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La clausola di non discriminazione convenzionale: caratteri e limiti

1.3 L’approccio tradizionale del diritto internazionale al fenomeno della doppia

1.3.1 I principi internazionali di neutralità e non discriminazione

1.3.1.2 La clausola di non discriminazione convenzionale: caratteri e limiti

problematiche della neutralità e della discriminazione siano affrontate, invece, nella prospettiva del diritto internazionale tributario41. Nell’ordinamento internazionale non è dato rinvenire un fondamento generale al divieto di discriminazione nei rapporti fiscali transnazionali. Non si può dire infatti che la neutralità, di cui – si è visto – la non discriminazione è un corollario, sia un principio intrinseco a tale sistema, trattandosi soltanto di un’opzione di politica economica.

Ciononostante, il principio di non discriminazione non è sconosciuto a questo ordinamento, in quanto trova una costante applicazione a livello pattizio. E’ l’art. 24 del Modello OCSE per le convenzioni contro le doppie imposizioni sui redditi e i capitali a contenere l’espressione “codificata” del principio di non discriminazione, in una formulazione che ne declina quattro distinti aspetti.

Tale norma, in primo luogo, garantisce la non discriminazione in base alla nazionalità (comma 1): i cittadini di ciascuno degli Stati contraenti non devono ricevere dall’altro Stato contraente un trattamento deteriore rispetto a quello che lo stesso riserva ai propri cittadini che versano in situazioni paragonabili42. Inoltre, a condizione di

40 Così Panayi, C., op. cit., p. 10.

41 V. sub nota 35 per la distinzione tra diritto tributario internazionale e diritto internazionale tributario. 42

Il comma 1 dell’art. 24 così recita:«Nationals of a Contracting State shall not be subjected in the other Contracting State to any taxation or any requirement connected therewith, which is other or more burdensome than the taxation and connected requirements to which nationals of that other State in the same circumstances, in particular with respect to residence, are or may be subjected».

reciprocità, il principio trova applicazione anche nei confronti di soggetti che abbiano la nazionalità di uno degli Stati contraenti ma risiedano in uno Stato terzo.

Le altre tre fattispecie previste nei paragrafi successivi dell’art. 24, invece, assicurano l’assenza di discriminazioni, sia dirette sia indirette, nei confronti dei residenti di uno Stato da parte dell’altro Stato in cui tali soggetti abbiano avviato attività economiche, attraverso la costituzione di stabili organizzazioni43, società controllate44, o semplicemente attraverso rapporti contrattuali45. In particolare, lo Stato destinatario degli obblighi di non discriminazione non può prevedere un regime meno favorevole per le stabili organizzazioni di società stabilite nell’altro Stato contraente rispetto alle società nazionali attive nello stesso campo; deve consentire ai propri residenti la deducibilità di interessi, royalties e altre spese corrisposte a soggetti residenti nell’altro Stato alle stesse condizioni dei pagamenti a soggetti residenti; non deve applicare alle società nazionali controllate da soggetti residenti nell’altro Stato contraente una tassazione più pesante rispetto alle società domestiche comparabili.

E’ opportuno in questa sede sottolineare alcuni aspetti della clausola di non discriminazione convenzionale, che serviranno a delineare le differenze rispetto all’analogo concetto di origine comunitaria.

Innanzitutto, occorre una precisazione sull’ambito di applicazione: i beneficiari del principio di non discriminazione convenzionale sono i non residenti che svolgono attività economiche nello Stato della fonte. La preoccupazione non è mai quella di prevenire i trattamenti discriminatori fra redditi esteri e redditi di fonte interna realizzati da residenti. Ciò è conseguenza del fatto che la clausola si riferisce esclusivamente alla discriminazione tra soggetti e non alla discriminazione tra redditi.

Inoltre, un aspetto interessante è quello delle limitazioni all’operatività del divieto: sono molo ampie le possibilità per gli Stati di addurre una giustificazione per

43 Secondo l’art. 24 comma 3, «The taxation on a permanent establishment which an enterprise of a

Contracting State has in the other Contracting State shall not be less favourably levied in that other State than the taxation levied on enterprises of that other State carrying on the same activities […]».

44 Il comma 5 dell’art. 24 contiene la clausola sulla cosiddetta capital ownership: «Enterprises of a

Contracting State, the capital of which is wholly or partly owned or controlled, directly or indirectly, by one or more residents of the other Contracting State, shall not be subjected in the first-mentioned State to any taxation or any requirement connected therewith which is other or more burdensome than the taxation and connected requirements to which other similar enterprises of the first-mentioned State are or may be subjected».

45 Ai sensi del comma 4: «Except where the provisions of paragraph 1 of Article 9, paragraph 6 of

Article 11, or paragraph 4 of Article 12 apply, interest, royalties and other disbursements paid by an enterprise of a Contracting State to a resident of the other Contracting State shall, for the purpose of determining the taxable profits of such enterprise, be deductible under the same conditions as if they had been paid to a resident of the first-mentioned State. Similarly, any debts of an enterprise of a Contracting State to a resident of the other Contracting State […]».

una deroga al principio, diversamente da quanto avviene sulla scena comunitaria, in cui opera il severo vaglio della Corte di Giustizia46.

