2.2 La doppia imposizione come fenomeno patologico nell’ordinamento
2.2.3 Le altre direttive in tema di doppia imposizione
2.2.3.2 Le direttive in tema di concorrenza fiscale dannosa
Al pari delle distribuzioni di dividendi, anche i pagamenti di interessi e royalties effettuati tra soggetti residenti in Stati diversi sono gravati dal doppio onere fiscale rappresentato, da un lato, dalla ritenuta alla fonte prelevata nello Stato di residenza del soggetto erogatore e, dall’altro, dall’ulteriore tassazione nello Stato di residenza del percettore. Sono anch’essi, in sostanza, proventi colpiti da una doppia imposizione giuridica. Questo problema, tuttavia, si presenta in una forma più attenuata perché, diversamente dai dividendi, interessi e royalties sono deducibili dalla base imponibile del soggetto debitore. Inoltre, nelle convenzioni internazionali la ritenuta è spesso prevista in misura ridotta, se non addirittura eliminata, o comunque è concesso al soggetto percettore un credito d’imposta.
Nonostante questi meccanismi di sgravio, però, la doppia imposizione internazionale non è completamente neutralizzata e ad essa si affiancano gravosi oneri amministrativi: non sempre, ad esempio, gli operatori transnazionali possono contare su una copertura convenzionale, e, quand’anche questa sia presente, vi sono situazioni che ne restano escluse (ad esempio, le situazioni triangolari), oppure l’esenzione/riduzione della ritenuta non è accordata automaticamente, ma viene realizzata solo con un rimborso successivo in seguito ad una specifica richiesta del contribuente; infine, il credito concesso è generalmente ordinario, cioè limitato alla quota di imposta che sarebbe dovuta nello Stato del percettore. Tutti questi inconvenienti producono un effetto distorsivo della neutralità finanziaria internazionale, addossando costi maggiori agli operatori finanziari transfrontalieri, con la conseguenza di un innalzamento dei tassi di interesse nei rapporti di finanziamento internazionali rispetto agli analoghi rapporti tra operatori interni ad uno stesso Stato.
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Si veda il bilancio dopo quindici anni di vigenza della Convenzione, delineato da Hinnekens, L.,
European Arbitration Convention: Thoughts on Its Principles, Procedure and First Experience, in EC
Tax Review, 2010, n. 3, p. 109. Alla lunga lista di casi pendenti dinanzi alle commissioni consultive, si contrappongono solo due isolate decisioni arbitrali definitive (maggio 2003 e aprile 2005). Ciò significa che la Convenzione concretamente fallisce l’obiettivo di eliminare la doppia imposizione derivante dalle rettifiche dei prezzi di trasferimento attraverso la procedura arbitrale. Si potrebbe sostenere, però, che essa svolge una funzione deterrente, poiché è molto frequente che le amministrazioni nazionali raggiungano un accordo nella prima fase di risoluzione amichevole della controversia.
È per questi motivi che nel 2003 il Consiglio, raccogliendo le pressioni da tempo esercitate dalla Commissione e le osservazioni già espresse nel Rapporto Ruding, ha adottato la Direttiva 2003/49/CE, concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi.
E difatti, tale Direttiva esprime nei propri considerando la preoccupazione comunitaria che la doppia imposizione venga eliminata nei rapporti finanziari infragruppo, in quanto contraria alla piena instaurazione di un mercato interno135. Questo obiettivo appare in connessione con l’eliminazione delle disparità di trattamento tra operatori nazionali e transnazionali e dunque ancora una volta si rintraccia con chiarezza quel rapporto di stretta interrelazione, in più occasioni emerso, tra l’obiettivo di un mercato unico neutrale, il principio di non discriminazione e l’eliminazione della doppia imposizione.
La Direttiva elimina dunque la doppia imposizione giuridica con un meccanismo analogo a quello previsto dalla Direttiva madre-figlia: interessi e royalties sono infatti esentati da qualsiasi prelievo fiscale da parte dello Stato di origine, che viene definito come lo Stato di residenza del soggetto erogatore, sia esso una società o una stabile organizzazione. Questa precisa indicazione serve a risolvere preventivamente il problema di una eventuale duplice tassazione alla fonte, che diventerebbe particolarmente gravoso se le ritenute alla fonte operate da entrambi gli Stati fossero superiori alle imposte dovute su quel reddito nello Stato di residenza136.
