• Non ci sono risultati.

A questo punto dell’indagine è giunto il momento di allargare il campo di osservazione al di fuori della tassazione dei dividendi per ricercare altre ipotesi rilevanti sul piano comunitario in cui si verificano fenomeni di doppia imposizione, economica o giuridica, capaci di ostacolare la piena attuazione delle libertà fondamentali e degli obiettivi del Trattato.

Tali ipotesi riguardano molto spesso specifiche discipline di settore, già analizzate dalla giurisprudenza comunitaria sotto profili diversi da quello della doppia imposizione da essi generata.

Lo scopo di questa sezione è pertanto quello di individuare le principali tra queste fattispecie, far emergere i caratteri peculiari di queste diverse forme di doppia imposizione e dare loro una collocazione teorica unitaria nel contesto dell’ordinamento dell’Unione. In altre parole, si tenterà di applicare in modo ragionato le conclusioni raggiunte con riferimento all’imposizione degli utili societari, che si era scelto di assumere come esempio paradigmatico. Per raggiungere questo risultato, è necessario passare attraverso una revisione critica della giurisprudenza relativa alle singole fattispecie considerate. Di tali orientamenti saranno messi in luce gli elementi di criticità e valorizzati gli spunti validi per ricostruire in termini giuridici l’obiettivo comunitario di eliminazione di tutte le forme di doppia imposizione.

4.2 Applicazione di exit taxes e doppia imposizione dovuta al disallineamento dei valori.

Perlopiù deferite alla Corte di Giustizia per via della loro intrinseca contrarietà rispetto alla libertà di stabilimento382, le discipline nazionali di tassazione all’uscita pongono problemi di carattere comunitario anche per l’aspetto che interessa questa indagine, e cioè la potenziale creazione di fenomeni di doppia imposizione.

Per essere più precisi, la doppia imposizione in questi casi deriva non tanto, o non solo, dall’applicazione di una tassazione all’uscita, ma, più in generale, dall’esercizio della giurisdizione dello Stato di destinazione a prescindere dal coordinamento con l’imposizione nello Stato di origine. Il risultato comunque è che l’esercizio parallelo della giurisdizione da parte di questi due Stati può facilmente causare una doppia imposizione che, qualora non venga opportunamente eliminata, si traduce in un maggiore carico fiscale per la società “migrante”.

In particolare, la doppia tassazione si verifica a seconda della combinazione tra il tipo di exit tax applicata e il trattamento fiscale previsto nello Stato di destinazione: quando lo Stato di origine applica una tassazione definitiva alle riserve occulte e alle plusvalenze latenti (c.d. final exit tax) e, al contempo, lo Stato di destinazione assume i valori di bilancio degli asset come base imponibile della propria imposta sul reddito senza consentire il riporto degli accantonamenti e delle corrispondenti deduzioni fiscali, la società trasferita subisce una doppia imposizione in conseguenza del suo trasferimento in un altro Stato.

Inoltre, anche nel caso di differimento dell’imposizione dello Stato di origine, si pone un problema nei casi in cui gli asset subiscano, dopo il trasferimento nell’altro Stato, un decremento o un incremento di valore. Nella prima ipotesi, se lo Stato di origine non dovesse prendere in considerazione l’eventuale diminuzione di valore degli

asset conseguente al trasferimento, il contribuente si troverebbe effettivamente a pagare

un’imposta su redditi mai realizzati. Nella seconda ipotesi, qualora lo Stato di origine estendesse la propria giurisdizione, la società trasferita finirebbe per subire un’imposizione più gravosa in caso di incrementi di valore successivi al trasferimento (tassati sia nello Stato di origine – in virtù di tale estensione – sia nello Stato di

382 Corte di Giustizia, 11 marzo 2004, causa C-9/02, De Lasteyrie du Saillant; Corte di Giustizia, 7

settembre 2006, causa C-470/04, N; Corte di Giustizia, 29 novembre 2011, causa C-371/10, National

destinazione). Una doppia imposizione potrebbe infine derivare anche dal recupero a

tassazione di deduzioni o differimenti d’imposta precedentemente concessi383

.

