Membri, questi ultimi devono tuttavia esercitarla nel rispetto del diritto comunitario»281. Molto più che una semplice clausola di stile, questa affermazione ormai tradizionale nella giurisprudenza comunitaria, ci ricorda la rivoluzione avvenuta negli ultimi decenni nel rapporto tra diritto comunitario e diritto internazionale tributario. Gli Stati Membri dell’Unione Europea non hanno più una discrezionalità incondizionata nella stipulazione di Convenzioni internazionali tributarie su redditi e capitali. È inoltre acquisita la consapevolezza che diritto comunitario e convenzionale in tema di imposizione diretta non operano in settori completamente separati282; occorre, anzi, stabilire le regole per la soluzione dei conflitti che possono verificarsi nella sovrapposizione di norme comunitarie e convenzionali su una stessa fattispecie.
Si tratta dunque, innanzitutto, di individuare la gerarchia tra fonti comunitarie e fonti convenzionali, e conseguentemente di verificare la sussistenza e le modalità della competenza della Corte di Giustizia a sindacare sul diritto convenzionale283.
È stato osservato come «la giurisprudenza della Corte di Giustizia, soprattutto nella materia delle imposte dirette, [è] tesa a evidenziare i limiti e i vincoli nel rispetto dei quali può esplicarsi l’esercizio delle potestà tributaria degli Stati»284. Nella prospettiva comunitaria, dunque, le Convenzioni rappresentano essenzialmente uno strumento funzionale a realizzare quella equilibrata ripartizione dei poteri impositivi che, si vedrà, viene riconosciuta anche come giustificazione a misure nazionali discriminatorie. Quando il rapporto tra i due ordini di norme non si atteggia in termini conflittuali, le clausole convenzionali sono ausili di cui la Corte può addirittura servirsi
281 Corte di Giustizia del 14 febbraio 1995, causa C-279/93, Schumacker.
282 V. Malherbe, J., Berlin, D., Conventions fiscales bilatérales et droit communautaire, in Revue
trimestrielle de droit européen, 1995, p. 245, che descrivevano la relazione tradizionale tra Convenzioni internazionali e diritto comunitario come improntata a «une souveraine indifférence, colourée
d’incompréhension réciproque».
283 Si segnala un unico caso in cui è il testo stesso di una Convenzione a risolvere la questione, indicando
la Corte di Giustizia come “arbitro convenzionale” deputato a risolvere le controversie relative alla sua interpretazione e applicazione. Si tratta dell’art. 25(2) della Convenzione bilaterale tra Austria e Germania del 24 agosto 2000, peraltro inapplicato. Tale modello non è stato ripetuto in altre Convenzioni.
284
per rendere più efficace l’applicazione del diritto comunitario. Nella sentenza Wielockx, ad esempio, la coerenza negoziata sul piano internazionale vale ad escludere la presunta giustificazione basata sulla coerenza interna di una misura nazionale discriminatoria285.
Nel caso di conflitto, tuttavia, la principale preoccupazione della Corte è stata quella di ribadire il primato del diritto comunitario, chiarendo che le norme comunitarie direttamente applicabili (come le liberà fondamentali) non possono essere superate da clausole convenzionali incompatibili, che carichino di un maggiore onere fiscale i contribuenti che operano a livello transnazionale. In queste situazioni, piuttosto, il diritto comunitario agisce quale fonte integrativa che colma le lacune della disciplina convenzionale, in una sorta di interpretazione comunitariamente orientata del testo convenzionale286.
La sentenza Gilly è il primo caso in cui la Corte è stata chiamata a valutare la compatibilità comunitaria di due aspetti essenziali delle Convenzioni, le regole di ripartizione della giurisdizione e i differenti metodi di eliminazione della doppia imposizione. Come ha precisato nella successiva sentenza Schumacker, la Corte si dimostra rispettosa della ripartizione internazionale di poteri impositivi fino a quando l’esercizio di tali poteri non incide negativamente su libertà direttamente applicabili287. Viene così introdotta una distinzione tra ripartizione dei poteri impositivi e loro esercizio, riguardo al quale «gli Stati Membri non possono esonerarsi dal rispettare le norme comunitarie» (sentenza Saint Gobain, par. 58).
Le sentenze ricordate dimostrano molto chiaramente l’atteggiamento della Corte: da un lato, essa accetta le previsioni convenzionali nella misura in cui ripartiscono la giurisdizione, creando semmai disparità di trattamento dovute alla coesistenza di due sistemi nazionali e non a una discriminazione vera e propria (allocazione dei poteri impositivi)288, dall’altro, invece, censura le situazioni di
285 Corte di Giustizia, 11 agosto 1995, causa C-80/94, Wielockx, par. 24. 286
V. la sentenza Avoir Fiscal, che garantisce alle stabili organizzazioni di società estere l’accesso agli stessi vantaggi fiscali (credito d’imposta) previsti dal diritto interno per le società residenti. Gli operatori economici possono invocare i diritti di libertà dinanzi al giudice, per ottenere l’uguaglianza delle condizioni concorrenziali.
287 La sentenza Schumacker afferma che il diritto comunitario, in deroga allo schema convenzionale,
esige che lo Stato di svolgimento della prestazione lavorativa eccezionalmente consenta le deduzioni legate alla situazione personale del contribuente non residente il quale produca la quasi totalità del proprio reddito in quello Stato. Nello stesso senso, v. Corte di Giustizia, 12 dicembre 2002, causa C-385/00, De
Groot, la quale ha ritenuto che differenti metodi di eliminazione della doppia imposizione, previsti
nell’assetto convenzionale, sono accettabili nella misura in cui non sono discriminatori ed eliminano in modo efficace, non solo mitigano, la doppia imposizione.
