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1.2 Le grandi fasi dell'archeologia russa

1.2.3 Il periodo post-sovietico

Negli ultimi anni del regime sovietico l'archeologia aveva vissuto una fase di stagnazione, sempre ricollegabile a situazioni contingenti legate al controllo del Partito. I profondi cambiamenti che iniziarono alla metà degli anni '80, quando M.S. Gorbachov andò al potere, trovarono la disciplina archeologica impreparata al cambiamento, chiusa in se stessa e poco consapevole delle discussioni che caratterizzavano l'archeologia negli altri paesi. Al contrario gli archeologi erano pronti ad affrontare questi cambiamenti, grazie al lavoro nascosto di liberi pensatori, e degli studiosi scontenti del regime insieme ad altri oppositori (Klejn 2012, 44). Di fatto, a livello pratico, dopo il collasso dell'Unione Sovietica, l'archeologia visse un periodo di grave crisi, a causa di alcuni fattori critici che la affliggevano, quali la drastica riduzione dei finanziamenti statali e di conseguenza degli stipendi degli archeologi; il caos legato ad una riorganizzazione delle varie istituzioni ed enti che si occupavano di archeologia, la mancanza di una legislazione che regolasse e proteggesse i beni archeologici in seguito alla privatizzazione dei terreni (Anthony 1995, 178-183; Chernyk 1995, 139-140). Questa fase portò alla disgregazione delle metodologie e degli approcci sovietici nei confronti della ricostruzione storica, indirizzando alla ricerca di nuovi basi teoriche sia per la ricerca sul campo che per gli approcci interpretativi. Questa fase di crisi dei modelli teorici costituì la base per una revisione critica dei diversi approcci e delle scuole di pensiero diffuse in altri ambienti culturali della seconda metà del XX secolo (Smyntyna 2013, 27).

In realtà dal punto di vista metodologico, se da una parte ci fu una necessaria e inevitabile apertura, dall'altra gran parte dell'apparato metodologico rimase invariato, a causa delle difficoltà ad aprirsi completamente a paradigmi così diversi. Il rapporto dei paesi dell'ex Unione Sovietica con l'Occidente si stava intensificando, ma a passi decisamente piccoli. Le discussioni teoriche sull'archeologia post-processuale non hanno mai fatto breccia in maniera sistematica nella comunità culturale russa, e di conseguenza sotto molti punti di vista l'approccio dell'archeologia russa si fonda ancora oggi sulle basi teoriche del periodo sovietico, influenzando anche lo sviluppo della disciplina archeologica attuale (Kradin 2011, 252). Sono stati tuttavia stabiliti contatti più stretti fra archeologi russi e stranieri, grazie finalmente ad una maggiore apertura che ha favorito numerose spedizioni congiunte, l'organizzazione di conferenze internazionali e la conseguente pubblicazione di opere di autori russi e stranieri, non più solo in lingua russa, ma anche in inglese.

Nei primi anni dopo la fine del regime sovietico, una delle problematiche più diffuse fu peraltro l'emergere di vari movimenti nazionalisti locali, che naturalmente erano stati per lungo tempo osteggiati e combattuti durante il periodo sovietico, ma che in realtà affondavano le proprie radici in tempi lontani, in alcuni casi addirittura al periodo pre-rivoluzionario. Uno dei motivi della loro recente rinascita era costituito dalla loro contrapposizione al forte nazionalismo russo imposto dal regime, talvolta

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sfociato in vero e proprio "sciovinismo" sul passato della "Grande Russia" (Chernykh 1995, 141). Naturalmente questa impostazione ideologica ha influenzato pesantemente la ricerca scientifica e si assiste in questa fase ad esagerazioni teoriche che appaiono oggi completamente assurde. Uno degli esempi più rappresentativi fu il tentativo di alcuni studiosi (Miziev 1986; 1990) di dimostrare l'affinità storica fra popoli turchici e sumerici, adducendo la spiegazione che tutti i tumuli a partire dall'Età del Bronzo (compresa la cultura di Maikop) appartenevano a popoli parlanti lingue turchiche, i quali in un secondo momento sarebbero migrati anche verso sud, fino in Mesopotamia, lasciandovi l'attestazione della prima forma di scrittura, il sumerico (Chernykh 1995, 143).

