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CAPITOLO 3 LA CRONOLOGIA DELLA CIVILTA' SCITO-SAKA

5.2 Il nomadismo: problematiche della ricerca

Distinguendosi per un carattere così mobile e inafferrabile e avendo suscitato grande fascino nel corso del tempo, il nomadismo in tutti i suoi aspetti costituisce un soggetto di studio con difficoltà metodologiche del tutto specifiche, pur avendo talvolta a disposizione esempi etno-antropologici viventi, nonostante siano ormai sempre meno numerosi.

La difficoltà principale è rappresentata dalla tipologia delle fonti, che abbondano dal punto di vista etnografico, ma sono scarse e soprattutto "difficili da individuare" dal punto di vista archeologico. Ne consegue un quadro sbilanciato, che tende a basarsi su aspetti etnografici che, seppur molto vicini alle realtà "preistoriche", potrebbero non corrispondere esattamente alla struttura e organizzazione sociale, economica e politica, alla mobilità ecc. dei gruppi nomadi antichi. Una ulteriore difficoltà riguarda il tentativo di tipologizzazione del nomadismo, che data la grande varietà delle sue forme, un tale tipo di schematizzazione deve essere visto come un utile strumento di lavoro e non come un obiettivo, in quanto le eventuali categorie individuate non risponderanno mai pienamente alla grande varietà e alle numerose sfumature che questo fenomeno complesso e altamente dinamico ha vissuto nel corso del tempo. Studiare il nomadismo significa analizzare gli aspetti sociali, economici, rituali, politici e ideologici di una comunità. Uno degli strumenti ritenuti attualmente più utili in questo senso è l'analisi del "paesaggio pastorale". Infatti alla base del concetto di paesaggio pastorale si trova "the fundamental nature of the relationship

between people and the spaces they employ" (Ansheutz, Williams, Scheick 2001, 158;

Frachetti 2008a). A questa relazione e alla conseguente strutturazione del paesaggio contribuiscono gli aspetti sopra elencati, che sono si uniti in un unico stile di vita (il nomadismo), ma che corrispondono ad altrettanti tipi di paesaggio66. Questa sorta di analisi permette infatti di indagare le relazioni fra comunità e vari aspetti che si manifestano nella formazione di paesaggi diversi (Frachetti 2008a, 374-376).

5.2.1 Il nomadismo: tentativo di tipologizzazione

Il concetto di "nomadismo" racchiude in se stesso un gran numero di forme tra loro diverse, legate ad una molteplicità di fattori di varia natura (ecologici, politici,

66 Il paesaggio pastorale dunque risulta formato dalla stratificazione di più paesaggi: il paesaggio

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economici, climatici, sociali, rituali), che influenzano le strategie di adattamento delle comunità. Il risultato inevitabile è una variabilità molto ampia nei modelli di mobilità dei gruppi pastorali (Salzman 2002; 2004; Dyson-Hudson, Dyson-Hudson 1980; Frachetti 2008). Gli studiosi hanno a lungo dibattuto sull'utilità di creare delle categorie generali delle varie forme di nomadismo, o di tipologizzarne altri aspetti, come per esempio i vari tipi di mobilità. Se da una parte queste categorie sono utili per facilitare confronti ed elaborare generalizzazioni, dall'altra esse costituiscono categorie statiche di fenomeni altamente dinamici e in continuo mutamento. Il tentativo è stato portato avanti da alcuni studiosi (Khazanov 1984) e criticato da altri (Ingold 1985; Salzman 1967), mentre più recentemente (Humphrey, Sneath 1999; Frachetti 2008) nella ricerca etnografica si mira a superare la tendenza alla creazione di tipologie, concentrandosi maggiormente "on the historical and practical particulars of mobile pastoral ways of

life" (Frachetti 2008, 16).

L'attenzione si è così spostata dal dibattito sui gruppi come entità sedentarie o mobili, a sottolineare la fluidità della mobilità e soprattutto il ruolo dell'organizzazione sociale e dell'"agency" nei processi di sedentarizzazione o mobilizzazione (Wendrich, Barnard 2008). (Fig. 11) In ogni caso la creazione di categorie costituisce una utile semplificazione del panorama reale di un fenomeno, e di ciò si deve essere consapevoli durante lo studio di un così dinamico quale il nomadismo.