288 È quanto avvenuto, ad esempio, nella sentenza Corte di Giustizia, 16 luglio 2009, causa C-128/08,
svantaggio sostanziale per un contribuente attivo a livello transfrontaliero, il quale si veda negati sul piano convenzionale vantaggi di cui potrebbe usufruire operando all’interno del proprio Stato di residenza (esercizio dei poteri). In altre parole, il diritto comunitario non interferisce con le Convenzioni nella parte in cui regolano le relazioni tra Stati Membri allocando i poteri impositivi e determinando i criteri di collegamento territoriale (c.d. inter-jurisdictional equity). Può invece sindacare il contenuto delle disposizioni convenzionali che attribuiscono vantaggi e svantaggi ai contribuenti sul piano sostanziale, valutando che in concreto non sia distorta la c.d. taxpayer equity289.
Questa impostazione è pienamente coerente con il principio del primato del diritto comunitario. È dunque molto grave e non convincente il diverso approccio recentemente inaugurato nella sentenza D290, in cui la Corte ha ritenuto di non poter sindacare le previsioni sostanziali contenute in una Convenzione in quanto esse fanno parte integrante e inscindibile, insieme alle regole formali di riparto, del bilanciamento complessivo negoziato dagli Stati.
È fortemente auspicabile che la Corte operi un ripensamento e chiarisca una volta per tutte il rapporto tra il diritto comunitario direttamente applicabile e le disposizioni sostanziali delle Convenzioni, nella consapevolezza che escludere queste ultime dall’ambito di applicazione del primato comunitario mette a rischio la realizzazione del mercato interno europeo.
Il primo (e più corretto) approccio della Corte al problema della gerarchia tra fonti comunitarie e internazionali è funzionale a garantire una coerente applicazione dell’overall approach (v. supra par. 3.3.2.1). Si può a questo punto precisare che l’ambito della comparazione nel metodo overall assume come parte del contesto giuridico preesistente le norme convenzionali di riparto che hanno solo natura formale;
riparto convenzionale di giurisdizione. Si veda il commento di Tarigo, P., Principio generale comunitario
di eliminazione della doppia imposizione, libertà fondamentali e obblighi convenzionali: il caso Damseaux, in Rass. Trib., 2010, 5, p. 1477.
289 Sul punto si rimanda alle riflessioni di Van Thiel, S., Justifications in Community Law for Income Tax
Restrictions on Free Movement: Acte Clair Rules That Can Be Readily Applied by National Courts – Part 2, in European Taxation, 2008, 7, p. 339 ss..
290
Corte di Giustizia, 5 luglio 2005, causa C-376/03, D, con il commento di De’ Capitani di Vimercate, P., La Corte di Giustizia e la clausola della nazione più favorita nel D. case. Ovvero dietrofront: il diritto
internazionale prevale su quello comunitario, in Dir. Prat. Trib. Int., 2005, p. 1081. Sulla stessa linea si
pone la sentenza ACT Group Litigation, nel punto in cui afferma che le clausole convenzionali di
limitation on benefit sono compatibili con il diritto comunitario, consentendo così l’esclusione di società
residenti dai benefici convenzionali sulla base soltanto della residenza (di chi controlla la società).Qui peraltro è stridente il contrasto con la sentenza Saint Gobain, che invece ammetteva ai benefici convenzionali le stabili organizzazioni.
mentre, dal punto di vista sostanziale la Corte prende ad oggetto del proprio sindacato anche le nome convenzionali sostanziali.
In ogni caso, è necessario sottolineare che non tutte le Convenzioni si pongono sullo stesso piano rispetto al diritto comunitario. La prevalenza del diritto comunitario (nei limiti sopra accennati) è sicuramente affermata nel caso di Convenzioni stipulate fra Stati Membri. Questi non possono cioè stipulare né dare applicazione a Convenzioni che contengano previsioni contrastanti con il diritto comunitario. Quest’ultimo, sia primario o derivato, prevale in caso di conflitto sulle pattuizioni convenzionali, precedenti o successive, di una convenzione conclusa tra Stati Membri. Nel diverso caso di una Convenzione conclusa da uno Stato Membro con uno Stato terzo, le ipotesi di conflitto di queste fonti con il diritto comunitario presentano aspetti di maggiore complessità, in quanto gli Stati terzi non devono rispettare vincoli comunitari. Si pone infatti in queste ipotesi il problema della reciprocità.
Diversamente, l’approccio per country è in linea con la tendenza più recente riscontrata nella giurisprudenza, che esclude dal sindacato comunitario ogni disposizione pattuita a livello convenzionale.
La Commissione Europea da tempo è attiva per risolvere i numerosi problemi che derivano dall’interazione tra diritto comunitario e norme pattizie e che faticano a trovare un inquadramento sistematico nelle sole indicazioni case-by-case della giurisprudenza. A questo fine, sono state prospettate più soluzioni, alcune molto ambiziose e difficilmente realizzabili: tra esse, l’emanazione di una Direttiva volta ad armonizzare i rapporti tra Stati Membri sostituendo la rete di Convenzioni “intracomunitarie”; la stipula di una Convenzione multilaterale o la redazione di un Modello di Convenzione europea; l’inserimento di una most favoured nation clause a vantaggi di tutti i cittadini dell’Unione in tutte le Convenzioni stipulate da Stati Membri291.