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1.2 Le grandi fasi dell'archeologia russa

1.2.2 Il periodo sovietico

Successivamente alla rivoluzione di Ottobre del 1917 e alla formazione del regime sovietico, con la presa del potere di Lenin prima e Stalin poi, si verificò un cambiamento radicale della base teoretica delle scienze sociali e naturali. Anche la disciplina dell'archeologia fu influenzata, nel suo paradigma, metodologia e struttura concettuale, dalla visione marxista-leninista-stalinista del processo storico (Smyntyna 2013, 29-30). Numerosi sviluppi nella formazione della disciplina archeologica si ebbero proprio in questo periodo. Fra le scienze più importanti, la storia rivestiva un ruolo di primo piano per il partito comunista, infatti storici ed archeologi, all'interno dell'ideologia marxista, avevano il compito di indagare il passato per mostrare le differenti fasi nella storia sociale, con l'obiettivo di evidenziare come il socialismo si fosse evoluto dal passato e fosse il sistema destinato a sopravvivere nel futuro (Kradin 2011, 244).

Se in questa fase alcuni studiosi russi di formazione pre-rivoluzionaria (per esempio N.P. Kondakov, M.I. Rostovtsev, A.A. Bobrinsky, P.S. Uvarova, E.F. Shtern)6 emigrarono all'estero, il gran numero di studiosi rimasti fu raggruppato nell'"Accademia di Storia della cultura materiale" (RAIMK)7, diretta dal linguista N.Ya. Marr, creata da

6 Alcuni di questi studiosi emigrati all'estero ebbero una influenza teorica sugli sviluppi di alcune

tendenze locali, per esempio N.P. Kondakov e M.I. Rostovtsev divennero le guide del cosiddetto "combinazionismo" nel mondo occidentale; mentre il lavoro di V.A. Gorotsov, pubblicato nel 1927, fu tradotto e letto attentamente dai tassonomisti americani (Klejn 2012, 15).

7 Il nome "cultura materiale" fu scelto perché più vicino all'ideologia marxista (riferimento al

materialismo), ma Lenin stesso aggiunse la parola "Storia" al momento dell'editto di fondazione (Klejn 2012, 16).

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Lenin il 18 Aprile 1919, che successivamente divenne "Accademia Statale per la Storia della cultura materiale" (GAIMK), uno degli istituti dell'Accademia delle Scienze dell'USSR. Essa costituiva un'istituzione più sviluppata e dagli interessi più ampi rispetto alla precedente Commissione Archeologica Imperiale di periodo zarista (Bulkin, Klejn, Lebedev 1982, 274). Durante i primi anni del regime sovietico, durante la cosiddetta New Economy Policy (NEP) tra 1921 e 1928, non si verificarono grandi cambiamenti nella disciplina dell'archeologia, in quanto i vecchi studiosi continuarono a lavorare seguendo metodi e principi diffusi prima della rivoluzione8.

A partire dal 1928, con la presa del potere di Stalin e lo sviluppo del primo Piano quinquennale economico, cominciò anche una rivoluzione culturale, che mirava a spingere la vita intellettuale sovietica in linea con i principi della filosofia marxista, come enunciati dal Partito Comunista (Trigger 1996, 328). Cominciò allora anche in archeologia un forte rinnovamento metodologico, grazie soprattutto ad una nuova e attiva generazione di archeologi (Y. Krichevsky, A.P. Kruglov, G.P. Podgayetsky, P.N. Tret'yakov) sotto la guida di V.I. Ravdonikas, direttore della sede di San Pietroburgo del GAIMK e professore di archeologia nell'università della medesima città. Molti intellettuali (tra cui per esempio A. Miller, e I.N. Grevs capo del movimento di storia locale) furono dimessi, allontanati o addirittura arrestati e molte istituzioni e riviste non- marxiste o non allineate all'ideologia di regime furono soppresse. Dal 1930 i contatti con gli studiosi stranieri furono proibiti e alcune pubblicazioni si trovavano solo nella biblioteca del GAIMK (Miller 1956, 93-94). La concezione marxista della storia sociale divenne dunque, per la prima volta, strumento di archeologi professionisti9. Le critiche mosse dagli archeologi in questa fase riguardavano soprattutto l'empiricismo dei precedenti studi archeologici, per esempio di quelli basati sul metodo tipologico Monteliano, soprattutto a causa del suo idealismo di base. Inoltre si riteneva che gli studiosi fossero come imprigionati, senza via di uscita, in uno studio formale degli oggetti, talvolta definito come "naked artifactology". Il metodo tipologico era infatti considerato il prodotto di un "evoluzionismo borghese", un metodo che non faceva altro che feticizzare gli oggetti studiati10 (Trigger 1996, 330; Klejn 2012, 23).

