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23 La figura di Nikita Demidov, che costituì il principale rifornitore di opere archeologiche dello Zar,

traccia bene la situazione di questa fase di ricerche. Industriale nel campo della metallurgia e Commissionario imperiale per lo sfruttamento delle risorse minerarie in Siberia, noto come collezionista e trafficante di reperti, fu un personaggio senza scrupoli, in continuo contatto con i tombaroli che operavano nei territori siberiani.

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Dopo gli entusiasmi sviluppatisi a partire dalla metà dell'800 a causa del rinvenimento di grandi e ricchi kurgan, nei decenni precedenti la prima guerra mondiale si assiste in Siberia ad un forte rallentamento nelle ricerche, a differenza dei territori a nord del Mar Nero, dove la ricerca di testimonianze scitiche procedeva con sempre rinnovato vigore. Già nel XIX secolo nelle regioni orientali della Siberia, in territori molto ricchi di testimonianze archeologiche, erano stati fondati i primi musei locali come quello di Minusink, fondato nel 1877 dal botanico e etnografo Nikolai Martianov (Popescu 2000, 132). Un grande studioso dei territori orientali del XIX secolo fu Vasilij Vassilievic Radlov, il quale pubblicò il resoconto dei suoi studi in tre volumi (Sibiriskie drevnosti, 1888, 1894).

Già a partire dal XIX secolo furono condotte numerose ricerche da parte di figure locali di spicco, per esempio P.K. Frolov, N.M. Martyanov o D.A. Klementz, i cui scavi contribuirono a riempire i locali musei archeologici che andavano via via nascendo in Siberia. Scavi sistematici furono condotti nei Monti Altai, nel Bacino del Minusink e in Siberia occidentale da studiosi di primo piano e di caratura internazionale, come il già citato V.V. Radlov e successivamente A.V. Adrianov, anche con l'obiettivo di redigere una prima forma di Carta archeologica di queste regioni (Bokovenko 1995a).

A partire dagli anni 20 del '900 operarono nelle regioni orientali importanti archeologi come S.A. Teploukhov, che tra i primi adottò un sistema di studi scientifico che abbracciava discipline diverse, e poi M.P. Gryaznov, S.I. Rudenko e S.V. Kiselyov, il quale pubblicò una monografia (1951) che costituisce una delle pietre miliari della disciplina, affrontando lo studio di tutti gli aspetti relativi alla formazione e sviluppo culturale di una popolazione antica (Bokovenko 1995a, 255-257). Il numero di informazioni crebbe notevolmente durante gli anni '30 e '40 grazie alle ricerche condotte, soprattutto sui Monti Altai, da parte di S.V. Kiselyov, L.A. Evtyukhova, G.P Sosrovskii, M.P. Gryaznov e G.P. Sergeyev. Una delle scoperte più importanti fu lo scavo, a partire dal 1929, della necropoli di Pazyryk, resa famosa soprattutto per gli eccezionali ritrovamenti dovuti al fenomeno delle "tombe gelate". Lo scavo di questa necropoli continuò fino al 1954 ed è stato ampiamente pubblicato, diventando uno dei repertori meglio conosciuti e più famosi dell'intera ricerca archeologica sul mondo delle steppe (Gryaznov 1950, Jettmar 1964; Rudenko 1970; Sulimirsky 1970)(Bokovenko 1995a, 257-258).

Nel corso della seconda metà del secolo scorso e ancora nei primi decenni del nuovo millennio l'archeologia delle regioni orientali ha continuato ad attrarre l'attenzione degli studiosi (D.G. Savinov, V.D. Kubarev, V.A. Mogilnikov, V.I. Molodin, A.S. Surazakov, V.A. Umanskii, L.S. Marsadolov, T.N. Troitskaya, Yu. F. Kiryushin, A.B. Shamshin, N.V. Polos'mak, e altri ancora [Bokovenko 1995a, 258]), sia per la peculiare tipologia di reperti, sia e soprattutto per le numerose e complesse problematiche con le quali è necessario confrontarsi in questa regione. Tra le più interessanti possiamo ricordare gli aspetti cronologici legati all'introduzione delle datazioni al radiocarbonio, nell'ottica dell'individuazione dell'area di origine delle tribù scite; la presenza di una presunta eterogeneità etnica dei popoli che vissero in questa

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regione, potenzialmente studiabili attraverso analisi genetiche, e attraverso recenti analisi (Gerling 2015, 220-221) degli isotopi radioattivi nei denti animali (Higgins, MacFadden 2004; Hoppe et al. 2004,) che permettono di identificare cambiamenti di pascolo o movimenti associati ad altre cause quali il commercio e lotte o conflitti (Gerling 2015). Si tratta dunque di un'area dove le moderne analisi scientifiche possono trovare un ricco e stimolante campo di applicazione con l'obiettivo di trovare una risposta alle numerose domande ancora aperte ed irrisolte e dove, dopo il crollo dell'Unione Sovietica, come vedremo sono stati sviluppati numerosi progetti di ricerca a carattere internazionale.

