• Non ci sono risultati.

La disciplina e la sua ratio alla luce dell’esperienza applicativa

2.2 La doppia imposizione come fenomeno patologico nell’ordinamento

2.2.2 La direttiva madre-figlia

2.2.2.1 La disciplina e la sua ratio alla luce dell’esperienza applicativa

nota che nessun accenno veniva fatto esplicitamente all’obiettivo di eliminazione della doppia imposizione sui dividendi, anche se dall’analisi del provvedimento risultava già chiaro che questa finalità vi era tutt’altro che estranea.

Il motivo per l’adozione del provvedimento fu individuato nell’esigenza di favorire i raggruppamenti di società appartenenti a Stati membri diversi, nell’ottica di un buon funzionamento del mercato comune e della creazione di condizioni analoghe a quelle di un mercato interno. Il Consiglio osservava che «queste operazioni non debbono essere intralciate da particolari restrizioni, svantaggi e distorsioni derivanti dalle disposizioni fiscali degli Stati membri; e che occorre quindi instaurare per questi raggruppamenti norme fiscali che siano neutre nei riguardi della concorrenza»111. Si constatava che le disposizioni che disciplinavano le relazioni tra società madri e figlie residenti in Stati diversi variavano sensibilmente da uno Stato membro all’altro, ed erano, in generale, meno favorevoli di quelle applicabili alle relazioni dello stesso tipo all’interno di uno stesso Stato membro. In altri termini, ad essere penalizzata era la cooperazione tra società residenti in Stati diversi. L’obiettivo dichiarato era infatti la costruzione di un regime fiscale neutrale, in nome dunque di un principio – quello di neutralità – che si connette strettamente, ponendosi come antecedente logico e fondamento, del principio di non discriminazione e della ratio stessa del contrasto ai

fenomeni di doppia imposizione112.

È evidente, in altre parole, come questo regime mirasse in concreto fin dall’inizio ad evitare la possibilità, altamente penalizzante, che gli utili realizzati da una società e distribuiti ad un’altra dello stesso gruppo fossero assoggettati a una doppia imposizione di tipo sia giuridico (non ammettendo ritenute alla fonte sui dividendi in

111

V. il primo considerando della Direttiva 90/435/CEE del Consiglio, del 23 luglio 1990.

112 Per l’analisi dei rapporti tra questi principi si rimanda al precedente paragrafo 1.3.1, per quanto

riguarda il piano internazionale, nonché al successivo paragrafo 2.3.1 con riferimento al piano comunitario.

uscita) che economico (richiedendo che un utile già tassato in capo alla società distributrice, fosse esentato o accompagnato da un adeguato credito d’imposta in capo alla società percettrice).

Ed infatti, tale istanza di chiarezza è stata finalmente recepita nel preambolo alla

Direttiva 2003/123/CE113, che modifica l’impianto originario per correggere le carenze

e i problemi pratici più urgenti, evidenziati dall’esperienza acquisita con l’applicazione della Direttiva, in attesa di rimuovere in via definitiva gli ostacoli fiscali alle attività societarie di rilievo internazionale attraverso l’introduzione di una base imponibile consolidata comune per le attività di dimensione comunitaria delle società114. La Commissione constatava nella proposta di Direttiva presentata nell’estate del 2003115 che la Direttiva del 1990 già forniva «una soluzione al problema della duplice imposizione degli utili nelle operazioni transfrontaliere». Riteneva tuttavia «possibile ampliare il campo di applicazione della Direttiva e migliorare le modalità di soppressione della duplice imposizione». Bastano queste poche parole di presentazione per cogliere l’enorme differenza di approccio maturata nel corso di un decennio dall’entrata in vigore del provvedimento. Se nel 1990 l’atteggiamento delle istituzioni comunitarie denotava una sorta di ritrosia nel nominare apertamente l’obiettivo di eliminazione della doppia imposizione, centrale in un settore sensibile per gli Stati membri come quello della fiscalità diretta, nel 2003 questa timidezza sembra un lontano ricordo, tanto che l’obiettivo non solo non viene celato, ma viene posto chiaramente come ratio ispiratrice dell’intera disciplina.

