3.5 La teorica delle cause di giustificazione
3.5.2 Le cause di giustificazione generalmente riconosciute
3.5.2.4 L’efficacia dei controlli fiscali e l’assenza di scambio di informazioni.
giustificazione legata alla presenza o meno di forme di cooperazione ed assistenza tra le amministrazioni degli Stati Membri.
Si è già detto di come la giurisprudenza Cassis de Dijon abbia menzionato l’efficacia dei controlli fiscali tra i motivi imperativi di interesse generale che possono salvare la compatibilità comunitaria di una misura restrittiva322. E come, tuttavia, la giurisprudenza fiscale abbia sempre escluso dal novero di cause di giustificazione le difficoltà amministrative allegate dagli Stati a sostegno di discipline nazionali discriminatorie nei confronti delle fattispecie transnazionali.
Come è possibile riconciliare queste due affermazioni apparentemente contraddittorie? Sotto un primo aspetto, la dottrina ritiene che l’efficacia dei controlli fiscali operi in via “residuale”, e dunque possa essere invocata, in ambito comunitario, solo quando l’amministrazione di uno Stato Membro si trovi nella situazione eccezionale di assoluta mancanza di indicazioni sui redditi o i beni, tale per cui non possa attivare le procedure per ottenere informazioni dal contribuente o dall’amministrazione di un altro Stato323.
Sotto un secondo aspetto, l’efficacia dei controlli fiscali assume una propria rilevanza nel campo delle relazioni con gli Stati terzi. Con riferimento a queste
322 Corte di Giustizia, 20 febbraio 1979, causa C-120/78, Cassis de Dijon, par. 8.
323 Cordewener, A., Kofler, G., Van Thiel, S., The Clash between European Freedoms and National
relazioni, peraltro, l’impatto del diritto comunitario si limita alle situazioni che coinvolgono la libera circolazione dei capitali, l’unica fra le libertà comunitarie ad estendersi anche ai rapporti extracomunitari, seppure con alcune possibili limitazioni (v.
supra, par. 2.3.2.1).
La Corte in proposito ha rilevato che, per determinare fino a che punto gli Stati Membri possono applicare misure restrittive ai movimenti di capitali verso Stati terzi, è necessario prendere in considerazione il diverso contesto giuridico di riferimento in cui questi movimenti di capitali avvengono, che potrebbe giustificare da parte di uno Stato Membro l’applicazione di una restrizione, non giustificabile invece rispetto a movimenti di capitali interni all’Unione324. In particolare, ha riconosciuto che la giurisprudenza elaborata con riferimento alle situazioni intracomunitarie non può essere integralmente trasposta ai movimenti di capitali verso e da Stati terzi, a causa dell’assenza di un contesto giuridico comune (la ricordata Direttiva 2011/16/UE) che stabilisca un quadro di cooperazione tra le autorità nazionali competenti325.
Di conseguenza, la soluzione prescelta dalla Corte attua un bilanciamento tra libera circolazione e mancanza di cooperazione internazionale alla luce del principio di proporzionalità. «Quando la normativa di uno Stato Membro fa dipendere il beneficio della concessione di un vantaggio fiscale dall’adempimento di condizioni la cui osservanza può essere verificata soltanto ottenendo informazioni dalle autorità competenti di un paese terzo, è, in linea di principio, legittimo per tale Stato Membro rifiutare la concessione di detto vantaggio se, in particolare per l’assenza di un obbligo convenzionale da parte di tale Paese terzo di fornire informazioni, risulti impossibile ottenere le informazioni stesse dal detto Paese»326.
Il principale effetto dell’applicazione di questa causa di giustificazione ai Paesi terzi riguarda il metodo: la Corte si trova costretta a rivedere i termini del procedimento
324 Corte di Giustizia, 12 dicembre 2006, causa C-446/04, FII Group Litigation, par. 171. 325
Corte di Giustizia, 18 dicembre 2007, causa C-101/05, A, par. 60-61. Il regime svedese non estendeva l’esenzione interna ai dividendi provenienti da Stati terzi, adducendo a motivazione esigenze di efficacia dei controlli fiscali. I ricorrenti e la Commissione Europea contestavano la proporzionalità di questa misura che precludeva a priori la possibilità del contribuente di fornire informazioni e documenti.