Ciò detto, è dato interrogarsi sul ruolo svolto dalla clausola di non discriminazione nell’impianto delle convenzioni internazionali.

Vi è chi ha suggerito che la garanzia di un trattamento non discriminatorio per gli investimenti e le attività dei residenti di uno Stato nell’altro Stato contraente sia posta come condizione di reciprocità per l’assunzione dell’obbligo convenzionale da parte dello Stato di residenza di eliminare la doppia imposizione attraverso i

meccanismi del credito e dell’esenzione47. Se questa motivazione può apparire

plausibile rispetto alle disposizioni relative alle stabili organizzazioni e alla capital

ownership, che riguardano ipotesi in cui allo Stato di residenza viene

convenzionalmente imposto di eliminare gli effetti dell’imposizione prelevata dallo Stato della fonte, sicuramente è più difficile giustificare in quest’ottica le disposizioni sulla nazionalità e sulla deducibilità delle componenti passive.

Diversamente, si può ritenere che la funzione del principio di non discriminazione sia ridurre gli ostacoli alle relazioni commerciali e finanziarie transfrontaliere48. Tuttavia, la clausola di non discriminazione convenzionale non raggiunge efficacemente questo obiettivo, essenzialmente per due ordini di ragioni. In primo luogo, come già si è evidenziato, la sua portata è limitata, in quanto si rivolge solo agli investimenti in entrata effettuati da non residenti e non a quelli effettuati in uscita dal residenti49, tanto che si osserva come nell’impianto delle convenzioni siano le norme sull’eliminazione della doppia imposizione quelle veramente deputate ad agevolare gli scambi transfrontalieri50. In secondo luogo, questa limitazione dei

46 Un classico esempio è dato dalle normative in tema di thin capitalization. Perché un regime di thin

capitalization sia compatibile con la norma anti-discriminazione sulla deducibilità degli interessi (art. 24

comma 4 del Modello OCSE), è sufficiente che esso rispetti lo standard dell’arm’s length posto dall’art. 9 (1) del Modello (così afferma il Commentario OCSE sub art. 24, paragrafo 74, pag. 350 della versione aggiornata al 2010). In ambito comunitario, al contrario, questa giustificazione non è stata accolta dalla Corte di Giustizia, che ha condannato la normativa tedesca in tema di sottocapitalizzazione perché contraria alla libertà di stabilimento, nonostante fosse in linea con il principio dell’arm’s length (v. Corte di Giustizia del 12 dicembre 2002, causa C- 324/00, Lankhorst-Hohorst).

47 Green, R.A., The Troubled Rule of Nondiscrimination in Taxing Foreign Direct Investment, in Law

and Policy in International Business, 1994, 26, p. 113.

48

La stessa OCSE condivide questa impostazione riconoscendo che il disposto dell’art. 24, pur forumlato con riferimento a ipotesi specifiche, «aims broadly at preventing “tax protectionism” — i.e.

the deterrence by tax measures of investment from outside the country» (Rapporto in materia di Thin

Capitalisation, adottato dal Consiglio OCSE il 26 Novembre 1986, p. 30).

49

V. Graetz, M., Warren, A.C., op.cit., p. 1197.

50 V. Bennett, M.C., The David R. Tillinghast Lecture. Nondiscrimination in International Tax Law: A

Concept in Search of a Principle, in Tax Law Review, 2006, 59, 4, p. 466: «The non-discrimination rule embodied in income tax treaties has been framed as a source-country, rather than residence-country,

destinatari rivela che il vero obiettivo della norma non sono gli scambi transfrontalieri in quanto tali, a prescindere dai soggetti che vi siano coinvolti51.

Ancora, la clausola di non discriminazione può essere interpretata come funzionale ad assicurare una determinata ripartizione dei poteri impositivi. Se così fosse, si potrebbe comprendere più facilmente perché gli Stati che adottano prevalentemente una prospettiva di capital export neutrality supportino poi una concezione di discriminazione che pone obblighi in capo allo Stato della fonte,

nonostante il sistema di CEN in quanto tale non disponga in tal senso52.

In ogni caso, comunque, si tratta di una clausola difficilmente inquadrabile nell’impianto delle convenzioni tributarie, rispetto al quale si pone quasi come un’aggiunta, un corpo estraneo. Essa fa riferimento a specifiche ipotesi di discriminazione, risultato storico dell’esperienza applicativa di principi tradizionali delle relazioni internazionali, ma non specificamente nati in campo fiscale.