Attualmente, un po' come nel periodo sovietico, l'archeologia in Russia è considerata una parte della storia, e gli archeologi sono formati all'interno dei dipartimenti di storia, anche se il dibattito sulla possibilità di separare l'archeologia dalla storia è presente. Allo stesso tempo però ci sono forti resistenze all'adozione del sistema americano, in cui l'archeologia fa parte del più ampio gruppo delle scienze antropologiche. La situazione appare comunque piuttosto complessa e il dipartimento di archeologia in alcune università si trova nel dipartimento di antropologia, in altre in quello di studi culturali. La struttura delle istituzioni archeologiche in Russia ha oggi, come in passato, una forte centralizzazione accademica, soprattutto nelle città di Mosca e San Pietroburgo e nei numerosi istituti e dipartimenti archeologici nati dopo il 1991. L'Accademia delle Scienze include tre istituti principali: l'Istituto di Archeologia, l'Istituto di Storia della Cultura Materiale e l'Istituto di Archeologia ed Etnografia. Le università sono il secondo grande centro dove sono impiegati gli archeologi. Negli ultimi anni sono stati istituiti dipartimenti di archeologia anche all'interno di università scientifiche e tecniche, a causa della sempre maggiore diffusione di analisi scientifiche specialistiche nella prassi archeologica. Infine i musei, dai più piccoli a livello regionale ai più grandi e famosi e di caratura internazionale, costituiscono il terzo grande polo di promozione dell'attività archeologica (Kradin 2011, 245-246).

Molto diffuso nell'archeologia russa dopo il 1991 è l'utilizzo delle analisi scientifiche applicate all'archeologia, seguendo una tendenza che già in periodo sovietico era piuttosto popolare. Tra le più comuni possiamo ricordare21: analisi del 14C per le datazioni cronologiche assolute (Alekseev et al. 2002; Alekseev et al. 2001); analisi biologiche ed ecologiche (Litvinsky 1989; Frachetti et al. 2010), per la ricostruzione dell'ambiente e del paesaggio; analisi pato-anatomiche (Buzhilova 2005), soprattutto su scheletri per ricostruirne malattie, stili di vita, dieta, ecologia, in particolar modo nelle popolazioni preistoriche. Numerosi anche gli studi sul DNA (Clisson et al. 2002; Ricault et al. 2004; Keyser et al. 2009; Chikisheva et al. 2007) e sui crani (Kozintsev 2007), aventi principalmente lo scopo di analizzare aspetti etnici e migrazionali. Spesso queste analisi sono eseguite in collaborazione con studiosi ed istituti stranieri all'interno di progetti internazionali. Una minore attenzione sembrerebbe apparentemente dedicata alla teoria dell'archeologia, argomento sul quale

21 Gli esempi bibliografici riportati fanno riferimento soprattutto all'orizzonte culturale scita, oggetto del

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sono stati pubblicati solo pochi saggi nel corso degli ultimi 20 anni, molti dei quali scritti dallo studioso L. Klejn (1977, 2001, 2006, 2006a, 2012) che molta attenzione ha dedicato a questo tipo di studi (Kradin 2011, 249).

L'archeologia sociale, sviluppatasi negli anni '70, continua ad avere buone fortune. Infatti sono piuttosto comuni studi sulla complessità sociale, soprattutto in relazione alle "culture nomadiche" delle steppe euroasiatiche, caratterizzate dall'assenza o scarsa attestazione di insediamenti, ma da una grande abbondanza di sepolture (kurgan) di dimensioni diverse. Grande attenzione continua ad essere attribuita agli studi dei rituali funerari, con una discussione incentrata principalmente sulla tipologia di approccio utilizzabile in riferimento alla definizione del rango sociale dell'inumato. Il parametro più utilizzato è la cosiddetta "spesa energetica" ovvero la quantità di energia (quindi manodopera e risorse) utilizzata per la costruzione della sepoltura; ma anche la presenza o meno di beni di prestigio esotici, la presenza e quantità di metalli preziosi. Tuttavia, dato che tali sepolture erano spesso depredate fin dall'antichità, il sistema più utilizzato per la loro classificazione prevede un confronto basato su vari fattori, quali dimensioni, forma e, quando possibile, eventuale ricchezza del corredo (Kradin 2011, 252). Nonostante l''archeologia post-processuale" critichi l'archeologia "of social ranks" (Parker-Person 2001), a dimostrazione della ancora parziale chiusura dell'ambiente russo agli approcci teorici occidentali, essa viene ancora comunemente utilizzata (Kradin 2011, 255).

