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2 LA DIMENSIONE GEOGRAFICA E AMBIENTALE

2.5 I cambiamenti climatic

Nell'analisi delle dinamiche precedentemente esposte, un ruolo di primaria importanza è stato attribuito ai cambiamenti climatici. A partire dagli anni '90, grazie al rinnovato interesse per tali tematiche, numerose ricerche hanno iniziato a studiare questi mutamenti nel tentativo di ricostruire gli aspetti climatici, ambientali, geologici di varie aree del continente asiatico nell’antichità. Alcune regioni, tra le quali l'area dei Monti Altai nella Siberia Meridionale e le aree limitrofe, hanno attirato su di sé la maggior parte degli interessi, a discapito di altre regioni che sono state solo marginalmente oggetto di simili studi. La ricostruzione dei cambiamenti climatici che ha interessato l'area di diffusione dei gruppi sciti, che per la verità risulta enormemente vasta, appare

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dunque lontana dall'essere completa, e l'attuale visione non può che risultare inevitabilmente parziale.

Una delle principali problematiche in questa tipologia di ricerche riguarda i cambiamenti climatici di microscala, che sono più difficilmente individuabili perché assumono un carattere molto locale, ma senza dubbio influenzarono fortemente le comunità antiche. Essi possono essere individuati solo attraverso specifici studi svolti nelle aree in questione, e la tendenza ad assimilare aree geografiche limitrofe o dalle stesse caratteristiche fisiche alle stesse dinamiche climatiche può risultare fuorviante. Dunque nonostante la presenza di numerosi studi (concentrati però in poche regioni), si deve tenere in considerazione questo aspetto durante la presente discussione.

Il primo grande cambiamento climatico avvenne a partire dalla seconda metà del Pleistocene, (circa 500.000 anni BP), quando la catena montuosa del Tian Shan, che andava formandosi ormai da circa 1 milione di anni, cominciò a toccare i 5000 metri di altitudine, bloccando di fatto i flussi dei monsoni indiani, e con essi la loro influenza sull'Asia Centrale dove iniziò un processo di aridizzazione, che portò grossomodo alle condizioni climatiche attuali (Aubekerov, Sala, Nigmatova 2003, 24).

Da numerosi studi e ricerche (Wanner et al. 2008; Bond et al. 2001; Mayewski

et al. 2004;) sappiamo ormai con certezza che nel corso degli ultimi millenni e per

quanto ci interessa soprattutto nell'Olocene, numerosi cambiamenti climatici di lungo e breve termine hanno interessato il nostro pianeta45, caratterizzandosi spesso con una andamento ciclico, il cui intervallo è stato variamente individuato in periodi di diversa durata, in circa 2800-2000, 2300, 1500 o addirittura 200 anni (Dergachev et al. 2007; Zaitseva et al. 2004; Mayewski et al. 2004). E' dunque fondamentale, nell'analisi delle antiche civiltà del passato, tentare di ricostruire le condizioni paleo-ambientali e paleo- climatiche, soprattutto in regioni dove le condizioni sono "particolarmente" estreme, come nel caso dei territori dell'Asia Centrale. Infatti anche piccoli cambiamenti possono modificare il fragile equilibrio su cui si basa l'occupazione umana in questi territori, migliorando le condizioni di vita, dunque favorendo l'occupazione e lo sviluppo di tali aree o, al contrario, rendendo le condizioni inadatte alla vita con gravi conseguenze economiche e sociali. Non dobbiamo poi dimenticare che i cambiamenti possono sortire effetti diversi, anche tra loro opposti, a livello regionale. Per esempio in un'area secca ed arida un raffreddamento può causare un maggior livello di umidità con un beneficio per i gruppi locali, mentre in ambienti di alta montagna esso determina estati molto più brevi, con periodi di sfruttamento dei pascoli fortemente ridotti e più difficili condizioni ambientali per i gruppi pastorali (Schlütz, Lehmkuhl 2007, 114).