Nella moderna archeologia si tende a suddividere queste regioni orientali, estese in parte nella Siberia Meridionale, il Kazakhstan Orientale e Mongolia occidentale, in diversi gruppi culturali distinti ma culturalmente affini e appartenenti ad uno stesso orizzonte culturale scita: i Monti Altai-Cultura di Pazyryk; i Monti Sayani; l'altopiano di Tuva; e il bacino di Minusink-Khakassia-Cultura di Tagar24.

La regione di Tuva (repubblica russa indipendente) ha restituito scoperte fra le più importanti. Le prime perlustrazioni furono condotte da A.V. Adrianov (1886) alla fine del XIX sec. Esse furono continuate da S.A. Teploukhov (1929) negli anni '20 del '900, ma solo dopo gli studi degli anni '40 e '50 fu possibile avere un quadro cronologico complessivo (Kyzlasov 1958; Vainshtein 1958). Le ricerche continuarono con notevole intensità durante gli anni '60 (Potapov e Grach in primis), ma la grande attenzione si concentrò su questa regione dopo lo scavo, fra il 1971 e il 1974, del grande Kurgan reale di Arzhan che, sulla base di elementi tipologici della cultura materiale e delle tecniche costruttive, viene datato come la più antica presenza scita nell'Asia continentale. Esso è considerato risalire all'VIII sec. a.C.; secondo Gryaznov (1983, 3) probabilmente addirittura al IX sec. a.C. (cfr. infra) (Bokovenko 1995a, 259-260). Recentemente gli scavi del tumulo 2 della necropoli di Arzhan, condotti da una missione congiunta parte di un progetto scientifico russo-tedesco, sotto la guida del

Central Asian Archaeological Expedition of the State Ermitage di San Pietroburgo e il

Dipartimento euroasiatico del DAI di Berlino, hanno portato alla luce una tomba principesca intatta, con un corredo ricchissimo, a testimonianza della ricchezza della necropoli e più in generale della regione (Chugunov, Parzinger, Nagler 2010).

Ulteriori recenti progetti di scavo sono stati portati avanti dal Topoi Excellence

Cluster e dalla Freie Universität Berlin con l'obiettivo di analizzare la monumentalità

delle sepolture delle steppe euroasiatiche, concentrandosi soprattutto sull'impatto che esse potevano avere dal punto di vista culturale, sociale e spaziale. Questi scavi hanno avuto luogo in Kazakhstan, a Bajkara fra 1997 e 1999; a Zhoan Tobe e Kegen nel 2008- 2009, a Tort Oba nel 2011; e in Siberia, oltre che nel già citato sito di Arzhan 2 (2000- 2004), a Barsuciy Log (2004-2006)25.

24 Per una descrizione maggiormente approfondita delle varie culture della regione si veda Bokovenko

1995b; 1995c; 1995).

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In anni recenti, ricerche sulle testimonianze dell'Età del Ferro, in alcuni casi riconducibili ad un orizzonte culturale parzialmente o pienamente scita, sono state condotte anche nei territori della Mongolia (Volkov 1967; 1995), e della Cina Orientale, precisamente nella regione dello Xinjang, dove sono state rinvenute sepolture attribuibili alla cultura scita (Debaine Francfort 1989; 1990).

Negli ultimi decenni un'attenzione ancora maggiore per le sepolture delle varie regioni dei Monti Altai è stata suscitata da problematiche di tutt'altra natura, con le quali il mondo dell'archeologia non aveva dovuto rapportarsi precedentemente, ovvero il drammatico fenomeno dei cambiamenti climatici. Il sempre maggiore innalzamento delle temperature infatti minaccia lo scioglimento delle lenti di ghiaccio che caratterizzano le "tombe gelate". Questo fenomeno ha permesso una perfetta conservazione sia dei corpi umani mummificati che degli animali sacrificati, oltre che di tutta una serie di oggetti facenti parte del corredo e realizzati con materiali deperibili come legno, cuoio, feltro, tessuti ecc. Essi costituiscono un unicum nel panorama dell'archeologia del mondo scita e rappresentano una finestra eccezionale e di inestimabile valore sulla conoscenza del mondo e della cultura di questi popoli. Per questo, nel 2005 l'UNESCO (United Nations Educational, Scientific and Cultural

Organization) ha lanciato il progetto "Preservation of the frozen tombs of the Altai Mountains", con l'obiettivo di suscitare una maggiore coscienza dell'importanza delle

tombe gelate dei Monti Altai a livello internazionale, diffondere la loro conoscenza e allo stesso tempo preservare il paesaggio montano dove tali gruppi nomadici vissero ed interagirono. In collaborazione con questo progetto, nel 2005 e nel 2006 l'Università di Ghent, in Belgio, ha realizzato una mappatura dettagliata dei monumenti archeologici lungo una delle numerose valli della regione, attraverso ricognizioni sul terreno e l'utilizzo di foto satellitari (CORONA), introducendo ed elaborando nella regione una tecnica che attualmente è molto diffusa e di grande aiuto in vari campi dell'indagine archeologica (Unesco 2008; Bourgeois et al. 2007; Plets et al. 2012).