Di fondamentale importanza nell'introduzione di nuove idee nel mondo accademico e scientifico russo, come precedentemente accennato, sono i progetti e convegni internazionali a cui hanno partecipato e partecipano studiosi russi, europei ed americani, grazie ai quali si è fatta largo una maggiore integrazione nel dibattito culturale degli studiosi russi. Tra le nuove proposte metodologiche diffuse in Russia possiamo ricordare lo sviluppo della ricerca tipologica, migliori seriazioni cronologiche, il cosiddetto neo-evoluzionismo multilineare, studi sulle origini delle civiltà e analisi dei "world-system", che hanno portato soprattutto alla critica dell'evoluzionismo unilineare, e alla formulazione di alternative al concetto di "chiefdom" e "early state", che nel mondo russo, a partire dalla metà degli anni '60 si erano fortemente diffusi, parallelamente allo sviluppo dell'ideologia processuale (Kradin 2011, 257-258).

In conclusione si può ribadire come all'inizio degli anni '90, in una situazione politica non semplice l'archeologia russa abbia vissuto un periodo di difficoltà a causa di finanziamenti economici fortemente ridotti, e in parte anche per la fuga di numerosi studiosi all'estero. Una delle principali fonti di finanziamento per l'archeologia è costituita dai profitti ottenuti dallo sfruttamento del petrolio, che vengono reinvestiti in grandi progetti costruttivi (Klejn 2012, 47). Dopo un declino catastrofico negli anni '90, si è fortunatamente avuta una grande crescita negli anni 2000 (Sorokina 2008). Il destino dell'archeologia sembra comunque dipendere in buona misura dalla fluttuazione del prezzo del petrolio, e nonostante gli scavi siano numerosi, sotto altri aspetti, quali il livello della ricerca scientifica, lo sviluppo delle metodologie e la formazione di giovani studiosi, il panorama appare decisamente meno roseo (Klejn 2012, 49). Il post- processualismo non è riuscito a far breccia negli ambienti culturali russi, a causa del

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forte legame di questi con l'archeologia processuale e le sue tematiche principali. Il mondo culturale russo non è probabilmente ancora pronto per affrontare l'analisi e una revisione critica di concetti legati al genere, alla natura dei gruppi etnici, al nazionalismo, che invece sono comunemente affrontati nelle culture occidentali (Kradin 2011, 262). Forse con la formazione delle nuove generazioni di archeologi e la speranza di uno sguardo più consapevole verso l'esterno, si formeranno le condizioni per un cambiamento reale nella disciplina archeologica russa22.

Da questa breve rassegna dell'evoluzione della pratica archeologica in Russia emerge in primo luogo come l'archeologia sovietica non possa essere definita esclusivamente marxista. Per usare le parole di Behrens (1984, 57) "There is, to put it

bluntly, no Marxist archaeology, but only archaeology with Marxist aspect" (Klejn

2012, 144). Il Marxismo da una parte definì la sfera di interesse degli archeologi marxisti, il loro apparato concettuale e la natura generale delle loro idee, ma dall'altra illustrò anche il preciso sviluppo che tali concetti dovevano percorrere. Talvolta certe idee, fatti e ipotesi che potevano essere considerate vicine al Marxismo furono trasformate in dogmi e ogni, anche lieve, allontanamento da una norma marxista così rigida fu considerata alla stregua di un'eresia o apostasia (Klejn 2012, 149). Allo stesso tempo però l'archeologia era strettamente subordinata agli obiettivi della politica attuale, poiché l'obiettivo principale del partito era affermare il potere dello stato socialista, a discapito di ogni principio teorico, anche il più marxista. Inoltre il sistema amministrativo e di controllo conferì alla scienza sovietica un'impostazione fortemente centralizzata, in cui dirigenti avevano il monopolio della verità, quindi affinché un'idea o teoria venisse accettata contava più il fatto che il suo autore facesse parte della gerarchia (e naturalmente in che ruolo e livello), piuttosto che una sua reale vicinanza ai principi marxisti. Ne consegue che definire nel dettaglio cosa fosse marxista nell'archeologia sovietica risulta piuttosto difficile, anche per problemi concettuali, oltre che delle reali vicende vissute dalla disciplina stessa nel corso della sua storia (Klejn 2012, 151-152). Secondo Klejn (2012, 154) oggi si può generalmente ritenere che "Marxist archaeology as previously understood, as an uncontradictory and integral