Un'altra variabile da non tralasciare è il fatto che i mutamenti possano aver avuto conseguenze diverse su comunità "nomadi" o sedentarie. Come ricordano Schlütz e Lehmkuhl (2007, 115) in merito alle comunità agricole della Cina in rapporto ai gruppi

45 Tralasciamo qui le problematiche relative ai gravi mutamenti climatici moderni che stanno interessando

il pianeta nel corso degli ultimi decenni e le cui conseguenze sono state affrontate in diversi studi (Chapman 2002; Cassar et al. 2007; Berenfeld 2008; Colette et al. 2007; Sabbioni et al. 2008; Bourgeois

et al. 2007), per concentrarci sui cambiamenti climatici antichi che hanno influenzato le antiche

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nomadi settentrionali "Under a mobile, nomadic life style, it should have been more or less easy to react to climatic changes by migration. The agricultural systems at their climatic limits in northern China must have been very vulnerable even to weak climatic deteriorations...". Secondo la visione tradizionale, in cui la realtà nomadica è vista come

maggiormente flessibile, con più ampie capacità di adattamento, i nomadi potevano reagire ed adattarsi agli imprevisti in maniera più rapida e meno traumatica. Ma allo stesso tempo i gruppi pastorali nomadi potevano incontrare difficoltà improvvise, come mostrano episodi simili in periodi recenti, legati ad eventi "metereologici" minori, tra i quali possiamo ricordare l'esempio della Mongolia (Batkhishig, Lehmkuhl 2003), dove inverni particolarmente freddi (Iron zud) o coperture nevose anomale (White zud) hanno ucciso milioni di capi di bestiame e di pecore, per esempio negli inverni 1999/2000 e 2000/2001 (Schlütz, Lehmkuhl 2007).

La migrazione dunque risulterebbe, secondo la visione tradizionale, come la più diretta e semplice reazione associata a questo tipo di fenomeno, anche se limitarsi unicamente ad una simile spiegazione appare senza dubbio troppo riduttivo. Tuttavia tradizionalmente numerose migrazioni avvenute nel continente euroasiatico sono comunque state messe in relazione a cambiamenti climatici più o meno marcati e diffusi (Schlütz, Lehmkuhl 2007; Bokovenko 2004; Frachetti 2011). Fra queste possiamo ricordare le prime migrazioni del V millennio a.C. (Christian 2000), quelle nel corso dell'Età del Bronzo (Kuz'mina 1994, 57-61), lo spostamento da est ad ovest di gruppi sciti nell'Età del Ferro (Van Geel et al. 2004); fino alle migrazioni delle tribù unne dopo il peggioramento climatico avvenuto fra il IV e il VI sec. d.C. (Zaseckaja, Bokovenko 1994; Bokovenko 2004). Il concetto di migrazione è stato spesso utilizzato per spiegare la nascita o il collasso di culture archeologiche e nonostante più recentemente esso sia stato talvolta criticato in base a nuovi dati archeologici che evidenziano l'esistenza difenomeni di interazione regionale, sviluppo localo a carattere linguistico, materiale e socioeconomico, esso continua ad essere ampiamente utilizzato nello studio dell'archeologia preistorica dell'Eurasia (Frachetti 2011)

Già all'inizio del secolo scorso (Sernander 1910) si era ipotizzato per l'Europa Occidentale un forte cambiamento climatico registratosi agli inizi del I millennio a.C. Questo avrebbe portato verso condizioni più fredde e umide, verificandosi cioè una transizione da una fase calda e secca, cosiddetta "Sub-boreale", ad una fredda e umida, detta "Sub-atlantica". Questo cambiamento, oggi più precisamente datato intorno alla metà del IX secolo a.C., viene messo in relazione ad una ridotta attività solare (Van Geel et al. 1998) e, come avvenuto per contesti e periodi cronologici diversi, è stato messo in rapporto di causalità con precise trasformazioni culturali, nello specifico con il passaggio dall'Età del Bronzo all'Età del Ferro (Van Geel et al. 2004, 1737).