326 Sentenza A, cit., par. 63. Nello stesso senso, si vedano anche Corte di Giustizia, 11 giugno 2009, causa
C-521/07, Commissione c. Paesi Bassi, par. 47, e Corte di Giustizia, 10 febbraio 2011, cause riunite C- 436/08 e C-437/08, Haribo, par. 69, che afferma espressamente: «una normativa di uno Stato membro […] la quale subordini l’esenzione di dividendi pagati da società stabilite in uno Stato terzo aderente all’Accordo SEE all’esistenza di un accordo di reciproca assistenza con lo Stato terzo interessato, può essere giustificata da ragioni imperative di interesse generale inerenti all’efficacia dei controlli fiscali e alla lotta contro le frodi tributarie». Tuttavia, ancora una volta in applicazione del principio di proporzionalità, viene censurata la disciplina nazionale che non si limita a richiedere l’esistenza di un accordo di collaborazione amministrativa ma anche di un accordo in materia di riscossioni (par. 75).
di comparazione, spostandone il baricentro. Essa è qui chiamata a verificare la comparabilità tra una situazione interna ed una che presenti elementi di collegamento con uno Stato terzo, il che comporta la necessità di tener conto di un contesto giuridico assai differente.
3.6 Una rinnovata attenzione per i metodi di eliminazione della doppia imposizione. La convergenza verso l’esenzione: un’opzione comunitaria per la neutralità all’importazione?
La progressiva limitazione del concetto di “restrizione vietata” e la tendenza a riconoscere valide giustificazioni per le discipline nazionali discriminatorie ha prodotto un’apparente battuta d’arresto nel lento percorso teso a realizzare con gli strumenti della giurisprudenza l’obiettivo comunitario di eliminazione della doppia imposizione.
In quest’ottica, l’armonizzazione negativa parrebbe aver già compiuto tutto quanto era in suo potere in vista di questo obiettivo, dal momento in cui ha favorito la spontanea convergenza di tutti gli ordinamenti nazionali europei verso l’adozione generalizzata del sistema dell’esenzione dei dividendi. Le realtà delle cose è però differente. Si dimostrerà nel seguito (v. infra par. 3.7) quale sia la reale portata di questa convergenza e come alla base di questo processo si possa leggere una scelta politica, forse non troppo consapevole, della Corte in tema di ripartizione dei poteri impositivi.
Per il momento, comunque, ci si sofferma ad analizzare l’atteggiamento della giurisprudenza in merito alla scelta tra i diversi metodi di eliminazione della doppia imposizione, in altre parole si tenta di analizzare la compatibilità comunitaria del metodo dell’esenzione e del credito d’imposta.
Nel diritto internazionale, in cui non esiste un divieto di doppia imposizione, è naturale che gli Stati, qualora scelgano di contrastare il fenomeno, godano di un’assoluta libertà nella scelta di quale metodo adottare (v. art. 23 Modello OCSE). Essi possono legittimamente non estendere gli stessi benefici previsti per le situazioni domestiche a quelle transfrontaliere, ad esempio escludendo il credito d’imposta per i soli dividendi in entrata o in uscita.
Lo scenario comunitario è totalmente differente. Qui si parte dal presupposto che l’eliminazione della doppia imposizione è un obiettivo dell’Unione. È evidente allora che la soluzione più coerente sarebbe, in primo luogo, quella di attribuire la giurisdizione esclusiva ad un singolo Stato, per evitare in radice la sovrapposizione di
ordinamenti che origina la doppia imposizione (giuridica). Si comprende così perché nell’impianto delle Direttiva madre-figlia e interessi-royalties il legislatore comunitario abbia optato per la tassazione dei redditi nel solo Stato della residenza, vietando il prelievo di ritenute alla fonte.
Per quanto riguarda l’eliminazione della doppia imposizione economica, tuttavia, come la Direttiva madre-figlia conferma, non è sufficiente assegnare la giurisdizione in esclusiva sul dividendo, ma è anche necessario neutralizzare l’imposta sulle società sottostante, applicando alternativamente il metodo dell’esenzione o del credito.