system of tenets, totally subordinate to an equally uncontradictory and integral uniquely correct system of Marxism, was merely an unattainable ideal, a myth. It never existed and could not have existed. Archaeology under the influence of Marxism did exist, an archaeology subordinate to Utopian dogma and political convenience". Come metodo

di ricerca, e di indagine (cosa vera anche per altri paradigmi), il Marxismo, se usato con cautela e secondo giuste metodologie, non è da considerarsi incompatibile con le scienze sociali. Il suo limite più grande è quello di aver ridotto l'uomo unicamente ad un insieme di relazioni sociali. L'uomo è infatti anche un essere "biologico" e numerosi suoi aspetti (fra cui quelli sociali) non possono essere capiti se non se ne tiene conto (Klejn 2012, 153-157).

Dopo aver brevemente tratteggiato gli sviluppi teorici della disciplina archeologica in ambito russo, dal periodo zarista, fino all'attuale situazione, ci

22 Una breve rassegna delle pubblicazioni di studiosi russi e stranieri sulla storia e le vicende della teoria

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soffermeremo ora più dettagliatamente sulla storia in primo luogo delle scoperte e in secondo luogo degli studi, che riguardano in particolare il mondo culturale scita, dalle regioni orientali a quelle occidentali, soffermandoci principalmente sulla regione del Semirech'e, cuore geografico al centro della presente ricerca.

1.3 Lo Zar Pietro I il Grande, le prime ricerche delle vestigia scite e la nascita della "Collezione Siberiana"

La "Collezione Siberiana" ancora oggi attrae l'attenzione dei visitatori nel Museo dell'Ermitage, ed ha a lungo suscitato l'interesse degli studiosi (Tolstoi e Kondakov 1889-1891; Haskins 1959; 1961), i quali hanno tentato di chiarire le complicate vicende che hanno portato alla genesi di una delle collezioni di oggetti archeologici più famose al mondo. Generalmente i loro studi si sono concentrati su alcuni singoli, più interessanti o dibattuti frammenti della collezione, ma mai fu intrapreso uno studio completo delle vicende della Collezione Siberiana fino al tentativo, purtroppo prematuramente abbandonato, di Salmony (1947; 1948; 1949; 1952) e, successivamente, da parte di Rudenko (1962). L'interesse dello Zar Pietro I per queste categorie di oggetti deve essere probabilmente ricollegato alla volontà di "occidentalizzare" il suo impero, attraverso anche il sostegno alla ricerca scientifica, fra cui la ricerca e collezione di rarità e dei "misteriosi oggetti d'oro".

Le prime attestazioni di scavi irregolari e le prime menzioni di oggetti d'oro provenienti dai nuovi territori conquistati della Siberia compaiono già a partire dalla seconda metà del XVII sec. (Haskins 1959, 71; Gatsie 1975, 210). Sembra però che tali oggetti non fossero giunti alla corte degli Zar. Appaiono in questi anni anche la prima dichiarazione ufficiale di interesse per uno scavo archeologico e la prima richiesta di descrizione scientifica degli oggetti disseppelliti (Zamiatnin 1950), durante il regno dello Zar Fyodor Alekseyevich (1676-1682): "To send some suitable person from Kursk

in the spring to this place where finds were made, and order this emissary to dig out the bones and measure them - to draw up a sketch and make an inventory" (Zamiatnin, SA,

XIII [1950], 288). Ulteriori resoconti (Witsen, 1692, ripubblicato postumo nel 1785) del rinvenimento di oggetti d'oro giunsero negli anni successivi alla corte degli Zar, e Pietro divenne sempre più interessato, tanto che nel 1718 ordinò al suo governatore in Siberia, attraverso un editto, di inviare ogni tipo di analoga scoperta nella capitale, poiché a seguito della prima pubblicazione di Witsen (1692), l'interesse per questo tipo di oggetti andava crescendo nelle comunità di europei in Russia (Gatsie 1975, 211).