Passando ad analizzare nel dettaglio i contenuti della Direttiva oggi vigente, occorre innanzitutto definire il suo ambito di applicazione oggettivo e soggettivo. Essa si applica alle distribuzioni di utili effettuate tra società collegate residenti in Stati membri diversi, purché rispondano a una serie di requisiti. In primo luogo, deve trattarsi di società, sia la madre che la figlia, soggette all’imposta sulle società nel rispettivo

113

Come recitano i considerando 2 e 10 della nuova Direttiva, «La direttiva 90/435/CEE intende esentare dalle ritenute alla fonte i dividendi (…) pagati dalle società figlie alle proprie società madri ed eliminare la doppia imposizione su tali redditi a livello di società madre» e «Quando gruppi societari sono organizzati in catene di società, e gli utili sono distribuiti attraverso la catena di affiliate alla società madre, la doppia imposizione dovrebbe essere eliminata per mezzo di esenzione o di credito d'imposta».

114

Sul tema si rimanda al successivo paragrafo 2.4.4.2.

115 COM (2003) 462, del 29 luglio 2003; la Direttiva adottata è la 2003/123/CEE, del 22 dicembre 2003,

che modifica la 90/435/CEE. La proposta si collocava al culmine di un percorso che aveva preso le mosse dalla strategia fissata dal Consiglio europeo di Lisbona nel 2000 per far diventare l’Unione Europea «l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo», ed era proseguito con gli studi della Commissione incentrati sull’imposizione delle società nel mercato interno, che mettevano in evidenza come l’esistenza di una duplice imposizione danneggiava in molti casi l’esercizio transfrontaliero di legittime attività economiche.

Stato di residenza; le società coinvolte devono presentare inoltre una delle forme giuridiche enumerate nell’elenco allegato alla Direttiva116; infine è richiesto che il rapporto di controllo intercorrente tra le due società si concretizzi nella detenzione di una partecipazione superiore alla soglia del 10% del capitale della controllata distributrice dei dividendi. Agli Stati membri è concessa la facoltà di condizionare l’applicabilità della Direttiva al fatto che la partecipazione di controllo sia detenuta da almeno due anni ininterrottamente117.

Non sono dunque coperte dalla Direttiva le distribuzioni di dividendi effettuate tra società residenti nello stesso Stato e quelle a favore di enti non soggetti all’imposta sulle società o costituiti in forme giuridiche non comprese nell’allegato. Parimenti restano escluse le situazioni in cui la partecipazione diretta è inferiore al 10%, così come le ipotesi in cui la partecipazione non sia detenuta ininterrottamente da due anni al momento della distribuzione dei dividendi ove il singolo Stato abbia optato per la non applicazione della Direttiva. Tuttavia, secondo l’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia118, in quest’ultimo caso gli Stati sono comunque tenuti a dare applicazione retroattiva alla Direttiva qualora il possesso della partecipazione sia mantenuto fino al compimento del periodo di due anni.

Infine viene fatta espressamente salva l’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali necessarie per evitare frodi e abusi (v. art. 1.2).

La disciplina della Direttiva distingue le due diverse posizioni dello Stato di residenza della società figlia distributrice e dello Stato di residenza della società madre percettrice. Sullo Stato della società figlia incombe l’obbligo di non prelevare una ritenuta alla fonte sui dividendi distribuiti (art. 5). Lo Stato della società madre, invece, può scegliere tra due alternative: astenersi dal sottoporre all’imposizione sulle società i dividendi percepiti, oppure sottoporli a imposizione, concedendo però alla società madre un credito d’imposta equivalente all’imposta sulle società pagata all’estero dalla controllata sugli utili distribuiti, nel limite dell’importo dell’imposta nazionale

corrispondente119. In altri termini, viene legittimato l’utilizzo sia del metodo

dell’esenzione, sia di quello del credito d’imposta.

116 La natura tassativa dell’elenco di forme giuridiche contenuto nell’allegato alla Direttiva è stata

affermata dalla giurisprudenza (Corte di Giustizia, 1 ottobre 2009, causa C-247/08, Gaz de France).