L’adozione del metodo dell’esenzione integrale garantisce lo stesso risultato di assegnazione esclusiva della giurisdizione ottenuto con i provvedimenti comunitari citati, con la differenza che, in questo caso, l’unica imposizione ammessa è quella operata dallo Stato della fonte. Diversamente, il metodo del credito ordinario si basa sul presupposto di una giurisdizione condivisa e può essere efficace o inefficace al fine di eliminare la doppia imposizione economica a seconda del grado di imposizione (minore o maggiore) scontato dall’utile della società distributrice nello Stato della fonte327.
La prima pietra miliare posta dalla giurisprudenza comunitaria sul tema è quella che ha tradotto il divieto di discriminazione nella necessità di estendere i metodi interni di eliminazione della doppia imposizione economica anche alle situazioni transfrontaliere328.
Primario effetto di questa impostazione è stata una naturale convergenza degli ordinamenti nazionali verso sistemi di esenzione dei dividendi. I legislatori nazionali hanno raccolto le sollecitazioni comunitarie, trovandosi di fronte ad una scelta quasi
obbligata329. Le sentenze richiamate sono state lette come una dichiarazione di
incompatibilità del sistema dell’imputazione coi principi dell’Unione. Estendere il credito fino a coprire imposte prelevate all’estero per evitare discriminazioni vietate dal diritto comunitario avrebbe comportato conseguenze inaccettabili per gli Stati, dal punto di vista amministrativo, finanziario e giuridico. Per quanto astrattamente più idoneo a neutralizzare la doppia imposizione sui dividendi, nel caso di distribuzioni transfrontaliere il metodo dell’imputazione risulta in concreto meno efficace rispetto a
327 Van Thiel, S., Why the European Court of Justice should Interpret Directly Applicable Community
Law, cit., p. 127.
328
V. le sentenze Verkooijen, Manninen, cit., nonché Corte di Giustizia, 15 luglio 2004, causa C-315/02,
Lenz.
329 Tra gli altri, anche il legislatore italiano ha introdotto nel 2003 un sistema comune di tassazione per i
quello dell’esenzione, a causa della maggiore complessità amministrativa connessa alla sua applicazione (v. supra cap. I, par. 1.3.3). Sono inoltre estremamente pesanti le conseguenze finanziarie e giuridiche: la concessione di un credito per imposte estere si tradurrebbe per gli Stati in un onere economico eccessivo, per di più in contrasto stridente con il principio di territorialità dell’imposizione.
Una lettura intransigente di alcune affermazioni della giurisprudenza, che conduca a considerare illegittima anche ogni soluzione di credito d’imposta che tenga conto solo in modo forfettario e semplificato delle imposte pagate dalla società erogante, potrebbe addirittura decretare, secondo alcuni, la fine del sistema del credito d’imposta a livello europeo e l’imposizione surrettizia di un coordinamento tra tassazione dei soci e delle società attraverso l’esenzione330.
Raggiunto questo primo risultato di armonizzazione negativa, la Corte si è successivamente trovata a valutare la compatibilità comunitaria di quegli ordinamenti che hanno optato per un sistema misto, cioè hanno adottato il metodo dell’esenzione per le situazioni interne, mantenendo un sistema di credito d’imposta per le situazioni cross
border.
Con riferimento a questo seconda ipotesi, nella giurisprudenza della Corte di Giustizia è ricorrente l’affermazione dell’equivalenza dei due metodi, pur alla luce delle loro notevoli differenze strutturali331. Il diritto comunitario esige da uno Stato soltanto che, nel momento in cui abbia deciso di alleviare l’imposizione a catena sulle distribuzioni di dividendi tra soggetti nazionali, estenda lo stesso trattamento ai dividendi di origine straniera, senza che rilevi il metodo a questo scopo adottato: l’esenzione per i dividendi interni può perciò coesistere con l’imputazione per quelli in entrata. Lo strumento tecnico scelto nell’ambito della potestà impositiva spettante a ciascuno Stato risulta assolutamente indifferente. «Ciò che rileva è l’effetto concreto che risulta dall’applicazione di ciascun metodo e quindi l’elemento sostanziale della
330
Così la citata sentenza Manninen, e, recentemente, Corte di Giustizia, 30 giugno 2011, C-262/09,
Meilicke, par. 34. Si supererebbe, in altre parole, Corte di Giustizia, 12 maggio 1998, causa C-336/96, Gilly, che riconosceva espressamente la compatibilità comunitaria del metodo del credito. Sul tema, v.