Numerosi kurgan furono dunque scavati lungo il fiume Irtysh dal capitano Matygorov nel 1702 (Spitsyn 1906, 228), mentre numerosi altri furono letteralmente depredati, anche se nessun oggetto giunse a San Pietroburgo. Nell'ottobre del 1715, Demidov, industriale russo e commissario imperiale per lo sfruttamento delle risorse minerarie in Siberia, inviò una collezione di oggetti d'oro siberiani in onore della nascita del figlio dello zar Pietro Petrovich, che costituisce di fatto il vero primo consistente nucleo della futura Collezione Siberiana di Pietro il Grande. L'anno successivo il principe Gagarin, governatore della Siberia Occidentale, a cui lo Zar già a partire dal

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1712 aveva ordinato di organizzare lo scavo delle antiche tombe e di far giungere a lui i reperti, inviò due ulteriori gruppi di oggetti, per un totale di circa 90 pezzi (Haskins 1959, 73-74). Tra il 1721 e il 1724 solo pochi pezzi entrarono nella Collezione, come mostra l'inventario preparato nel 1724. Nel 1725 fu fondata l'Accademia delle Scienze, dove confluì la collezione, che nel 1726 contava 124 numeri di inventario, numerosi dei quali sicuramente composti da più pezzi. Nel 1859 la collezione fu poi spostata al museo dell'Ermitage, dove ancora oggi si trova.

L'attenzione per queste antichità era ormai stata risvegliata e l'interesse rimase vivo fino ai giorni nostri. L'editto (Ukaz) dello Zar del 1718 probabilmente non sortì grandi effetti, in quanto solo alcune decine di oggetti furono consegnati, mentre il saccheggio delle tombe continuò indisturbato23. Lo Zar promosse una ricognizione (1721-1722) degli sterminati territori siberiani, affidando il compito all'enciclopedista Daniel Gottlieb Messerschmidt. Fu poi proprio grazie all'Accademia russa delle Scienze (Akademiya Nauk) che furono intraprese ricognizioni e scavi, sulla base dei quali si tentò di redigere anche una classificazione tipologica delle sepolture (da parte di J.G Gmelin e G.F. Müller) e dei materiali, tentando di individuare una prima successione di epoche storiche (Popescu 2000, 128).

Se il nucleo principale e originario della collezione risale all'opera dello zar Pietro I, numerosi pezzi non hanno niente a che fare con esso e con la Siberia e costituiscono aggiunte successive, legate a ricerche archeologiche, ritrovamenti casuali, acquisti o doni. E' per esempio il caso del materiale raccolto durante esplorazioni condotte da Messerschmidt (1723) e Gerard Miller (1733-1743) e durante i regni di Anna (1730-1740), Elizabetta (1741-1761) e Caterina II (1762-1796), la quale aggiunse il cosiddetto "Mel'gunov find" e altri ritrovamenti provenienti dalle coste settentrionali del Mar Nero (Haskins 1959, 64, 69). Successive acquisizioni furono gli eccezionali oggetti provenienti dalle cosiddette "tombe gelate", di cui parleremo nel dettaglio successivamente, grazie agli scavi di Radlov nel 1865 a Berel e Katanda, e, già in epoca sovietica, di Koslov a Noin-Ula nel 1925, di Gryaznov e Rudenko a Pazyryk, fra il 1929 e il 1949.

La Collezione Siberiana costituisce un unicum nel suo genere e contiene innumerevoli capolavori della metallurgia antica. Uno dei limiti degli oggetti che ne fanno parte è purtroppo spesso la mancanza di informazioni riguardanti il contesto di origine; dunque l'area di provenienza e la datazione possono solo essere dedotte attraverso confronti tipologici.