A differenza dal meccanismo della Direttiva madre-figlia, però, non viene posta alcuna obbligazione di riduzione del proprio carico fiscale interno in capo allo Stato di residenza del percettore, sia esso una società o una stabile organizzazione.
Il rischio di una doppia imposizione economica nemmeno si pone per il fatto che i pagamenti di interessi e royalties sono imputabili al reddito della società erogatrice.
Le società destinatarie della disciplina devono possedere determinati requisiti: innanzitutto la residenza nel territorio dell’Unione, poi la forma legale tra una di quelle
135 V. considerando 1, 2 e 3 della Direttiva, per cui: «In un mercato unico avente le caratteristiche di un
mercato interno le operazioni tra società di Stati membri diversi non dovrebbero essere assoggettate ad un trattamento fiscale meno favorevole di quello applicabile alle medesime operazioni effettuate tra società dello stesso Stato membro. Attualmente tale condizione non è soddisfatta riguardo ai pagamenti di interessi e di canoni. Le legislazioni fiscali nazionali, unitamente, ove esistano, alle convenzioni bilaterali o multilaterali, non possono sempre assicurare l’eliminazione della doppia imposizione e la loro applicazione comporta spesso formalità amministrative onerose e problemi di flussi di liquidità per le imprese interessate. È necessario vigilare affinché i pagamenti di interessi e di canoni siano assoggettati ad imposizione fiscale una sola volta in uno Stato Membro».
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elencate dalla Direttiva, la soggettività passiva all’imposta nazionale sulle società, infine la natura di società consociate (cioè, una partecipazione diretta non inferiore al 25% deve essere detenuta da una società nel capitale dell’altra ovvero da una società terza nel capitale di entrambe le società coinvolte nel finanziamento).
A dispetto della evidente ratio del provvedimento, vi sono autori che ritengono non chiaro il motivo della sua inclusione in un pacchetto di misure di contrasto alla
concorrenza fiscale dannosa137, fenomeno che sarebbe addirittura incoraggiato
dall’abolizione della ritenuta alla fonte nello Stato di origine, aprendo nuove opportunità di pianificazione fiscale. Una possibile spiegazione si potrebbe tuttavia individuare ponendo attenzione alla concezione emergente del problema della doppia imposizione, che mette in risalto la sua capacità di alterare gli equilibri concorrenziali e di dare adito a fenomeni abusivi (v. par. successivo).
Si fa anche notare che la Direttiva privilegia per gli interessi il criterio di tassazione alla residenza, ponendosi in linea di continuità con la pressi internazionale (v. art. 11 e 12 del Modello OCSE), e differenziandosi su questo punto rispetto alle regole di tassazione dei dividendi transfrontalieri. Se di questa opzione sono evidenti il carattere innovativo e i vantaggi di tipo finanziario per il contribuente138, per alcuni commentatori, tuttavia, essa comporta un’arbitraria ripartizione di poteri impositivi, e dunque di gettito fiscale, tra Stato della fonte e Stato del percettore, di cui è apparentemente difficile trovare una giustificazione sul piano giuridico comunitario e
non solamente politico139. Inoltre, se tale meccanismo pare in grado di assicurare meglio
la rimozione della doppia imposizione, esso tuttavia solleva problemi nuovi: obbligare lo Stato della fonte ad esentare gli interessi a prescindere dall’effettivo livello di imposizione applicato nello Stato del percettore può infatti condurre a fenomeni di doppia non imposizione140.
Un’ultima osservazione va dedicata all’interazione di questa disciplina con quella della Direttiva madre-figlia. La Direttiva Interessi e Royalties richiede infatti, per
137 In questo senso, cfr. le riflessioni di Terra, B.J.M., Wattel, P.J., European Tax Law, cit., p. 639. 138 Greggi, M., La Direttiva 2003/49/CE e il regime di tassazione degli interessi e delle royalties, in
Rassegna Tributaria, n. 2/2004, p. 505: «La portata innovativa in questo caso riguarda proprio la scelta del metodo dell’esenzione, che priva di gettito lo Stato di residenza del soggetto erogante e che si sostituisce al meccanismo del credito d’imposta. Per il contribuente, soprattutto per le imprese associate (…), l’adozione del meccanismo d’esenzione mostra indubbi vantaggi di tipo finanziario», in termini di celerità del procedimento e di salvaguardia della liquidità.
