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CAPITOLO 7 I KURGAN DELLA NECROPOLI KASPAN: ANALISI ARCHITETTONICA E STRATIGRAFICA 78 E ANALISI DEI REPERT

7.11 Discussione sul rituale

In entrambi i Kurgan (n. 1 e n. 4), a prescindere dalle possibili diverse fasi del rituale, sembra evidente che vi sia stata una riapertura del tumulo, o più verosimilmente una non completa chiusura di esso, che abbia previsto un periodo di esposizione del corpo del defunto, prima che fosse effettuata la parte finale della cerimonia funeraria. Durante questa fase della cerimonia era senza dubbio prevista una violazione/asportazione rituale della sepoltura. I dati stratigrafici indicano una precisa sequenza di fasi nel rituale di chiusura della sepoltura, ma durante la nostra fase interpretativa è necessario mantenere un margine di dubbio sulla lettura e interpretazione di tali evidenze.

Gli elementi strutturali non sembrano infatti mostrare intrusioni successive, nello specifico tunnel o fosse per il saccheggio della sepoltura né nel Kurgan n. 4, né nel Kurgan n. 1. In quest'ultimo in realtà si trova in effetti la piccola fossa, che è tuttavia strettamente legata alla sepoltura del cane, e dall'analisi della stratigrafia si deduce che essa non possa essere stata utilizzata per il saccheggio, sia perché venne scavata quando l'operazione di violazione e successiva chiusura era già avvenuta, sia perché essa, una volta raggiunto il fondo della camera funeraria, non si allargava verso il resto della camera, come dimostrato dai suoi margini che possono essere chiaramente seguiti fino al fondo della fossa.

Inoltre dal punto di vista tipologico un saccheggio perpetrato da ladri sembra lasciare tracce in parte diverse rispetto a quelle da noi individuate. Nonostante i saccheggi di tombe avvenissero sistematicamente sin dalla preistoria fino all'Età del Ferro e addirittura ai tempi moderni (Kroll 2000; Bendezu-Sarmiento, Grizeaud 2011), i periodi cronologici di maggiore attività sembrerebbero essere stati due: una prima fase quasi contemporanea alla sepoltura, quindi da parte di comunità culturalmente affini, ma rivali economicamente e politicamente, e una seconda fase, molto più recentemente, soprattutto a partire dal XVII secolo, quando i territori dell'Asia Centrale erano spesso abitati da coloni russi, che non avendo nessun motivo per rispettare la sepoltura di persone che non erano loro antenati, tanto più che erano "pagani" (Schiltz 1991; Bendezu-Sarmiento, Grizeaud 2011) razziavano quasi sistematicamente i kurgan, sotto il controllo dei governatori militari locali che raccoglievano la loro parte di bottino. Questo fenomeno si intensificò ulteriormente in seguito alla spinta dello zar Pietro I il grande, il quale desiderava arricchire le proprie collezioni con antichi oggetti d'oro, come illustrato nel capitolo 1.3.

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Attualmente, forse anche a causa della legislazione e delle ben più rigide pene per questo tipo di attività illecita, non sembrerebbero esserci invece una minaccia costante nei confronti delle sepolture e una pratica di saccheggio così diffusa. Confrontandoci su questo aspetto con archeologi kazaki, è inoltre emerso anche un certo atteggiamento di rispetto/venerazione che si troverebbe ancora oggi tra gli abitanti dei vari villaggi del Kazakhstan, nei confronti dei numerosi kurgan, nonostante durante le nostre ricognizioni sul territorio abbiamo trovato almeno un paio di essi recentemente aperti con l'utilizzo di ruspe.

Nel momento in cui i saccheggiatori agivano, generalmente scavando una galleria laterale inclinata per poter più facilmente rimuovere il terreno di risulta, la camera poteva essere ancora in piedi o, più probabilmente, già collassata sotto il peso della sua copertura. Le condizioni di disordine lasciate dai saccheggiatori potevano essere molto simili a quelle rinvenute sul fondo della fossa dei due grandi kurgan di Kaspan, con ossa umane e animali completamente sparse e mescolate con porzioni della struttura, tra cui travi e pietre. Tuttavia i ladri generalmente non portavano via le ossa, né le depositavano in luoghi diversi della struttura, come abbiamo invece individuato a Kaspan.