La disciplina fu in questa fase rinominata "Storia della cultura materiale" come il principale istituto di ricerca archeologico (Bulkin, Klejn, Lebedev 1982, 274), e l'archeologia venne considerata semplicemente una "sub-disciplina" della storia. I reperti archeologici venivano infatti utilizzati per dimostrare la veridicità dei testi storici e per supportare gli astratti modelli sociali marxisti, come la "teoria dei modi di

8 In questa fase gli archeologi russi mantennero i contatti con il mondo occidentale e la disciplina

rispecchiava ancora alcune tendenze europee. La maggior parte dei risultati veniva pubblicata sulla rivista finlandese "Eurasia Septentrionalis Antiqua" diretta dall'archeologo preistoricista A.M. Tallgren. L'Archeologia classica aveva un carattere fortemente storico, l'archeologia paleolitica era invece strettamente connessa alle scienze naturali e al concetto di evoluzione biologica darwiniana (McGuire 2002, 57).

9 L'imposizione della "ortodossia marxista" avvenne nel 1928 con Stalin. La pratica archeologica

precedente risultava ancora libera dall'ideologia marxista, nonostante la già consolidata formazione dell'Unione Sovietica.

10 Per usare le parole di Marx sull'approccio nello studio degli oggetti e dunque di conseguenza dei

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produzione", che gli archeologi sovietici adattarono in maniera acritica nella cosiddetta "teoria degli stadi", basata sull'idea di una regolare successione di mutamenti sociali già individuati a priori da Marx11 (Kradin 2011). Naturalmente gli archeologi, nello studio delle civiltà del passato, non potevano assolutamente differire da tale schema, al massimo era concessa loro la possibilità di individuare culture archeologiche in posizioni per così dire di transizione e non in una forma pura. Gli archeologi aderirono con un forte dogmatismo, imposto dal regime, a differenza di quanto teorizzavano Marx e Engels, i quali non negavano a priori l'esistenza di modelli multilineari di evoluzione sociale, soprattutto in relazione ai periodi più antichi e meno conosciuti dello sviluppo umano (Trigger 1996, 337).

Un'applicazione analoga dello schema unilineare di sviluppo si ebbe anche in campo linguistico ad opera di Nikolay Marr, il quale si contrapponeva alla teoria universalmente accettata che nuove lingue evolvano da forme più antiche attraverso un processo graduale di mutamenti fonologici, grammaticali e lessicali. N. Ya Marr riteneva che i cambiamenti fossero dovuti alle trasformazioni dell'organizzazione socio- economica delle società alle quali le lingue erano associate. Questa teoria elaborata da Marr naturalmente ricevette i favori del partito comunista. Il linguista, oltre ad essere il direttore dell'Istituto "of Language and thought", fu nominato direttore dell'Accademia di Storia della cultura materiale dal 1919 al 1934, così la sua teoria di carattere linguistico fu imposta anche in ambito archeologico. Essa di fatto costrinse gli archeologi ad ignorare anche le più evidenti testimonianze di eventuali spostamenti etnici e a considerare "the archaeological sequence for each region from earliest times

to the present as stages in the history of a single people" (Trigger 1996, 338). Secondo

questa teoria dunque i cambiamenti nelle popolazioni erano letti come trasformazioni stadiali di una singola popolazione. I popoli più antichi apparivano di conseguenza come una massa immobile, autoctona, che ogni tanto, grazie solo e soltanto a innovazioni tecnologiche, intrapresero o meglio "subirono" straordinari cambiamenti culturali e linguistici. Così i Cimmeri-Jafeti divennero Sciti-Iraniani, e poi Goti tedeschi e infine Slavi12 (Klejn 2012, 24).

