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La fiscalità diretta nel Trattato L’inesistenza di una competenza comunitaria

Con la firma o la successiva adesione ai Trattati istitutivi dell’Unione Europea, gli Stati Membri hanno effettuato in favore degli organi comunitari una cessione di sovranità che, pur molto estesa, rimane sempre parziale. Tra le materie che restano affidate alla competenza esclusiva degli ordinamenti nazionali, e che dunque sono escluse persino da una competenza concorrente dell’Unione, spicca soprattutto quella della fiscalità diretta. È chiaro infatti che i sistemi fiscali rappresentano un punto fondamentale delle identità nazionali e l’attribuzione all’Unione di una competenza sulla materia non avrebbe altra conseguenza che la perdita della sovranità, dato che il prelievo fiscale rappresenta la fonte principale di finanziamento del bilancio dello Stato, e pertanto l’elemento chiave per determinare le sue politiche di spesa.

In assenza di una competenza generale per la materia tributaria, dunque, sono principalmente due i limiti all’azione delle istituzioni comunitarie in questo settore: strumenti di diritto derivato possono essere adottati solo ove una previsione esplicita in tal senso sia contenuta nel Trattato, e comunque, anche in questi casi, la Comunità può esercitare i propri poteri esclusivamente nella misura in cui ciò si renda necessario per raggiungere gli obiettivi stabiliti dal Trattato stesso. Una competenza soltanto strumentale, dunque, ed essenzialmente “negativa”, cioè preordinata a prevenire misure che possano ostacolare le quattro libertà fondamentali di circolazione (per le merci, le persone, i servizi, i capitali) all’interno della Comunità.

Più precisamente, se si eccettuano le norme sull’unione doganale, le uniche disposizioni rilevanti di natura specificamente fiscale si trovano nella Parte III, al Titolo VII del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), agli articoli da 110 a 113 (ex articoli 90 – 93)86, e non si riferiscono al campo della fiscalità diretta. Tali norme, inoltre, si caratterizzano per porre i limiti negativi di intervento della Comunità, ossia le regole di buona condotta da rispettare in materia di trattamento fiscale della circolazione delle merci tra Stati membri87.

Solo l’apporto dato dall’art. 113 si caratterizza in chiave positiva: la disposizione infatti prevede l’armonizzazione delle legislazioni sulla fiscalità indiretta degli Stati membri, nella misura e nei limiti in cui tale armonizzazione sia necessaria per un corretto funzionamento del mercato interno88.

Un’equivalente esplicita indicazione del Trattato a proposito della fiscalità diretta non esiste. Ci sono però altre disposizioni che consentono alle istituzioni comunitarie di incidere sulle normative degli Stati. Si tratta degli articoli da 114 a 116, che conferiscono al Consiglio il potere di adottare direttive per ravvicinare le legislazioni nazionali. L’art. 115 (ex art. 94), in particolare, permette al Consiglio di intervenire qualora reputi che le differenze tra le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative degli Stati membri abbiano una diretta incidenza sul funzionamento del mercato comune. Come l’art. 113, anche questa disposizione – che è alla base di tutte le proposte di armonizzazione in materia di fiscalità diretta – richiede che le delibere siano prese all’unanimità. A differenza però dell’articolo citato, la forma del provvedimento è vincolata a quella della direttiva, che per natura non produce effetti automatici sui cittadini comunitari, ma postula il recepimento da parte degli Stati, e quindi è sottoposta a un ulteriore filtro a livello nazionale. L’azione comunitaria nell’ambito dell’art. 115 ha incontrato qualche difficoltà ad affermarsi, anche perché le

86 L’art. 110, recependo principi già presenti nel diritto internazionale pattizio (v. Trattato GATT),

statuisce una proibizione d’ordine generale ad operare discriminazioni fiscali nei confronti dei prodotti importati dagli altri Stati membri; l’art. 111 aggiunge l’interdizione si sussidiare i prodotti destinati all’esportazione con la concessione di rimborsi fiscali superiori alle imposte nazionali effettivamente pagate. la possibilità di applicare imposte speciali o agevolazioni per periodi limitati al fine di compensare eventuali divari fiscali tra Stati membri.

87 Solo l’art. 112, prevedendo la possibilità di applicare imposte speciali o agevolazioni per periodi

limitati al fine di compensare eventuali divari fiscali tra Stati membri, rappresenta un importante punto di contatto tra fiscalità indiretta e diretta nel Trattato. La disposizione infatti tiene conto del diverso peso specifico che queste due componenti fiscali possono assumere nei singoli Stati membri, poiché anche le imposte dirette versate dalle imprese hanno ovviamente un’incidenza sul prezzo dei prodotti; quando i livelli di imposizione sono particolarmente differenziati tra gli Stati membri, si possono creare distorsioni alla concorrenza. Ma nonostante le forti differenze tra strutture e livelli impositivi presenti sullo scenario europeo, l’art. 112, creato per rimediare a questa situazione, non ha avuto finora pratica attuazione.

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distorsioni causate dalla coesistenza di regimi fiscali diversi negli Stati membri non costituiscono di per sé una violazione dei principi comunitari. Per proporre un progetto di direttiva, la Commissione deve infatti dimostrare che una determinata distorsione comporta un ostacolo reale al mercato: il ravvicinamento delle legislazioni nazionali è consentito, infatti, se e nella misura in cui esse abbiano un’incidenza diretta sull’instaurazione e sul funzionamento del mercato comune.

È interessante prendere in considerazione anche l’art. 352 (ex art. 308) del Trattato, secondo il quale il Consiglio, sempre votando all’unanimità, “se un’azione […] appare necessaria […] per realizzare uno degli obiettivi di cui ai trattati senza che questi ultimi abbiano previsto i poteri di azione richiesti a tal fine, il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, adotta le disposizioni appropriate”. Questa previsione di carattere generale è utile nei casi in cui manchi nel Trattato l’attribuzione di specifici poteri d’azione per le istituzioni comunitarie. Più che per avviare una vera e propria armonizzazione fiscale, è stato discusso il possibile utilizzo di questa disposizione quale base legale di un’azione comunitaria in campo fiscale, strumentale all’adempimento di altri compiti della Comunità89.

La combinazione tra la regola dell’unanimità per le decisioni del Consiglio e la fiera opposizione degli Stati al processo di integrazione fiscale, hanno portato a una paralisi quasi completa dell’integrazione positiva nel settore delle imposte dirette90. Al contrario, l’integrazione negativa ha continuato a svilupparsi e a stabilire condizioni e limiti alla tassazione nelle operazioni transfrontaliere, evidenziando ancora di più la necessità di un intervento di integrazione positiva.

Nonostante questi evidenti limiti dello scenario costituzionale europeo, la doppia imposizione – si dimostrerà – è da sempre nel mirino dell’attenzione comunitaria e riguardo alla sua eliminazione si afferma costantemente che essa costituisce uno degli obiettivi del sistema. Nel seguito di questo capitolo si cercherà di spiegare il significato dell’affermazione attingendo ai contenuti del diritto comunitario positivo.

89 Ad esempio la tutela dell’ambiente o la lotta alla disoccupazione.

90 Così Pistone, P., Expected and Unexpected Developments of European Integration in the Field of

2.2 La doppia imposizione come fenomeno patologico nell’ordinamento

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