E’ importante inoltre porre in relazione il divieto di discriminazione con i concetti precedentemente esaminati in tema di neutralità. Infatti, a seconda che si adotti il punto di vista della capital import oppure della capital export neutrality, è diverso il significato di cui si riempie detto principio. Mentre una politica di CEN si focalizza sulla destinazione dell’investimento, una politica volta alla CIN affronta la neutralità nell’ottica della sua origine: e così cambia conseguentemente il parametro della discriminazione. Se dunque l’obiettivo del sistema è garantire la neutralità oggettiva delle opzioni di localizzazione, la discriminazione si concretizza nel trattamento meno favorevole degli investimenti esteri rispetto agli investimenti interni, effettuati in entrambi i casi da soggetti residenti. In altre parole, va considerata discriminatoria ogni violazione delle regole della CEN, e quindi, precisamente, dell’obbligo dello Stato di residenza di eliminare (per via di imputazione o esenzione) l’incidenza delle imposte estere. Specularmente, se si applica una logica di neutralità soggettiva all’importazione (CIN), sarà definita discriminazione la violazione dell’obbligo di pari trattamento imposto allo Stato della fonte ovvero la violazione dell’obbligo dello Stato di residenza di esentare i redditi esteri.

obligation – a commitment that a taxing country, in the exercise of its source-based jurisdiction, will not tax nationals (or residents) of its treaty partner more heavily than its own nationals (or residents)».

51

Questo è piuttosto l’obiettivo a cui mirano gli accordi internazionali sul commercio, da cui infatti trae origine la clausola di non discriminazione contenuta nelle convenzioni fiscali.

52 Mason, R., op. cit., p. 134, osserva che «States may be reluctant – for revenue reasons – to credit

Il principio di non discriminazione posto dall’articolo 24 del Modello OCSE ha una portata che non coincide con quella della neutralità in uscita, ma che nemmeno si identifica con la neutralità in entrata: da un lato, infatti, non indica una preferenza tra i metodi dell’imputazione e dell’esenzione né si oppone alla limitazione del credito d’imposta ordinario, dall’altro ammette la possibilità di alcune deviazioni dall’obbligo di pari trattamento di residenti e non residenti nello Stato della fonte. Tuttavia, nella concezione convenzionale di non discriminazione confluiscono elementi di entrambe le prospettive della neutralità, in quanto tale modello impedisce la previsione di restrizioni all’entrata (così come la CIN) ma non preclude la possibilità di agevolazioni all’entrata (come la CEN).

Alla luce della formulazione del principio contenuta nel citato articolo 24, si pongono altresì alcune questioni applicative, che tuttavia influiscono sul contenuto stesso del divieto. La prima concerne il giudizio di comparabilità tra residenti e non residenti necessario a fondare la stessa possibilità di una discriminazione: la portata del principio si restringe o si ampia a seconda dell’interpretazione più o meno stretta che si

attribuisce all’espressione «in a similar situation»53. La seconda attiene

all’ammissibilità di giustificazioni alla previsione di trattamenti discriminatori: nell’ottica di un sistema convenzionale, una disparità di trattamento può, ad esempio, essere giustificata in base ad esigenze di contrasto a fenomeni abusivi ed evasivi, o comunque, più in generale, in vista degli specifici obiettivi perseguiti dal singolo trattato, come potrebbe essere l’incentivo ad investire in Stati con economie in via di sviluppo54. Se dunque sul piano internazionale l’assetto delle cause di giustificazioni è variabile a seconda degli interessi sottesi a ciascun singolo trattato, assai diversamente si atteggia la problematica all’interno di un mercato unico come quello dell’Unione Europea, dove le cause di giustificazione a restrizioni e discriminazioni sono oggetto di un’elaborazione puntuale e tassativa (v. infra).

53 Come si vedrà, è grazie alla giurisprudenza elaborata in ambito comunitario che si sono delineati in

termini sempre più precisi (ed estensivi) i criteri di tale paragone.

54

E’ il caso delle cosiddette tax sparing clauses (o credito d’imposta presunto), clausole inserite in alcune convenzioni stipulate con Paesi in via di sviluppo, in base alle quali lo Stato di residenza del beneficiario di redditi prodotti in tali Paesi attribuisce un credito per imposte estere anche per imposte che effettivamente non sono state assolte. L’obiettivo di simili pattuizioni è evitare che le agevolazioni fiscali concesse dallo Stato della fonte al fine di attirare investimenti stranieri, siano vanificate per effetto del regime applicato nello Stato di residenza. Evidentemente, gli operatori dello Stato di residenza coperti dalla tax sparing clause si avvantaggiano di un regime particolarmente favorevole a cui non possono accedere gli operatori dello stesso Stato che effettuano investimenti interni.

Anche solo da questi ultimi rilievi emerge come oggi qualsiasi riflessione sul tema della discriminazione, anche su un piano puramente internazionale, non può più prescindere dal riferimento alla cospicua elaborazione comunitaria in materia, riconducibile principalmente all’opera di armonizzazione negativa svolta dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia55.

1.3.2 La mancanza di un divieto di doppia imposizione internazionale.

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