Secondo il marxismo l'elemento fondamentale che dà forma ai sistemi sociali e quindi alle culture è semplicemente la base economica, cioè le forze e i rapporti di produzione (Trigger 1996, 331). Gli archeologi dovevano dunque non solo descrivere i ritrovamenti, ma ricostruire le società che li avevano prodotti, indagando i modi di produzione e determinando la loro tecnologia, organizzazione sociale e concetti ideologici (Miller 1956, 79). Questo approccio spinse gli archeologi, nella pratica sul

11 Il materialismo storico, nella storia dei popoli, individuava diverse fasi identificabili sulla base di

diversi modi di produzione: comunismo primitivo; modo di produzione asiatico; modo di produzione antico; modo di produzione schiavista; modo di produzione feudale, modo di produzione capitalista e borghese; società comunista (Marx, Engels 1846). Marx non aveva lasciato linea guida precise appositamente per gli archeologi, furono loro stessi dunque che adattarono la disciplina ai concetti base del marxismo (Trigger 1996, 331). In questa operazione di organizzazione buona parte giocò anche la teoria Jafetica di Marr, che nata per la linguistica, fu da lui applicata anche all'archeologia (Klejn 2012, 24).

12 Tale teoria continuò ad avere fortuna anche dopo la morte di N.Ya. Marr avvenuta nel 1934, ma fu

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campo, a intraprendere scavi in estensione e di grande scala, soprattutto di insediamenti, villaggi, campi stagionali e botteghe. Importanti erano le abitazioni e le relazioni dei vari tipi di oggetti rispetto a queste strutture. Si scavarono i primi contesti paleolitici e villaggi neolitici (Trigger 1996, 334-335). In questa fase si iniziarono anche studi sulle tracce d'uso (S.A. Semenov), un campo completamente ignorato dagli studiosi occidentali fino a periodi molto più recenti (Trigger 1996, 336).

In questi primi anni dopo la nascita dell'Unione Sovietica, ancora in mancanza di un rigido controllo centralizzato, che si andava via via formando, si affermarono approcci teorici alla disciplina archeologica fra loro diversi13, spesso anche antitetici, che per una serie di evidenti limiti strutturali non ebbero grande fortuna, e già a partire dalla metà degli anni '30 furono spesso criticati e rigettati dagli stessi archeologi sovietici. Si diffuse allora la necessità, negli ambienti culturali sovietici, di una ricerca storica più concreta, che di fatto favorì studi empirici di natura descrittiva, e una maggiore diffusione della disciplina stessa, grazie soprattutto alla pubblicazione della rivista "Sovetskaya Arkheologiya" (Archeologia Sovietica), all'istituzione dei dipartimenti di archeologia in numerose università, e alla promozione di un grande numero (circa 300) di spedizioni archeologiche e di numerosissime pubblicazioni (Bulkin et al. 1982, 274-276). Questo portò ad una maggiore conoscenza delle aree periferiche dell'Unione Sovietica (Caucaso, Asia Centrale, Siberia), e alla scoperta di importanti culture come quelle di Trialeti, Urartu e Pazyryk. A quel punto divenne difficile, a causa della grande diversità tipologica di culture e ritrovamenti, inserire (forzatamente) i dati archeologici in uno schema universale organizzato rigidamente. Ciò naturalmente condusse verso graduali cambiamenti nell'interpretazione e a riconsiderazioni metodologiche sull'analisi dei dati (Bulkin, Klejn, Lebedev 1982, 276).

Inoltre in questi anni le vicende storiche mondiali influenzarono ulteriormente i cambiamenti che la disciplina archeologica sovietica stava sperimentando. Soprattutto durante la Grande Guerra Patriottica14 e la successiva Guerra Fredda, si diffuse un forte sentimento nazionalistico, espressione dell'orgoglio nazionale, che spingeva verso la promozione delle tradizioni locali. Questo atteggiamento influenzò anche la ricerca archeologica, che iniziò ad esaminare problematiche legate al concetto di antropogenesi e all'etnogenesi, e a temi connessi come etnicità15, migrazioni, e concetti di diffusione,

13 I primi approcci degli anni '20 costituivano di fatto una primitiva teoria marxista fortemente

semplificata. Come già detto fu solo dopo il 1928 con la presa del potere di Stalin che il paradigma marxista si affermò in maniera forte e sistematica.