Lupi, R., Corte di Giustizia e dividendi esteri: un’imposizione surrettizia del sistema dell’esenzione?, in Dialoghi di diritto tributario, 2004, p. 1186. Per l’autore, nel momento in cui tutti gli Stati Membri sono spinti ad adottare il modello dell’esenzione, si rende necessario intervenire a livello comunitario per armonizzare le aliquote dell’imposta societaria: una corsa al ribasso dell’imposizione societaria consentirebbe, infatti, di attrarre investimenti esteri, costringendo lo Stato in cui risiede il percettore dei relativi dividendi ad accordare comunque l’esenzione, ma frustrando la sua libertà di tassare secondo criteri progressivi, cioè impedendogli di controbilanciare con un maggior prelievo sul socio una carenza di imposizione sulla società nello Stato della fonte.
331 Sentenze FII Group Litigation, cit., par. 60; Haribo, cit., par. 86. Sul punto v. ancora Corte di
possibilità di creare di fatto ostacoli all’ottenimento del fine perseguito, ovvero la neutralizzazione effettiva delle distribuzioni di dividendi, nei soli casi in cui risultino interessati soggetti non residenti»332.
La regola dell’equivalenza è stabilita avendo riguardo esclusivamente all’efficacia finale dei due metodi rispetto all’obiettivo di eliminare la doppia imposizione in modo non discriminatorio. L’affermazione ha un sapore politico, in quanto è evidente che i due sistemi non si equivalgono nella sostanza.
Se è vero che la Corte consente la coesistenza dell’esenzione per i dividendi di fonte interna e dell’imputazione per i dividendi di fonte estera a patto che i risultati del sistema non siano discriminatori, è pur vero che il sistema di imputazione deve soddisfare numerosi requisiti per garantire risultati uguali all’esenzione. La Corte richiede innanzitutto che gli oneri amministrativi imposti al contribuente con il metodo del credito rispettino il principio di proporzionalità333. Inoltre, condiziona l’equivalenza dell’imputazione al fatto che l’aliquota sui dividendi esteri non sia superiore a quella applicata ai dividendi nazionali, e il credito sia almeno pari all’importo versato nello Stato della controllata, fino a concorrenza dell’imposta applicata nello Stato della beneficiaria. Ancora, esenzione per dividendi interni e imputazione per dividendi in entrata si equivalgono solo se viene concessa al contribuente la possibilità di riportare il credito d’imposta ad esercizi successivi a quello che dovesse concludersi con una perdita334. Infine, il credito d’imposta risulta in concreto inadeguato a garantire l’obiettivo di un’effettiva eliminazione della doppia imposizione laddove combinato con il metodo dell’esenzione, perché la giurisprudenza valuta l’identità sostanziale degli effetti applicativi: riconosce cioè l’equivalenza purché non si verifichi nemmeno una “restrizione in senso economico”335.
332
Così Bulgarelli, F., Imposizione nazionale di utili intracomunitari e compatibilità dei regimi
convenzionali e comunitari, in Rassegna Tributaria, 2007, p. 644.
333 La Corte ha ripetutamente affermato che i maggiori oneri amministrativi che l’imputazione comporta
non valgono di per sé a integrare una differenza di trattamento contraria alle libertà fondamentali (v. le citate sentenze FII Group Litigation e Haribo, par. 96 ss.). Peraltro, nella recente sentenza Meilicke (C- 262/09), è stata qualificata come restrizione dissimulata alla libera circolazione dei capitali la disciplina che subordinava il credito d’imposta alla produzione di un attestato conforme al sistema interno dello Stato membro interessato, «senza alcuna possibilità per l’azionista di dimostrare tramite altri elementi e informazioni rilevanti l’imposta effettivamente versata dalla società distributrice dei dividendi» (par. 40).
334 Sentenza Haribo, cit., par. 157 ss., in cui la Corte arriva a garantire una tutela comunitaria contro la
doppia imposizione “differita”, scalzando per la prima volta l’elemento temporale dalla definizione di doppia imposizione (v. infra par. 3.71.2).
