guerra i cui reati non erano stati commessi in una particolare area geografica. Per questa categoria, infatti, si era previsto di istituire un organo giudiziario sovranazionale, composto dalle quattro potenze alleate: Regno Unito, Usa, Francia e Unione Sovietica.

Il patto di Londra, firmato l’8 agosto 1945, oltre a ribadire l’intenzione alleata di tradurre davanti ad un tribunale i maggiori responsabili di crimini di guerra, fu corredato da uno statuto giudiziario, il quale rappresentò l’atto di nascita dell’International Military Tribunal (IMT). I trenta articoli costituenti lo Statuto determinarono, fra le altre cose, la composizione di quest’organo, la sua giurisdizione nonché le modalità di svolgimento dei processi.

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Testo della Relazione di minoranza, presentata il 24 gennaio 2006, relativa ai lavori della Commissione parlamentare di inchiesta sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti, istituita con legge 15 maggio 2003, n. 107, p. 57.

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Nel corposo articolo 6 dello Statuto si condensano le più importanti (nonché le più discusse) “novità” in tema di punizione di crimini commessi in occasione della guerra o ad essa legati. Innanzitutto, prima di menzionare i crimini sui quali il Tribunale avrà giurisdizione, l’articolo menzionato stabilisce che l’IMT «avrà il potere di giudicare e condannare individui i quali, agendo nell’interesse dei paesi dell’Asse europeo, sia individualmente che come membri di un’organizzazione, abbiano commesso uno dei seguenti reati. I seguenti fatti, o uno qualsiasi di essi, sono reati che rientrano nella giurisdizione del Tribunale, per i quali deve ritenersi esistente la responsabilità individuale»237. Come si vede, in più punti si specifica che il Tribunale opererà

perseguendo il criterio della responsabilità individuale; in seguito vedremo come su questo assunto si focalizzeranno i più svariati giudizi, tutti incentrati sulla questione se si possa ammettere la responsabilità dell’individuo in un ambito, quale il diritto internazionale, che vede fra i suoi soggetti unicamente gli Stati. Lo stesso fatto di ammettere la colpevolezza del singolo, in quanto membro di un’organizzazione ritenuta illegale (e dunque non necessariamente per aver compiuto un qualche crimine, ma solo per la semplice adesione ad un organismo ritenuto criminale), rappresenta una novità nel panorama giuridico, che non mancherà di suscitare obiezioni e critiche.

Dopo questa premessa, l’articolo 6 enumera le tre tipologie di crimini sulle quali il Tribunale internazionale è chiamato a giudicare: crimini contro la pace, crimini di guerra e crimini contro

l’umanità. Dei tre, solo i secondi ci appaiono più familiari; l’articolo così li definisce: «violazione

delle leggi e degli usi di guerra»; abbiamo imparato a conoscere che questa tipologia di crimini, che compariva anche nell’articolo 228 del Trattato di Versailles, si rifà alle disposizioni stabilite nella Convenzione dell’Aja del 1907 relative allo jus in bello.

Per quanto riguarda i crimini contro la pace, così recita la definizione che se ne dà nello Statuto: «progettazione, preparazione, inizio e scatenamento di una guerra di aggressione o di una guerra in violazione di trattati, assicurazioni o accordi internazionali, ovvero partecipazione ad un piano comune o ad un complotto per il compimento di uno dei crimini sopraindicati». Ricordiamo come al Kaiser Guglielmo II, nell’articolo 227 del Trattato di Versailles, si imputò la violazione della morale internazionale e della sacralità dei trattati, conseguenze dell’aver scatenato la guerra; il crimine del quale doveva rispondere l’Imperatore coincide, grosso modo, con la tipologia del crimine contro la pace stabilito nello Statuto dell’IMT. Ad essere messi sotto accusa sono tutti coloro (e non solo un’unica autorità politica) che hanno progettato, preparato e scatenato una guerra di aggressione, violando i trattati e le convenzioni internazionali.