117 V. artt. 2 e 3 della Direttiva. 118

Corte di Giustizia, 17 ottobre 1996, causa C-283, 291, 292/94, Denkavit, Vitic, Voormeer.

119 V. art. 4 della Direttiva, che prevede anche che gli Stati membri hanno la facoltà di stipulare «che

oneri relativi alla partecipazione e minusvalenze … non siano deducibili dall’utile imponibile della società madre. In tal caso, qualora le spese di gestione relative alla partecipazione siano fissate

L’intervento riformatore realizzato nel 2003 si è mosso lungo quattro direttrici. In primo luogo, ampliando il campo di applicazione, avvertito come troppo ristretto: da un lato, è stato aggiornato l’elenco delle persone giuridiche allegato alla Direttiva, in modo da comprendere le forme giuridiche di altre società; dall’altro, la partecipazione necessaria per poter beneficiare dello status di società madre e figlia è stata gradualmente ridotta dal 25% iniziale al 10% (in vigore a decorrere dal 10 gennaio 2009). Quest’ultima modifica rappresenta ben più che una semplice questione matematica, perché dietro di essa si legge una modifica sostanziale, capace di dare un nuovo significato all’assetto complessivo della Direttiva. Se infatti la ratio del requisito della soglia di partecipazione minima della società madre al capitale della figlia risiede nell’obiettivo stesso della Direttiva originaria, che intende favorire i raggruppamenti di società in ambito comunitario, va tuttavia notato che, con una soglia fissata al 10%, pare ormai improprio parlare di una logica di ‘gruppo societario’, tanto da far apparire superato lo scopo dichiarato della Direttiva. Così, «la modifica della Direttiva sembra andare nella direzione di modificare il regime sino a renderlo molto vicino a quelli che intendono neutralizzare gli effetti delle doppie imposizioni da un punto di vista sistematico. A questo punto anche il requisito della soglia del 10%, che non risponde più ad un concetto di gruppo né forse di partecipazione qualificata, non risponderebbe più alle esigenze ed agli obiettivi perseguiti»120. Usciti dalla logica di gruppo, in sostanza, parrebbe più coerente collocare il regime della Direttiva tra le misure finalizzate ad assicurare la neutralità fiscale degli utili intracomunitari combattendo su un piano generale i fenomeni di doppia imposizione.

Le altre tre linee guida della riforma hanno risolto alcune delle carenze riscontrate sul piano applicativo, rendendo più ampio e raffinato il disposto della Direttiva.

Sulla scorta della giurisprudenza che impone un parità di trattamento delle stabili organizzazioni rispetto alle società controllate qualora siano soggette a un regime fiscale analogo121, l’attuale testo della Direttiva risolve il problema delle situazioni triangolari, estendendo la disciplina anche alle situazioni in cui gli utili distribuiti sono connessi a

forfettariamente, l’importo forfettario non può essere superiore al 5% degli utili distribuiti dalla società figlia».

120 Bulgarelli, F., Le recenti modifiche della Direttiva madre-figlia e la riforma tributaria italiana, in

Rassegna Tributaria, 2005, I, p. 138.

121

partecipazioni detenute da una stabile organizzazione122. In precedenza, al contrario, non era fornita alcuna indicazione relativamente a tali fattispecie, in cui tra la società madre e la sua controllata esiste un terzo soggetto; ne conseguivano diversi approcci in dottrina così come nelle soluzioni normative nazionali.

Inoltre, viene finalmente preso in considerazione il problema delle catene di società, in cui spesso accade che la società madre riceva gli utili distribuiti ai vari livelli della catena, già tassati in capo a ciascuna delle successive società figlie. La nuova versione consente di dedurre, oltre all’imposta pagata dalla società figlia più vicina, anche le imposte pagate da ogni altra sub-affiliata in relazione agli utili distribuiti123.

Infine, il nuovo testo prevede che le società madri possano provare di aver sostenuto spese di gestione della partecipazione inferiori alla quota forfettaria del 5%, il che consente loro di ridurre l’importo delle spese non deducibili.

Outline

Documenti correlati