Questo cambiamento climatico sembra testimoniato anche in Europa Centrale (Speranza, van Geel, van der Plicht 2002) e Orientale (Gracheva 2002) e per quanto ci interessa maggiormente anche nella Siberia Meridionale e nelle regioni dell'Eurasia

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Centrale46. Relativamente a queste ultime regioni, il cambiamento climatico è stato dimostrato attraverso una serie di analisi di varia natura – tra cui quelle dei sedimenti del lago Telmen (Peck et al. 2002) e del lago Ugii Nuur (Schwanghart, Schütt, Walter 2008) – e dalle fluttuazioni dei laghi Uvs Nuur e Bayan Nuur in Mongolia (Grunert, Lehmkuhl, Walther 2000) e, infine, dall'avanzamento dei ghiacciai sulle vette del Tian Shan a partire dal IV sec. a.C. (Agatova et al. 2012; Van Geel et al. 2006, 324). Analisi palinologiche svolte sui Monti Altai (Lehmkuhl et al. 1998; Zaitseva et al. 2004; Dirksen, van Geel 2004) mostrano inoltre un passaggio da una vegetazione caratteristica di aree semi-desertiche ad una di aree steppose, con una maggiore copertura boschiva lungo le pendici montuose. Questo mutamento è stato addirittura considerato fondamentale per il popolamento e lo sviluppo culturale di alcune regioni, quali per esempio Tuva (Siberia Meridionale, nell'area dei Monti Altai), che sembra essere stata scarsamente popolata nei periodi precedenti (Età del Bronzo)(Van Geel et al. 2004, 1739).

Purtroppo c'è ancora una certa disomogeneità nelle diffusione a livello regionale di analisi sui cambiamenti climatici. Una delle aree più studiate risulta senza dubbio essere la zona dei Monti Altai sul versante russo della Siberia Meridionale (Schlütz, Lehmkuhl 2007; Zaitseva et al. 2005) e in misura minore su quello mongolo (Rudaya et

al. 2009; Peck et al. 2002). Nella regione dei Monti Altai gli studi palinologici hanno

confermato questo passaggio verso un clima più umido e fresco, favorendo la diffusione di paesaggi di steppa, di superfici alberate e di tundra. Allo stesso tempo però sembra che esso abbia portato alla deforestazione di alcune zone di montagna, favorendo così un più facile accesso alle risorse di alta montagna attraverso una transumanza verticale, soprattutto fra il VI e il IV sec. a.C. (Levine et al. 2003; Panyushkina 2012). L'aumento di umidità contribuì soprattutto nella maggiore quantità di biomassa disponibile, favorendo i gruppi pastorali che arrivarono in queste zone. Nonostante un forte aumento della presenza umana con l'occupazione scita di questa regione (Zaitseva et al. 2005; Panyshkina 2012), dal punto di vista palinologico non sembra registrarsi nessun cambiamento riconducibile all'impatto antropico. Infatti le comunità che occuparono il territorio non praticarono l'agricoltura in queste aree e si caratterizzarono come gruppi pastorali. Il pascolo degli animali domestici e l'uso del legname come combustibile e come materiale da costruzione utilizzati da questi gruppi non ebbero un grande impatto sull'ambiente naturale. Di fatto questi fattori non alterarono in maniera consistente la vegetazione naturale, almeno fino al XX secolo d.C. (Schlütz, Lehmkuhl 2007, 114). In questa area, e in generale nelle aree di sviluppo delle comunità pastorali, si può ritenere che i cambiamenti ambientali dovuti al clima ebbero maggiore influenza sulle società umane locali, piuttosto che il contrario. In altre regioni, dove invece si praticavano forme di agricoltura che richiedevano l'inondazione dei campi (come nel conoide alluvionale del fiume Talgar), l'influenza dell'attività umana sembra essere molto più

46 Sembrerebbe trattarsi di un cambiamento climatico a livello globale (Van Geel et al. 1998), come

indicato anche dai risultati di recenti analisi su campioni di torba provenienti dall'emisfero meridionale, nello specifico dall'Argentina (Chambers et al. 2007).

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marcata, attraverso la realizzazione di opere idrauliche e la messa a coltura di numerose aree (Macklin et al. 2015).

Recenti analisi dendrocronologiche (Panuyshkina 2012) hanno permesso di ricostruire una sequenza climatica molto esatta per un'area di alta montagna della regione di Tuva, in cui sono stati individuati 3 principali periodi: il periodo 700-480 a.C. (clima freddo e fortemente variabile), il periodo 480-360 a.C. (clima più caldo e condizioni ambientali stabili) e infine il periodo 360-250 a.C. (clima nuovamente freddo ma con forte variabilità). E' stato possibile anche individuare alcune fasi eccezionali come le decadi molto calde (620-610 a .C. 580-570 a.C.) all'interno di un periodo generalmente più freddo. Secondo Panyushkina (2012), sulla base del numero di sepolture rilevate, in questa regione appare evidente che durante i periodi freddi ci sia stato un aumento della popolazione e nei momenti di clima più caldo una contrazione demografica, forse dovuta ad un aumento della mobilità e ad una possibile intensificazione dei contatti con le aree circostanti47. Se così fosse dunque emergerebbe una grande capacità delle comunità scite di queste aree ad adattarsi ai climi freddi. Allo stesso tempo la grande variabilità del clima potrebbe aver aumentato la pratica del pastoralismo transumante (Panyushkina 2012).