335
V. Corte di Giustizia, 15 settembre 2011, causa C-310/09, Accor. La Corte ha ritenuto contraria al diritto di stabilimento e di libera circolazione dei capitali la normativa francese in base a cui ricevevano un credito d’imposta le sole società francesi che percepivano dividendi da società controllate residenti. Detto credito era imputabile all’acconto dell’imposta sulle società che tutte le società francesi erano
Del resto è inevitabile che gli effetti dei due metodi siano diversi se solo si considera a livello strutturale che l’esenzione prescinde totalmente dal livello di tassazione estera e sposta la tassazione dal livello del socio a quello dell’impresa.
I due metodi infatti si ispirano a diverse esigenze politiche: il credito d’imposta riduce la convenienza di produrre reddito all’estero, mentre l’esenzione garantisce l’uguaglianza delle condizioni di accesso a tutti i mercati. Il graduale passaggio dal primo al secondo metodo significa quindi privilegiare nel mercato europeo il valore della neutralità all’importazione dei capitali (capital import neutrality) rispetto alla neutralità all’esportazione (capital export neutrality)336. Mentre infatti il metodo dell’esenzione consente il trattamento nazionale dello Stato della fonte, l’imputazione mira a salvaguardare condizioni di uguaglianza nello Stato della residenza rispetto agli altri contribuenti che producono solo reddito interno. Il che, nel contesto europeo, può tradursi in un ostacolo alla libera circolazione dei capitali, poiché rende impossibile garantire una parità di trattamento indipendentemente dallo Stato Membro in cui un cittadino comunitario sia residente.
Queste implicazioni politiche giustificano il favore della Corte per il metodo dell’esenzione, più in linea con le esigenze comunitarie, ma al contempo spiegano la sua titubanza ad censurare definitivamente il metodo dell’imputazione arrogandosi una scelta di carattere politico337. In proposito, non si può dimenticare che la Corte è vincolata al dato positivo della Direttiva madre-figlia, il quale si pone in modo neutrale rispetto all’opzione tra credito ed esenzione338; d’altra parte, essa è anche condizionata dalla tradizionale preferenza del sistema internazionale per il valore della neutralità all’esportazione (v. cap. I).
tenute a versare al momento della ridistribuzione ai propri soci di tali dividendi. Ne risultavano penalizzate le società che percepivano dividendi da controllate estere, in quanto non potevano usufruire del credito d’imposta. È interessante che in questo caso la Corte (par. 61 ss.) abbia fatto applicazione di un concetto di restrizione in senso economico: la disciplina descritta costringeva le società con controllate all’estero a distribuire un importo inferiore di dividendi (v. supra, cap. III par. 3.2.3).
336
In questo senso, v. Marchetti, F., Rasi, F., Raccolta di capitale di rischio e di capitale di debito: la
disciplina italiana, in Studi Tributari Europei, 2010, 1, par. 3.2. V. anche le osservazioni di Pistone, P., Il credito per le imposte estere e il diritto comunitario: la Corte di Giustizia non convince, in Riv. Dir.
Trib., 2000, III, p. 76; e Wattel, P., Home Neutrality in an Internal Market, in European Taxation, 1996, p. 159.
337
V. le considerazioni di Vanistendael, F., Does the ECJ have the power to build a tax system, cit. p. 63; inoltre, Kemmeren, E., Source of Income in Globalizing Economies: Overview of the Issues and Plea for
an Origin-Based Approach, in Bulletin for international taxation, 2006, 11, p. 442.
338 Anche nell’interpretazione della Direttiva, comunque, la giurisprudenza manifesta il favor verso
l’esenzione, impedendo che una disciplina di attuazione nazionale vi ponga limitazioni e condizioni: v. Corte di Giustizia, 12 febbraio 2009, causa C-138/07, Cobelfret. Con commento di Menti, F., La direttiva
madre-figlia n. 90/435 e l’obbligo per gli Stati di astenersi dal sottoporre a imposizione i dividendi, in
Dalla constatazione che la valutazione di equivalenza ha natura sostanziale, discende un’altra importante considerazione. Emerge infatti nel pensiero comunitario una nuova concezione, più ampia, di doppia imposizione economica: essa non è più solo e necessariamente una vera e propria duplicazione di imposte, ma è anche qualsiasi ipotesi di trattamento fiscale deteriore (in termini di maggior carico economico) a danno delle sole situazioni cross border in conseguenza dell’applicazione di metodi di rimozione in concreto non equivalenti339.
3.7 Lo stato dell’arte: la responsabilità dell’eliminazione della doppia