• Non ci sono risultati.

I regimi di transfer pricing e le rettifiche ad opera dell’amministrazione

Nello scenario dell’economia globalizzata, un’altra frequente ipotesi di doppia imposizione economica internazionale consegue all’esercizio dei poteri di accertamento e rettifica delle amministrazioni finanziarie nazionali. Con riferimento alle operazioni transnazionali (le uniche rilevanti ai fini comunitari), si danno due ipotesi: si può verificare, da un lato, un’interferenza tra l’azione di diverse amministrazioni statali tra loro non coordinate, oppure, dall’altro lato, l’azione di una singola amministrazione, sulla scorta della disciplina nazionale applicabile, può dimostrarsi discriminatoria rispetto al trattamento delle operazioni interne.

Tali ipotesi di doppia imposizione ricordano da vicino, in forma di proiezione nei rapporti internazionali, la dimensione procedurale del divieto di doppia imposizione economica individuato nel nostro diritto interno, che si traduce – fra l’altro – nel divieto di duplicazione dell’attività amministrativa sullo stesso presupposto399

.

La fattispecie senza dubbio più ricorrente è quella della doppia imposizione che deriva dall’applicazione dei regimi di transfer pricing, siano nazionali o ispirati al Modello OCSE, alle operazioni concluse tra parti correlate e non conformi al principio internazionale dell’arm’s length, in base al quale tali operazioni devono prevedere lo stesso prezzo di mercato che sarebbe stato applicato ad un’operazione paragonabile le cui parti non fossero tra loro collegate400

.

Quando l’autorità fiscale di un dato Stato identifica un’operazione conclusa in violazione di queste regole, essa procede unilateralmente alla sua riqualificazione (c.d.

primary adjustment). A questo punto possono aprirsi due distinti scenari:

(i) dal lato attivo, può aumentare il reddito imponibile del contribuente che

percepisce la remunerazione, essendo quest’ultima considerata al di sotto del prezzo di mercato;

(ii) dal lato passivo, può essere parzialmente negata al contribuente la

deducibilità del pagamento corrisposto alla parte correlata, considerato troppo elevato rispetto allo standard dell’arm’s length.

In entrambi questi casi si verifica una doppia imposizione economica sulle somme oggetto della rettifica, in capo ai due diversi soggetti correlati, se a questa prima

399

Si rimanda in proposito al precedente par. 1.2.4.

400 V. la ricostruzione offerta da Remacle, O., Nonnenkamp, S., Economic Double Taxation as an

Obstacle to Cross-Border Investments, in AA.VV., Double Taxation within the European Union, cit., p.

riqualificazione non corrisponde una riqualificazione uguale e contraria (c.d.

correspondent adjustment) da parte dell’autorità fiscale dello Stato in cui risiede la

controparte dell’operazione rettificata401.

L’eliminazione di tale forma di doppia imposizione è perseguita dalle Convenzioni basate sul Modello OCSE402 e, sul piano europeo, costituisce l’oggetto della citata Convenzione arbitrale 90/436/CE (su cui v. supra par. 2.2.3.1).

A quest’ultimo proposito si è già osservato che l’obiettivo dichiarato della Convenzione stenta in realtà a essere raggiunto. Bisogna chiedersi allora se sia possibile assicurare altrimenti l’eliminazione di tale doppia imposizione, superando il dato testuale della Convenzione arbitrale attraverso il richiamo dei principi generali del sistema comunitario. In altre parole, occorre interrogarsi se il risultato, mancato dalla Convenzione a causa della sua rigidità e delle difficoltà applicative, possa essere raggiunto più efficacemente facendo ricorso all’evoluzione in via interpretativa del contenuto delle libertà fondamentali.

Non vi è dubbio, infatti, che la spada di Damocle costituita dal rischio di subire una duplice tassazione rende meno attraente per le imprese europee lo stabilimento di controllate in altri Stati Membri. Come si è avuto modo di constatare nel corso di questo lavoro, tuttavia, ciò non basta di per sé ad integrare, nella concezione attuale della Corte di Giustizia, una restrizione vietata delle libertà. Infatti, quand’anche in via giudiziale si dovesse riscontrare l’effetto restrittivo derivante dall’applicazione di un regime nazionale “unilaterale” di transfer pricing, tale effetto potrebbe comunque trovare una giustificazione in base alla rule of reason, ormai inflazionata, della equilibrata ripartizione dei poteri impositivi403. In altri termini, il diritto comunitario non potrebbe addossare ad un singolo Stato la responsabilità dell’ostacolo all’esercizio delle libertà comunitarie causato dall’interazione di due diversi ordinamenti.