Per quanto riguarda specificamente il Semirech'e, pochi studi hanno finora affrontato questa tipologia di analisi, relativamente a periodi diversi, oppure più marginalmente all'interno di studi a carattere geomorfologico. Durante il Quaternario i cambiamenti nella posizione dell'anticiclone russo-siberiano influenzarono il clima del Kazakhstan e del Semirech'e, determinando l’alternanza fra periodi glaciali e interglaciali, e anche durante l'Olocene essi furono responsabili del passaggio tra fasi umide e fasi aride. La posizione dell'anticiclone atlantico conseguentemente influenzava il livello dei laghi e il volume della copertura glaciale sui monti del Tian Shan. I cambiamenti climatici del Semirech'e si allineano alle tendenze di mutamento globale viste nelle altre regioni, anche se sono state osservate anomalie regionali dovute al posizionamento a forte carattere continentale della regione, così come differenze sub- regionali. Per esempio nel periodo 400-200 a.C. dove sembra registrarsi una fase calda e secca (Macklin et al. 2015).

Nel corso degli ultimi 3200 anni nel Semirech'e sono state identificate 5 principali fasi climatiche: Tardo Suboreale 3200-2800 BP; Subatlantico iniziale 2800- 2000 BP; "Breve intervallo" 2000-1800 BP; Medio Subatlantico 1800-800 BP; Tardo Subatlantico 800-200 BP (Aubekerov, Sala, Nigmatova 2003, 24-26). Il clima continentale del Semirech'e è controllato soprattutto dal posizionamento e dalla forza

47A mio avviso questo tipo di calcolo sarebbe maggiormente attendibile se fosse basato anche sul numero

degli insediamenti e dei ripari stagionali. Pur sapendo le difficoltà nell'individuazione di questo tipo di evidenza in un territorio tradizionalmente di matrice nomadico-pastorale, affidarsi esclusivamente al numero delle sepolture potrebbe essere rischioso. Infatti, per analisi relative a periodi cronologici così brevi un maggior numero di sepolture potrebbe corrispondere ad una maggiore mortalità dovuta forse proprio alle condizioni climatiche e ambientali più difficili e non ad un effettivo aumento della popolazione. Il metodo ideale dovrebbe basarsi su un confronto preciso, fra numero di sepolture e realtà insediative, anche a livello regionale. Non si può inoltre escludere che ci fossero aspetti rituali, e ideologici che spingessero ad utilizzare una precisa zona per le sepolture, ed un'altra per l'occupazione.

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dell'anticiclone russo-siberiano. Ai periodi di raffreddamento corrispondevano l'avanzamento dei ghiacciai, l'aumento della portata dei fiumi e l'innalzamento del livello dei laghi. Questi segnali sono stati identificati nel Semirech'e per il periodo compreso fra 910 e 500 a.C. circa, mostrando dunque una fase fredda (Macklin et al. 2015, 93) seguita da una fase apparentemente più stabile e calda, con la ripresa di un periodo freddo a partire dal 50 a.C., come mostrato da un nuovo avanzamento dei ghiacciai. Nel Semirech'e dunque (come nelle aree limitrofe) eventuali inasprimenti climatici, in particolar modo nelle aree di confine fra zone paesaggistiche diverse, probabilmente influenzarono l'utilizzo o meno di vaste aree, per cui si può tentare di individuare alcune correlazioni fra cambiamenti climatici e modelli di utilizzo dei suoli o adattamento ambientale. Fra le manifestazioni archeologiche di tali mutamenti possiamo per esempio citare la localizzazione degli insediamenti in aree geografiche precise, il passaggio da vita sedentaria a nomadica e viceversa, o quello da pastoralismo ad agricoltura, ecc. (Aubekerov, Sala, Nigmatova 2003, 24-26).