139
Terra, B.J.M., Wattel, P.J., op. cit., p. […]. V. infra paragrafo 3.7 del capitolo seguente in merito alla possibilità di individuare un criterio comunitario di ripartizione dei poteri impositivi.
140 Il testo finale della Direttiva non ha recepito le indicazioni della Commissione, che tendevano ad
la sua applicazione in una logica di gruppo, una soglia di partecipazione minima, fissata nel 25% come nella versione originaria della Direttiva madre-figlia. Alla luce della riforma del 2003 (v. supra par. 2.2.2.1), resta perciò da chiedersi se l’attuale differenza tra le soglie di partecipazione richieste dalle diverse Direttive possa costituire un ostacolo al conseguimento del principale obiettivo comunitario, quello di favorire il buon funzionamento del mercato unico dell’Unione. La coesistenza di concetti diversi di “partecipazione qualificata”, connotante un rapporto di collegamento di gruppo societario, potrebbe infatti condurre a situazioni paradossali di gruppi di società beneficiari dell’applicazione di un regime, ma non di un altro, e rende auspicabile perciò la ricerca di una soluzione comune141.
Come si evince dall’analisi della platea di destinatari della Direttiva Interessi e
Royalties, restano esclusi dal suo ambito di applicazione i pagamenti effettuati tra
società con partecipazioni non qualificate e quelli in favore di persone fisiche.
Rispetto a costoro, esiste peraltro un altro provvedimento comunitario, la Direttiva 2003/48/CE del 3 giugno 2003 in materia di tassazione dei redditi da risparmio sotto forma di pagamenti di interessi, che mira a garantire l’effettiva tassazione degli interessi percepiti da persone fisiche nello Stato di residenza del beneficiario effettivo, tramite «l’eliminazione di tutte quelle doppie imposizioni sui pagamenti di interessi che potrebbero derivare dall’applicazione di [una] ritenuta alla fonte» nello Stato di origine del pagamento142. Anche qui, dunque, il legislatore comunitario compie una scelta politica e manifesta la sua preferenza per un sistema di tassazione ancorato unicamente alla residenza. La fonte del reddito, del resto, è irrilevante ai fini di questa disciplina, in cui il focus è spostato piuttosto sul luogo in cui avviene il pagamento.
In linea generale, l’obiettivo descritto viene raggiunto attraverso un meccanismo di scambio automatico di informazioni, concepito come alternativa al prelievo di ritenute alla fonte da parte dello Stato di origine143: si prevede, in particolare, che l’agente pagatore comunichi al proprio Stato di residenza tutte le informazioni relative alle proprie coordinate, alle generalità del percettore e all’esatto ammontare
141 Si rimanda sul punto alle osservazioni di Bulgarelli, F., op. cit., p. 137 e ss. 142
V. considerando 21 della Direttiva 2003/48/CE. Nel preambolo, si giustifica anche l’avocazione della competenza normativa dell’Unione sulla materia in base al principio di sussidiarietà: «l’obiettivo della presente direttiva non può essere sufficientemente realizzato dagli Stati membri, a causa dell’assenza di un coordinamento dei sistemi nazionali di imposizione sui redditi da risparmio, e può dunque essere realizzato meglio a livello comunitario».
143 Si tenga presente, peraltro, l’importante precisazione offerta dal considerando 23 della Direttiva: «La
presente direttiva non dovrebbe impedire agli Stati membri di applicare tipi di ritenuta alla fonte diversi da quello oggetto della presente direttiva sugli interessi che hanno origine nei loro territori».
dell’interesse versato. Tale Stato, a sua volta, è tenuto a trasmettere dette informazioni, con cadenza almeno annuale, allo Stato di residenza del percettore.
Tuttavia, in attuazione di una disciplina transitoria giustificata dalle peculiarità strutturali dei rispettivi ordinamenti, Austria e Lussemburgo hanno ancora la facoltà di prelevare una ritenuta alla fonte invece di applicare lo scambio di informazioni144. La doppia imposizione giuridica che ne consegue viene eliminata ai sensi dell’articolo 14 della Direttiva, il quale impone agli Stati di residenza di accordare un credito d’imposta per le ritenute austriache e lussemburghesi prelevate in conformità alla stessa Direttiva. Detta disciplina prevede anche l’obbligo dello Stato di residenza di rimborsare al beneficiario effettivo l’importo della ritenuta eventualmente eccedente il quantum
dell’imposta dovuta secondo la propria legislazione nazionale145.