401 L’autorità fiscale del secondo Stato dovrebbe convenire sull’an e sul quantum della rettifica di valore

e conseguentemente, nell’ipotesi sub (i), riconoscere una maggior misura di deduzione del costo, mentre nell’ipotesi sub (ii), riconoscere un abbattimento della base imponibile del soggetto residente nel suo territorio. In entrambi i casi, dunque, si tratta per lo Stato che “subisce” la rettifica di ridurre la propria pretesa impositiva: non c’è nemmeno bisogno di sottolineare la delicatezza degli interessi in gioco.

402 Si veda, in particolare, il meccanismo di rettifica dei prezzi di trasferimento predisposto dall’articolo 9

del Modello OCSE. Il Commentario all’art. 25 del Modello riconosce anche che l’eliminazione della doppia imposizione da transfer pricing rientra nello spirito stesso della Convenzione e dunque va assicurata anche se un apposito meccanismo non è stato espressamente previsto dagli Stati contraenti: «most Member countries consider that economic double taxation resulting from adjustments made to

profits by reason of transfer pricing is not in accordance with – at least – the spirit of the convention and falls within the scope of the mutual agreement procedure set up under Article 25».

403 Si rimanda al precedente par. 3.5.2.2 e, per una critica a questa “abusata” causa di giustificazione, al

Applicando schemi ormai consolidati, non vi sarebbe infatti da stupirsi se la Corte riconducesse la fattispecie in questione ad un’ipotesi di “quasi-restrizione” derivante dall’esercizio parallelo della giurisdizione fiscale di più Stati. Si tratterebbe peraltro di un caso assai diverso da quelli esaminati in precedenza (v. supra cap. III), in quanto qui la ripartizione internazionale di poteri impositivi è all’origine di una doppia

imposizione economica e non invece giuridica404.

Nei casi ordinari di transfer pricing, la conclusione più immediata sarebbe dunque nel senso che la doppia imposizione risultante dalla sovrapposizione di accertamenti di più amministrazioni, se non eliminata dalla Convenzione arbitrale, non darebbe luogo ad una violazione delle libertà del Trattato e i suoi effetti non

rileverebbero sul piano comunitario405

.

Un tale risultato è fortemente discutibile e dimostra una volta di più l’urgenza di rivedere gli schemi di ragionamento della Corte di Giustizia alla luce dell’obiettivo comunitario di eliminare le doppie imposizioni. È infatti evidente l’incongruenza di un tale risultato rispetto al corretto funzionamento del mercato e all’auspicata neutralità del fattore fiscale rispetto alle scelte economiche.

Un esito forse diverso si potrebbe ottenere prospettando al giudice comunitario una situazione di discriminazione, creata dalla disciplina interna sui poteri di accertamento e rettifica dell’amministrazione, a svantaggio delle imprese che intrattengono rapporti con società collegate in altri Stati Membri, rispetto a quelle con parti correlate residenti. In linea con l’analisi finora condotta, infatti, ci si potrebbe aspettare dalla Corte il riconoscimento della violazione del divieto di discriminazioni e la censura della disciplina procedurale nazionale discriminatoria.

Un tentativo del genere è alla base di un ricorso pregiudiziale recentemente sottoposto alla Corte di Giustizia nella causa Société de Gestion Industrielle406

. La sentenza, tuttavia, ha disatteso le aspettative: ha salvato la compatibilità comunitaria della normativa belga che recuperava a tassazione i benefici straordinari o senza corrispettivo (concessi, cioè, in condizioni più favorevoli di quelle di mercato) corrisposti da una società residente ad una società collegata non residente, mentre lo stesso non avveniva se il medesimo beneficio veniva accordato ad una società collegata

404 È quanto accade anche nel caso di doppia imposizione “da exit tax” al ricorrere di determinate

caratteristiche del caso concreto: v. supra par. 4.2.