14 Con questo termine si indica generalmente il conflitto combattuto fra l'Unione Sovietica e la Germania

Nazista e i suoi alleati durante la Seconda guerra Mondiale fra 1941 e 1945.

15 Il concetto di Ethnos nel mondo culturale sovietico era molto più aperto rispetto al

significato/accezione occidentale del termine. Secondo Anthony (1995, 185): "It represents an objective

historical entity that has maintained its essential ethnic unity and self-awareness across centuries of political and economic change, unified during archaic periods through shared language, kinship, mythology, and economic structure; and maintaining its identity in later periods through cognitive processes such as the recitation of shared history, poetry, and values, all of which combine to produce a common "national character." Naturalmente il concetto di ethnos assumeva significato anche in relazione

al controllo del governo sovietico centrale rispetto a possibili rivendicazioni locali in uno stato multi- etnico. Dall'altra parte esso veniva utilizzato anche come elemento della propaganda politica, nazionalistica, separatista per legittimare tali tipologie di rivendicazioni nazionaliste locali.

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continuità o assimilazione culturale. Tali argomenti solo due decenni prima erano fortemente respinti, sulla base "della teoria degli stadi" a cui si è accennato prima, secondo cui le varie fasi storiche erano ritenute solo come formazioni socio-economiche e assolutamente non in termini etnici e culturali, a causa di forti implicazioni politiche negative16. Nel 1950, tuttavia, la teoria degli stadi fu, "suddenly and summarily rejected

de jure", direttamente per opera di Stalin (Bulkin, Klejn, Lebedev 1982, 276; Klejn

2012, 33-34).

Con la morte di Stalin (1953), si inaugurò una nuova fase di "disgelo" e di minor repressione e controllo sulla produzione scientifica. Lo stato sovietico promosse, in maniera anche "pioneristica", una legislazione per analisi preliminari da svolgere in corrispondenza dei numerosissimi cantieri che in questa fase venivano aperti per la realizzazione di enormi progetti edilizi (Klejn 2012, 35). Furono aperti innumerevoli nuovi scavi e la quantità di dati archeologici crebbe a dismisura, tanto che le vecchie modalità di analisi non poterono più essere applicate, e fu necessario introdurre elaborazioni matematiche. A partire dagli anni '60 una maggiore attenzione fu posta anche sull'obiettività nella ricerca e sugli aspetti metodologici17 (Klejn 2012, 38). Alcuni concetti fino ad allora fondamentali, quali lo sviluppo autoctono delle culture (Soviet patriotism); i problemi legati all'origine e all'antico sviluppo dei popoli slavi, e il loro primato nei confronti delle tribù germaniche, che si era affermato sull'onda del nazionalismo18, persero in questa fase di importanza. Secondo questa teoria, elaborata negli anni '30 e '40 in contrapposizione alle teorie etnogeniche tedesche, si facevano risalire le origini dei gruppi slavi all'Età del Bronzo (in alcuni casi addirittura al Paleolitico [Derzhavin 1944]), in un continuum ininterrotto dalla cultura di Tripolije, al periodo della "cultura dei campi di urne" dell'Età del Bronzo, agli Sciti dell'Età del Ferro, fino alla formazione del "Rus" di Kiev, ovvero uno stato monarchico medievale sorto intorno al IX secolo d.C.19 (Shnirelman 1995, 132-138), in una lotta a colpi di

16 Come sottolinea Shnirelman (1995, 124), prima dell'introduzione del Marxismo in archeologia (fine

anni '20, inizio degli anni '30) i modelli di migrazione e diffusione erano comunemente utilizzati nell'interpretazione dei cambiamenti culturali. Questo dimostra chiaramente, a mio avviso, la complessità del percorso vissuto dall'archeologia sovietica che non può essere semplicemente definita come marxista, ma come una disciplina che ha affrontato numerosi e diversi momenti, evidenziando una grande complessità nel percorso intrapreso in ambito sovietico. Le alterne vicende che questo tipo di approccio (come numerosi altri) ebbe nella storia dell'archeologia sovietica, venendo dapprima utilizzato, poi ripudiato e infine tornando nuovamente alla ribalta, ne costituisce un esempio illuminante.