Un ulteriore importante elemento distintivo è costituito dal fatto che i ladri non riuscivano mai a portare via ogni singolo oggetto parte del corredo, soprattutto le piccole brattee, che talvolta erano numerosissime. Qualcosa del corredo rimane sempre all'interno dei contesti saccheggiati: per esempio materiale deposto in nicchie laterali, piccoli oggetti decorativi delle vesti, oggetti collocati in luoghi diversi, quali per esempio dromos o camere laterali. Talvolta addirittura venivano portati via solo gli oggetti d'oro massiccio, mentre quelli di altro materiale e semplicemente rivestiti con lamina d'oro potevano essere lasciati, come testimoniato nel Kurgan n. 11 di Berel (Francfort, Ligabue, Samashev 2000). Generalmente dunque la sepoltura non veniva mai perfettamente ripulita, soprattutto se la camera funeraria era già collassata. Nei due grandi kurgan di Kaspan invece, ad eccezione di due perline in bronzo, un pettine in osso e un frammento d'oro microscopico, niente altro è stato ritrovato all'interno delle camere funerarie. Ciò suggerirebbe un'operazione svolta in condizioni di estrema tranquillità e che deve aver richiesto una notevole quantità di tempo. Naturalmente non possiamo sapere se nei due grandi kurgan di Kaspan fossero stati deposti corredi ricchi e con numerosi oggetti o meno. Tuttavia le dimensioni del tumulo e la complessità architettonica delle due strutture sembrano indicare che i defunti fossero membri di una élite, forse non ricchissima, ma comunque benestante, il che ci fa ipotizzare che probabilmente il corredo fosse più ampio di quanto rinvenuto in fase di scavo.

Un ulteriore aspetto che deve far riflettere, nell'ottica di questo ragionamento, è il fatto che i kurgan di piccole e medie dimensioni della catena di Kaspan 6 (Kurgan n. 5 e n. 6), che appartenevano a membri della società sicuramente meno importanti e conseguentemente con un corredo molto meno ricco, siano stati saccheggiati. Se tutti i kurgan o quasi presentano le tracce di saccheggio e i due grandi kurgan non sono stati saccheggiati, significa che i "saccheggiatori" sapevano che in quei kurgan non c'era niente da saccheggiare. Si aveva dunque coscienza e conoscenza diretta o tramandata,

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magari trasformatasi in leggenda/tradizione, che quei kurgan fossero vuoti. Questa conoscenza doveva essere radicata, poiché i due grandi kurgan non presentavano neppure le tipiche tracce esterne di saccheggio, ovvero l'avvallamento che si creava sulla sommità del tumulo a seguito del collasso della camera funeraria, o più probabilmente dello scavo di una galleria di saccheggio. Tale assenza avrebbe potuto indurre i saccheggiatori ad agire, ma così non è stato. Questo potrebbe essere più semplicemente dovuto alla casualità, ma questa coincidenza appare perlomeno strana, dato che sono attestati kurgan che furono addirittura saccheggiati più volte, anche in periodi diversi (Bendezu-Sarmiento, Grizeaud 2011).