Fig. 11 Rappresentazione schematica di alcuni modelli di mobilità (Punti neri indicano i gruppi principali, i punti grigi indicano i segmenti del gruppo) (da Wendrich, Barnard 2008, fig. 1,2, p. 5).

Nello studio di comunità nomadiche è dunque auspicabile procedere dalle caratteristiche generali tipiche dell'area geografica di riferimento, riconducibili alle

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caratteristiche primarie del nomadismo (aspetti geografici, clima, ecologia ecc.), fino ai singoli elementi tipici della realtà locale (situazione politica, sociale, economica ecc.). Anatoly Khazanov per esempio, in una delle opere tutt'oggi di riferimento per gli studi sul nomadismo (1984), individua 4 ampie categorie, basate su di una classificazione a carattere economico67.

(1) nomadismo pastorale, ovvero la forma più pura di nomadismo, che non prevede la pratica dell'agricoltura, che per sue caratteristiche è diffusa solo in alcune aree.

(2) Pastoralismo semi-nomadico, basato su frequenti spostamenti per la ricerca di nuovi pascoli, ma tuttavia affiancato da altre attività economiche (proporzionalmente secondarie) come l'agricoltura, che naturalmente influenzano numerosi aspetti quali la composizione delle mandrie, la stagionalità e le rotte degli spostamenti. Possono essere gli stessi gruppi (con l'uomo dedicato alla pastorizia e la donna al contesto familiare e all'agricoltura) ad occuparsi delle diverse attività o ci possono essere gruppi diversi con compiti specifici, all'interno della stessa comunità/società. Si tratta di uno dei sistemi pastorali più diffusi.

(3) Pastoralismo semi-sedentario. Al contrario del precedente, prevede che l'agricoltura costituisca l'attività predominante all'interno del quadro economico complessivo. Si praticano migrazioni stagionali, ma esse appaiono più brevi sia come durata che distanza se confrontate alle migrazioni seminomadi nello stesso ambiente.

(4) Allevamento con pastori o pastorizia con pascoli di distanza. Prevede che la maggior parte della popolazione rimanga sedentaria e si occupi di agricoltura, mentre le mandrie di bestiame sono gestite da pastori che si trovano sui pascoli (anche a grande distanza) durante tutto l'anno. Questo tipo di organizzazione permette alla gran parte del gruppo di rimanere in un luogo, conducendo una vita sedentaria e praticando l'agricoltura, che costituisce il sistema produttivo principale, anche se l'allevamento continua a svolgere un ruolo importante (Khazanov 1984, 17-23).

Tra queste varie e ampie tipologie, influenzate dalla somma di fattori diversi, ci possono essere innumerevoli categorie intermedie, spesso interdipendenti, legate a specifici aspetti storici, ecologici, sociali, politici ecc. e quindi a carattere locale. Tali categorie intermedie possono anche costituire fasi di passaggio in un processo di cambiamento fra strategie diverse, oppure cambiamenti provvisori in risposta a mutamenti improvvisi. Dunque il concetto di nomadismo risulta molto fluido, potenzialmente in continuo cambiamento e fortemente capace di adattarsi al contesto e ad eventuali imprevisti, caratteristiche alla base dell'aspetto vincente della strategia economica del nomade.

5.2.2 Le fonti: i dati etnografici

67 Questo approccio di "tipo economico" è stato a volte criticato perché ritenuto un retaggio della

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Il materiale etnografico costituisce una fonte ricchissima, e senza dubbio fondamentale per coloro che intendono affrontare studi sul nomadismo. Questo materiale può essere utilizzato come confronto, può fornire dati comparativi nella ricostruzione dei modelli preistorici relativamente alle modalità di sfruttamento dell'ambiente da parte delle società e su come le loro strategie pastorali fossero influenzate dai rapporti sociali, politici e rituali (Frachetti 2008). Questo tipo di comparazione è definita "analogia formale" e prevede il confronto di aspetti tipici di queste comunità fra gruppi tipicamente anacronistici (Binford 1968; Wylie 1985; Frachetti 2008). Naturalmente esso non può essere utilizzato come analogia diretta per le ricostruzioni archeologiche, perché come sottolinea Khazanov (1994, XLI), in alcune regioni si registra etnograficamente la coesistenza di diverse tipologie di nomadismo all'interno di stesse aree ecologiche, fatto che implica una variabilità e complessità, legata a fattori che esulano dagli aspetti ecologici. Inoltre nel corso della storia tali comunità hanno sperimentato situazioni sociali e politiche uniche e irripetibili, che certamente influenzarono le loro strategie di mobilità e le interazioni sociali (Frachetti 2008, 108). Un abuso di questa pratica costituisce un forte danno per la ricerca archeologica perché limita la forza esplicativa della ricerca e nega la capacità di cambiare/mutare alle antiche popolazioni, quando invece "il cambiamento" è uno degli unici capisaldi della disciplina archeologica (Frachetti 2008).