La Commissione Europea insiste nel ribadire la corretta impostazione comunitaria del problema, secondo cui «se uno Stato Membro sceglie di esercitare i propri diritti impositivi al momento del trasferimento dell’attivo in un altro Stato Membro, tale decisione non dovrebbe tradursi in una doppia imposizione per il contribuente. Gli Stati Membri interessati dovrebbero pertanto garantire l’adozione di

misure in grado di evitare questa doppia imposizione»384. La Commissione si limita però

a suggerire che una simile violazione della neutralità fiscale del mercato trovi risposta o in misure unilaterali degli Stati o in una soluzione convenzionale.

Certamente, numerose soluzioni alternative sono praticabili da parte degli Stati Membri in via unilaterale per prevenire tale doppia imposizione (o doppia non imposizione): lo Stato di destinazione può, ad esempio, concedere uno step-up nel valore degli asset trasferiti, corrispondente al valore preso a riferimento per l’applicazione dell’exit tax nello Stato di origine. Ancora, può accordare un credito per le imposte pagate nello Stato di origine. Lo Stato di origine, dal canto suo, può concedere un credito d’imposta di segno contrario per le imposte pagate nello Stato di destinazione dal soggetto trasferito385

. Oppure, in modo ancora più efficace e coerente, gli Stati Membri possono assicurare una soluzione a questi casi di doppia imposizione stabilendo regole di ripartizione dei rispettivi poteri impositivi in via convenzionale386

. Nonostante la consapevolezza della portata di questo problema, la Commissione non si spinge fino a far derivare la necessità di eliminare la doppia imposizione conseguente a exit taxes da un principio generale dell’ordinamento dell’Unione (come il divieto di discriminazione o la neutralità fiscale). Ne risulta che l’effettiva realizzazione

383 In seguito al trasferimento di una società da uno Stato Membro ad un altro e all’applicazione di exit

taxes si possono verificare anche episodi di “doppia non imposizione”.

384 Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo e al Comitato Economico e

Sociale Europeo, 19 dicembre 2006, Tassazione in uscita e necessità di coordinamento delle politiche

fiscali degli Stati Membri. Quanto alle modalità, per la Commissione è fondamentale che il prelievo delle exit taxes non avvenga in un momento precedente a quello in cui si sarebbe verificata la tassazione se i

beni fossero rimasti nel territorio dello Stato di origine (di regola coincidente con il realizzo, ossia l’effettiva alienazione dei beni oggetto del trasferimento).

385

Zernova, D., Exit Taxes on Companies in the Context of the EU Internal Market, in Intertax, 2011, 10, p. 471.

386 È quanto fa l’art. 14(6) della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata fra Regno Unito e

di tale obiettivo è rimessa alla volontà degli Stati Membri di dare vita a misure di coordinamento delle rispettive legislazioni387

.

Ancora una volta, allora, il diritto comunitario sembra arrendersi di fronte all’impossibilità di utilizzare strumenti propri per risolvere situazioni in cui vengono lesi i propri principi388. Su questo punto, le conclusioni della Commissione paiono in linea con la più recente giurisprudenza in materia di doppia imposizione giuridica dei dividendi (sentenze Kerkhaert e Morres, Damseaux), in cui non si riesce a rintracciare uno strumento comunitario idoneo a contrastare le restrizioni alle libertà fondamentali derivanti dall’esercizio parallelo della giurisdizione degli Stati Membri.

Peraltro, sia consentito osservare che si potrebbe discutere della correttezza di questa equiparazione aprioristica del fenomeno, in quanto l’inquadramento della duplice tassazione “da exit tax” come doppia imposizione economica o giuridica non è così pacifico. Com’è noto, infatti, il fenomeno fiscale dell’exit tax è strettamente collegato alle regole del diritto societario che disciplinano il trasferimento all’estero della sede legale delle società. Perlopiù tali norme richiedono lo scioglimento della società nello Stato di origine e la corrispondente ricostituzione nello Stato di destinazione: formalmente, dunque, il trasferimento all’estero comporta una discontinuità nella soggettività giuridica. Per effetto del trasferimento, cioè, lo stesso soggetto economico integra due soggetti giuridici distinti e temporalmente contigui, il primo precedente e il secondo successivo rispetto al momento di cesura costituito dal trasferimento oltre frontiera. Se dunque sul piano formale si realizza una fattispecie di doppia imposizione economica perché i due soggetti giuridici tassati sono diversi, sul piano sostanziale si realizza in realtà una doppia imposizione giuridica perché si tratta di una suddivisione temporale nella personalità giuridica dello stesso soggetto passivo, ossia la società trasferita.