D'altra parte questo suggerirebbe anche che i saccheggiatori degli altri kurgan siano stati gruppi quasi contemporanei, che di fatto conoscevano le tradizioni locali. Il fatto che spesso i saccheggi avvenissero quasi contemporaneamente alla costruzione dei kurgan è ampiamente attestato (Bendezu-Sarmiento, Grizeaud 2011; Loyer 2014). Nonostante venissero prese anche delle contromisure specifiche, soprattutto nei grandi kurgan reali (camera disassata e molto profonda, riempimento con materiali molto compatti e pietra) per limitare l'attività dei ladri, che era molto temuta, i kurgan erano sistematicamente saccheggiati, e talvolta i ladri addirittura richiudevano il foro di passaggio per nascondere le loro tracce (Bendezu-Sarmiento, Grizeaud 2011, 45). Uno degli esempi più illustri risulta essere il Kurgan di Tuekta sui monti Altai, nel quale, nonostante non vi fossero evidenti tracce di saccheggio, la camera funeraria risultò completamente saccheggiata e furono trovate anche le scale utilizzate dai saccheggiatori. Secondo Rudenko (1960), in questo caso addirittura i saccheggiatori potevano aver partecipato alla costruzione del tumulo, poiché conoscevano molto bene le particolarità architettoniche e le caratteristiche interne della struttura. Nella necropoli di Berel (Francfort et al. 2000) sono invece stati ritrovati gli strumenti utilizzati per scavare il tunnel, ovvero una sorta di pala di legno e un piccone in corno. In un altro kurgan uno dei saccheggiatori è stato trovato all'interno del cunicolo che gli era franato addosso.

Se non vogliamo tralasciare nessuna possibile spiegazione, anche quelle maggiormente improbabili, dobbiamo citare, per concludere, almeno altre due eventuali ipotesi. Una prima interpretazione alternativa potrebbe essere che le evidenze da noi registrate corrispondano ad un vero e proprio saccheggio attuato da professionisti, i quali abbiano eseguito una pulizia straordinariamente efficacie, ma allo stesso tempo abbiano anche compiuto alcuni rituali, forse a carattere apotropaico, seppellendo in entrambi i kurgan l'esemplare di cane e richiudendo i tumuli in maniera del tutto peculiare, seguendo operazioni apparentemente di significato rituale (colate di terreno liquido e strati di pietre), che richiesero certamente molto tempo e non avrebbero permesso una veloce fuga. Una ulteriore possibilità potrebbe essere che nei due tumuli non sia mai stato deposto un corredo proporzionato, secondo la tradizione tipica del mondo scita, all'importanza e al valore del defunto e di conseguenza alle dimensioni del tumulo. Ma anche questo appare altamente improbabile, poiché si tratterebbe forse di un

unicum, o comunque di un caso eccezionalmente raro, senza contare il fatto che alcuni

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Tutte le evidenze sembrerebbero dunque indicare l'esistenza di un rituale di "saccheggio", o forse meglio "asportazione" eseguita come parte della cerimonia funeraria, che avveniva in un momento successivo alla sepoltura del defunto.

Ipotizzando queste numerose fasi come parte del rituale funerario di Kaspan si aprono alcune problematiche relativamente soprattutto alla loro durata e alla questione se le sepolture siano veramente state lasciate aperte e, in questo caso, per quanto tempo. Un'altra questione aperta riguarda la tempistica delle diverse operazioni, cioè soprattutto in che momento, o meglio dopo quanto tempo sia avvenuto il saccheggio rituale. Purtroppo i dati archeologici in nostro possesso ci permettono di ricostruire una sequenza relativa di avvenimenti, ma non possono essere precisi sulla durata delle varie fasi. Verosimilmente si potrebbe ipotizzare che la sepoltura possa essere stata lasciata aperta per un arco di tempo compreso tra pochi giorni e qualche settimana, al massimo qualche mese, durante i mesi estivi o autunnali quando solitamente si realizzavano queste sepolture. Infatti durante i mesi invernali la coltre di neve, ma soprattutto le temperature molto basse ghiacciavano il terreno e impedivano di scavare una sepoltura, anche se allo stesso tempo esse avrebbero permesso di conservare naturalmente i corpi di individui morti durante i mesi invernali (Rudenko 1970). In teoria si potrebbe anche pensare che la sepoltura venisse lasciata aperta per l'intero inverno e che il rituale venisse concluso nella primavera-estate successiva, ma questo mi sembra più improbabile perché avrebbe comportato di lasciare incustodito il kurgan per un così lungo periodo di tempo, soprattutto se, come accennato nel capitolo 5.5, i gruppi seminomadici nel frattempo cambiavano zona per la ricerca di pascoli più ricchi.

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CAPITOLO 8 RICOSTRUZIONE DELLA STRUTTURA DEI KURGAN E DEL