5.2.3 Le fonti: i dati archeologici

Dal punto di vista archeologico i gruppi nomadici lasciano tracce completamente diverse rispetto alle comunità sedentarie (Wendrich, Barnard 2008, 1), che a lungo sono state ritenute difficili o addirittura impossibili da riconoscere (Finkelstein, Perevolotsky 1990). Oggi tuttavia l'archeologia della mobilità è possibile, grazie a nuovi approcci e a metodologie specifiche basate su due concetti ormai completamente acquisiti: la bassa densità di resti (materiale archeologico) e la necessità di studi organici di portata regionale (Barnard, Wendrich 2008). L'elemento chiave sta infatti proprio nella comprensione dei processi da cui dipende la distribuzione dei materiali sul territorio, e dei fattori che la determinano (Cribb 1991).

Per lunghi decenni, da quando Gordon Childe (1936) affermò l'"impossibilità" della ricerca delle tracce archeologiche dei nomadi, fu ritenuto inutile cercare tali testimonianze. Uno dei problemi principali consisteva nella mancanza di definizioni precise e di criteri chiari per l'individuazione di siti come pastorali-nomadici, che li distinguessero dagli insediamenti "stabili". Un'ulteriore difficoltà, in parte ancora oggi attuale, rimane l'individuazione sul terreno di questi insediamenti, poiché essi lasciano poche tracce, stratigrafie piuttosto semplici e nessuna monumentalità, inoltre sono spesso interrati al di sotto di accumuli più recenti.

Un altro aspetto interessante riguarda le caratteristiche della cultura materiale nomadica che, come suggerisce Cribb (1991, 68) andrebbe studiata in base a tre coppie di concetti (fixture-portable; durable-perishable; valuable-expendable). Essi determinerebbero il ruolo dei vari oggetti all'interno dell'organizzazione della cultura

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materiale e le loro probabilità di sopravvivere fino a noi all'interno di un contesto archeologico. Grazie ai dati etnoarcheologici si può sostenere che la maggior parte degli oggetti utilizzati dai gruppi nomadi nella vita di tutti i giorni negli accampamenti avessero un carattere portatile. Molti oggetti erano in metallo, quindi durevoli e per questo preziosi, dunque difficilmente essi vengono rinvenuti negli insediamenti68 (Cribb 1991, 74). Uno dei più durevoli fossili guida in archeologia, la ceramica, nel mondo nomade-pastorale rivestiva un ruolo interessante, ma nel complesso quantitativamente di secondo piano. La ceramica poteva rompersi facilmente, risultava dunque difficile da trasportare e veniva usata principalmente all'interno degli insediamenti. Sicuramente c'erano anche oggetti portatili in ceramica, che però quando possibile erano sostituiti da contenitori di altro materiale (legno, pelli ecc.) altamente deperibili (Cribb 1991, 75-76). Seppur numericamente scarsi, i resti ceramici sono molto duraturi e dunque fondamentali per gli archeologi.

Oggi le numerose analisi scientifiche condotte su varie tipologie di ecofatti, come carboni, pollini, semi, e soprattutto ossa animali rinvenute negli insediamenti permettono di ricostruire un quadro abbastanza dettagliato delle comunità nomadiche- pastorali. Uno dei problemi più consistenti rimane l'individuazione degli insediamenti, anche se negli ultimi anni, attraverso dettagliati progetti di ricognizione, insieme a confronti etno-antropologici, in alcune aree (valle del fiume Koksu; valle di Talgar; Kazakhstan centrale) comincia finalmente ad emergere un numero maggiore di insediamenti connessi a gruppi pastorali, forse grazie anche al rinnovato interesse per questo tipo di evidenza archeologica.