387 Si esprime negli stessi termini la Risoluzione del Consiglio del 2 dicembre 2008 sul coordinamento in

materia di tassazione in uscita (2008/C 323/01), che espressamente invita gli Stati Membri di destinazione a prevedere misure di assistenza amministrative nei confronti dello Stato di origine, in particolare al fine di individuare l’esatta data di alienazione del bene a cui riferire l’imposizione.

388 V. Carinci, A., Il Diritto Comunitario alla prova delle Exit Taxes, tra limiti, prospettive e

contraddizioni, in Studi Tributari Europei, 2009, 1, p. 6: «nel momento stesso in cui si dichiara

incompatibile con il diritto comunitario la tassazione delle plusvalenze latenti contestualmente alla perdita della residenza, il problema delle exit taxes finisce per divenire un problema di riparto della pretesa impositiva tra Stato outbound e Stato inbound sulle plusvalenze realizzate. Il problema è chiaramente comunitario, ma tale non sembra poter essere la soluzione».

Pertanto, pare di capire che la Commissione si basi sulla realtà fattuale del trasferimento e, considerando l’identità del soggetto passivo, opti per una qualificazione del fenomeno in termini di doppia imposizione giuridica.

Peraltro, è possibile anche che le discipline applicabili alla fattispecie concreta non impongano come necessari lo scioglimento e la ricostituzione della società al fine di consentirne il trasferimento di sede all’estero. In questo caso, realtà fattuale e formale sarebbero coincidenti e si tratterebbe senza dubbio alcuno di un caso di doppia imposizione economica, non automaticamente riconducibile alla giurisprudenza

Kerkhaert e Morres.

Una simile distinzione, di valore solo nominale, tra un piano fattuale della realtà economica e uno formale della struttura giuridica dell’operazione, dimostra una volta di più l’inutilità di continuare a separare, nella concezione comunitaria, i due profili della doppia imposizione. Si rende palese in questa fattispecie che, a prescindere dall’inquadramento prescelto, non muta l’effetto di conflitto del fenomeno con i principi generali del diritto comunitario. Quale che sia la qualificazione, insomma, urge da parte

dell’ordinamento dell’Unione una risposta efficace e unitaria389

.

In ogni caso, alla luce dell’analisi condotta nei capitoli precedenti, si può ipotizzare il superamento di questo stallo giurisprudenziale e così aprire nuovi scenari anche rispetto alla doppia imposizione causata da exit tax, in cui al profilo spaziale si aggiunge un peculiare profilo temporale di ripartizione dei poteri impositivi.

Per fare ciò, il primo, ineludibile, passaggio impone di ridimensionare il ruolo e la portata del concetto di equilibrata ripartizione di poteri impositivi. Il secondo passaggio consiste nel ricondurre una volta per tutte alla sfera di applicazione delle libertà fondamentali anche gli ostacoli al mercato causati dal mancato coordinamento tra giurisdizioni (v. parr. 3.7 e 5.4). Il terzo passaggio, infine, postula l’applicazione coerente del principio di tassazione alla fonte, imponendo allo Stato di destinazione: (i) di accettare il valore fiscale degli asset come definito nello Stato di origine e (ii) di sottoporre a tassazione effettiva solo l’eventuale incremento di valore degli asset maturato successivamente al trasferimento (ad esempio riconoscendo un credito per l’imposta versata nello Stato di origine).

A questo proposito, è stato autorevolmente osservato che nella sentenza N, prima citata, la Corte di Giustizia ha creato un collegamento tra la ripartizione della potestà

389

impositiva tra gli Stati e la lotta all’abuso, da un lato, e, dall’altro, l’obiettivo di eliminare la doppia imposizione nella Comunità. Sotto un primo aspetto, uno Stato Membro può tassare il reddito prodotto nel periodo in cui il contribuente era residente di un altro Stato Membro solo se può assicurare che ogni decremento di valore successivo al trasferimento di residenza sarà preso in considerazione (e sarà dunque evitata la doppia imposizione). Sotto un secondo aspetto, l’eliminazione stessa della doppia imposizione è funzionale a contrastare l’abuso, perché rende i sistemi nazionali meno vulnerabili e meno esposti al rischio di pianificazioni elusive390.

Outline

Documenti correlati