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Per i testi (in inglese) relativi alla costituzione dell’IMT nonché per i contenuti del processo di Norimberga, vedi

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Come già avevamo evidenziato nell’analisi degli articoli del Trattato di pace seguito alla Grande Guerra – relativi alla punizione dei militari tedeschi nonché del Kaiser –, l’intento ormai manifesto è quello di delegittimare almeno una categoria di conflitto – la guerra di aggressione – e punire tutti coloro che, in qualche modo, ne hanno fatto ricorso. Dunque, accanto alle consuete violazioni dello

jus in bello, con la creazione dell’IMT si ribadisce la messa al bando della guerra di aggressione e la

criminalizzazione di coloro che l’hanno messa o la metteranno in atto. A differenza degli analoghi tentativi attuati al termine del primo conflitto mondiale, con i processi tenutisi a Norimberga si riuscì a mettere in pratica i presupposti sopracitati, arrivando all’effettivo giudizio degli imputati. Infine, l’articolo 6 prevede un’ultima categoria di crimini totalmente nuova nello scenario del diritto internazionale: i crimini contro l’umanità. Dalla definizione data, nella quale si elencano i fatti da far rientrare sotto questa categoria, si intuisce come l’eccezionalità delle violenze perpetrate durante il secondo conflitto mondiale abbia reso impellente la configurazione di un reato che le sanzionasse. Potremmo sostenere che una parte di questi crimini possa essere fatta rientrare nel novero nelle normali violazioni dello jus in bello, con l’aggravante di essere particolarmente odiosi e inumani. Ma inserire fra essi lo sterminio, la deportazione e la persecuzione di interi popoli per motivi politici e razziali, non necessariamente legati alla contingenza bellica, rende evidente come si volessero sanzionare comportamenti inumani che nessun tipo di necessità – nemmeno quella militare – potrebbe giustificare. Tali comportamenti sono intrinsecamente criminali, in qualunque circostanza – guerra o pace – vengano messi in atto.

Così infatti recita la definizione di crimini contro l’umanità: «eccidi, sterminî, schiavismo, deportazione ed altri atti inumani commessi contro una popolazione civile, prima o durante la guerra; o persecuzioni per motivi politici e razziali o religiosi in esecuzione o in connessione con uno dei crimini rientranti nella giurisdizione del Tribunale, siano essi o no in violazione della legge interna del paese ove furono eseguiti. […]».

Oltre all’articolo 6, è necessario focalizzare l’attenzione su altri aspetti messi in luce dallo Statuto.

In particolare, l’articolo 7 ribadisce, qualora le precedenti disposizioni non fossero state sufficientemente chiare, che «la posizione ufficiale degli imputati, sia come Capi di Stato o come funzionari con cariche di responsabilità in seno agli uffici governativi, non sarà considerata ragione sufficiente per esimerli dalla responsabilità penale o per mitigare la pena»; l’articolo successivo così recita: «il fatto che l’imputato abbia agito in esecuzione dell’ordine del proprio Governo o di un superiore non lo esime dalla responsabilità, ma può essere tenuto in considerazione per mitigare la pena qualora il Tribunale ritenga che la giustizia lo esiga».

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Dunque, Capi di Stato e funzionari governativi risponderanno in prima persona e penalmente delle eventuali violazioni; l’essere organo statale non implica irresponsabilità.

Nell’articolo 8, invece, si introduce l’importante tema dell’ordine del superiore. Anche in questo caso, il subordinato che ha compiuto un crimine per aver eseguito un ordine di un suo superiore, non può invocare la sua non responsabilità. Nella migliore delle ipotesi, l’aver obbedito ad un ordine superiore può comparire fra le attenuanti, ma mai escludere la responsabilità dell’esecutore materiale del crimine.

Sugli articoli 6, 7, 8, da noi esaminati sinteticamente, nonché sulle modalità stesse di composizione dell’IMT, si focalizzeranno le discussioni di giuristi e commentatori, i quali, al termine del conflitto, dibatteranno sulla liceità e sul fondamento giuridico dell’intero progetto alleato di mettere in atto una giustizia internazionale.

6.2.2 Dalla responsabilità individuale all’ordine del superiore: l’esito del Processo di

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