17 Il periodo che seguì la morte di Stalin si caratterizza per un minore controllo politico sul mondo

accademico sovietico, e nonostante nessuno studioso avesse criticato pubblicamente il paradigma marxista applicato all'archeologia, si virò verso una interpretazione più storica e scientifica delle spiegazioni marxiste (Trigger 1996, 342-343)

18 Il nazionalismo si era affermato a partire dal 1934, dopo un periodo iniziale nel quale la politica del

partito mirava verso un maggiore internazionalismo (Shnirelman 1995).

19 Un esempio evidente di questa tendenza, e dell'influsso politico giocato sulla indagine e ricostruzione

archeologica e storica del passato, è fornito dalla Crimea, in un'area dove le recentissime guerre civili richiamo forse parzialmente anche vicende e problematiche più antiche. Proprio in questi anni (1944) i gruppi Tatari della Crimea furono deportati, lo stato incoraggiò una grande migrazione di Russi e Ukraini in quei territori, e gli studiosi sovietici cominciarono a ricercare, assurdamente e senza alcun fondamento reale, le origini slave o russe in Crimea, e di conseguenza il diritto all'appartenenza di quei territori al mondo russo (Tolstov 1946; Mongait 1948). Ben presto però questa tendenza si interruppe, da una parte perché non c'era nessun tipo di prova a conferma di questa teoria, e poi perché la penisola della Crimea

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rivendicazioni che oggi apparirebbe perlomeno stravagante. Anche il tema della direzione centrifuga delle migrazioni (dalla Russia, unica e più antica realtà, verso l'esterno) perse di importanza, e dapprima si iniziò ad ipotizzare l'esistenza di migrazioni all'interno dei contemporanei confini del paese, poi anche dall'esterno (ma solo da paesi "amici"), e infine da ogni possibile territorio (Klejn 2012, 37).

Gli interessi degli studiosi si ampliarono fortemente in questa fase, si intensificò la ricerca teoretica e cambiò l'atteggiamento verso le teorie di scienziati occidentali e non-marxisti, lasciando da parte quell'atteggiamento di aprioristico rifiuto fino ad allora dominante (Klejn 2012, 39). L'attenzione si soffermò principalmente sull'origine degli esseri umani e in particolare della società, del pensiero, della parola, dell'arte, concentrandosi sull'essenza della cultura e della civilizzazione (Bulkin, Klejn, Lebedev 1982, 277-278). All'interno del vasto mondo culturale sovietico, oltre agli sviluppi appena accennati, coesisterono diversi approcci teorici applicati al campo archeologico, che talvolta entrarono anche reciprocamente in conflitto. Bulkin (1982) e Klejn (2012) hanno individuato ben 7 diverse tendenze, diffuse fra gli anni '60 e '80 del '900. Esse si caratterizzavano per una precisa posizione nel sistema, per una propria comprensione dell'archeologia, e per strutture e metodi propri. Generalmente in contrapposizione fra loro, con discussioni più o meno accese, nella maggior parte dei casi lungo la storia dell'archeologia sovietica, esse non si presentarono però nella loro forma più pura, ma furono sottoposte a contatti, influssi e contaminazioni reciproche, a volte con risultati e cooperazioni positive, altre con maggiori problematiche20.