405 Conclude in questo senso Hinnekens, L., European Arbitration Convention: Thoughts on Its

Principles, Procedure and First Experience, in EC Tax Review, 2010, n. 3, p. 109.

residente. Nelle situazioni transnazionali, pertanto, la tassazione dei benefici corrisposti a società estere era duplice, sia in capo alla società erogatrice (grazie alla reintegrazione nel relativo risultato d’esercizio) sia in capo alla società beneficiaria.

Pur riconoscendo l’esistenza di una restrizione alla libertà di stabilimento, la Corte ha valorizzato la finalità antielusiva della normativa, salvandone la proporzionalità grazie al richiamo dell’esigenza di preservare la ripartizione dei poteri impositivi tra Stati407.

Nonostante l’esito deludente di questa pronuncia, è molto interessante la notazione della Corte secondo cui, per scongiurare la natura restrittiva della misura, non è sufficiente l’astratta possibilità di comporre amichevolmente la controversia ai sensi della Convenzione arbitrale: tale procedura, infatti, comporta oneri amministrativi ed economici supplementari e nelle more permane in capo al contribuente l’onere della

doppia imposizione408

. In altre parole, si conferma che la doppia imposizione costituisce una forma paradigmatica di restrizione alle libertà, di cui è necessaria l’eliminazione; e si afferma indirettamente l’inidoneità della Convenzione arbitrale a raggiungere tale obiettivo comunitario.

Al di là delle ipotesi stricto sensu discriminatorie, una soluzione alle fattispecie di doppia imposizione qui considerate sarà possibile solo quando la Corte si risolverà a prendere posizione sulla ripartizione dei poteri impositivi409

: accettando la tassazione alla fonte come criterio comunitario generale, si imporrà infatti la priorità dello Stato della fonte del pagamento oggetto di rettifica (Stato di residenza del soggetto erogatore), con il conseguente obbligo dello Stato di residenza del beneficiario di adeguarsi alle rettifiche operate dall’amministrazione di tale primo Stato.

Peraltro, rispetto alla doppia imposizione dei dividendi, che deriva direttamente dall’applicazione di norme positive e può pertanto essere agevolmente prevista dal contribuente, non si può tacere che nel caso delle norme sul transfer pricing il contribuente si trova per di più di fronte ad un’alea: l’effettivo verificarsi di una doppia imposizione non è infatti pienamente prevedibile, perché – nell’ipotesi tradizionale – discende dal mancato coordinamento nel caso concreto tra l’azione di due diverse amministrazioni. Ne risulta un duplice problema, in termini oggettivi di ostacolo alle attività transfrontaliere, ma anche in termini soggettivi di certezza del diritto.

407

Per una critica a queste argomentazioni della giurisprudenza si rinvia al successivo capitolo, par. 5.4.

408 V. il paragrafo 54 della sentenza, nonché il paragrafo 48 delle conclusioni dell’AG.

409 Sui motivi per cui una scelta del genere sarebbe non solo auspicabile, ma anche praticabile, si vedano

Su questo secondo fronte, peraltro, è possibile riscontrare un’evoluzione dell’impostazione giurisprudenziale e dottrinale corrente, che potrebbe dimostrare potenzialità estremamente interessanti nell’ottica di una soluzione comunitaria al problema della doppia imposizione da transfer pricing. È sempre più diffusa, infatti, la ricostruzione dei regimi di transfer pricing come norme sostanziali, piuttosto che meramente procedurali, in quanto norme con precipua funzione antielusiva, rispetto alle quali l’attività dell’amministrazione sarebbe strumentale all’applicazione della disciplina sostanziale effettiva elusa dal contribuente. Così ragionando, passa in secondo piano l’aspetto della discrezionalità amministrativa nell’esercizio del potere di rettifica e, parallelamente, il prezzo di concorrenza diventa un parametro “legale”410. In questo modo la doppia imposizione da transfer pricing troverebbe una fonte nel diritto positivo e non solo nell’esercizio di un’attività amministrativa. Di conseguenza, diventerebbe più facile estendere le conclusioni raggiunte nel campo dell’imposizione dei dividendi (obblighi degli Stati Membri, primato della tassazione alla fonte, etc.: v. cap. III, in fine).

Outline

Documenti correlati