Una delle tendenze che ebbe più fortuna in ambito sovietico fu la cosiddetta "archeologia sociale" (Kradin 2011). Fra gli anni '30 e '60 le grandi scoperte archeologiche furono analizzate con l'obiettivo di identificare la stratificazione sociale, che fu la "responsabile" della costruzione di architetture monumentali, la composizione e organizzazione spaziale degli insediamenti, l'organizzazione del lavoro e soprattutto la costruzione dei tumuli sepolcrali, almeno in riferimento alle culture nomadiche delle steppe euroasiatiche (Kradin 2011, 250). All'inizio degli anni '70 una delle discussioni che maggiormente interessò gli studiosi sovietici fu il tentativo di dare una definizione uniforme di "cultura archeologica" (Trigger 1996, 343). L' archeologia sociale si diffuse ancora maggiormente in Russia, mirando soprattutto alla ricostruzione delle strutture sociali delle società arcaiche, tentando di determinare per esempio la relazione fra il livello sociale del defunto e lo sforzo per la costruzione della sua sepoltura (Bunyatyan 1985; Boiko 1986; Gening 1984; Gening et al. 1990). Su questa tendenza incise in maniera consistente lo scavo di grandi kurgan che nel frattempo erano stati individuati, come gli esemplari della necropoli di Pazyryk (Gryaznov 1950), e di numerosi altri kurgan in varie necropoli del vasto territorio russo. Questo concetto del rapporto sforzo

fu, nel 1954, regalata da N.S. Krushchev all'Ucraina, come regalo per il 300 anniversario dell'unificazione dell'Ucraina alla Russia (Shnirelman 1995, 134-135).

20Le diverse tendenze sono le seguenti: storia archeologica; etnogenetica archeologica; sociologia

archeologica; archeologia descrittiva; archeotecnologia; ecologia archeologica; ricerca sequenziale del passato e archeologia teorica. Per una loro descrizione più dettagliata si veda Bulkin, Klejn, Lebedev 1982; Klejn 2012, 61-85.

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energetico/classe sociale trovò del resto molta fortuna anche all'interno di altri paesi (Binford 1971, Masson 1976, Brown 1981, Gening et al. 1990)(Kradin 2011, 251).

Un'altra tendenza sviluppatasi a partire dal 1960 fu l'archeologia descrittiva. Attraverso l'uso di metodi statistici e matematici in archeologia si mirava ad una analisi e formalizzazione delle informazioni degli oggetti. L'introduzione dei sistemi informatici nel periodo post-sovietico ha spinto ancora di più verso l'uso dei metodi statistici (Kradin 2011, 251).

Gli studiosi sovietici furono inoltre pionieri nell'applicazione di alcune tecniche o nell'approfondire specifici campi di studio, già a partire dal periodo successivo alla seconda guerra mondiale, per esempio per quanto riguarda l'utilizzo delle scienze naturali (paleobotanica, archeozoologia, analisi mineralogiche [Bibikov 1953]); lo studio delle tracce d'uso su strumenti litici (Semenov 1964); gli studi tecnologici sull'archeometallurgia (Chernykh 1992; Ryndina, Kon'kova 1982); gli studi paleo- ecologici. Purtroppo però la loro applicazione fu talvolta utilizzata in maniera "semplicistica", spesso come causa e spiegazione di rapidi cambiamenti culturali avvenuti nelle società preistoriche, dando così vita a concetti impregnati di un carattere fortemente deterministico (Anthony 1995, 187). Si tratta di settori che ancora oggi, nel periodo post-sovietico, hanno grande fortuna fra le attenzioni degli archeologi russi e delle ex-repubbliche sovietiche. Nonostante il primato in alcuni studi, e la brillantezza di numerose premesse, le aspettative non furono rispettate, e numerosi campi di ricerca e innovazioni tecniche e teoriche furono in seguito portate avanti da studiosi non sovietici. In questo fenomeno influì senza dubbio l'allontanamento politico di numerosi studiosi e intellettuali e, in misura minore la separazione fra istituti di ricerca, e istituti di insegnamento, dove studiosi di alto livello spesso non avevano studenti che potessero proseguire i loro campi di ricerca (Anthony 1995, 188).

Durante il periodo sovietico, la maggior parte delle pubblicazioni sullo studio degli Sciti fu naturalmente realizzata dall'Accademia delle Scienze (Izdatel'stvo

Akademii Nauk). Vanno inoltre segnalate una serie di riviste, tra cui Sovetskaya arkheologiya (Archeologia sovietica); Arkheologiya (Archeologia), la rivista dedicata