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La diretta applicabilità delle libertà del mercato e il ruolo del principio d

2.3 L’eliminazione della doppia imposizione come competenza non comunitaria

2.3.2 La diretta applicabilità delle libertà del mercato e il ruolo del principio d

Rimandando l’approfondimento degli orientamenti giurisprudenziali al seguito di questo lavoro, si può anticipare che la Corte di Giustizia da tempo ha intrapreso un’opera di estensione progressiva in via interpretativa del contenuto delle libertà fondamentali del Trattato. Da mero divieto di discriminazione nei confronti dei non residenti, esso è diventato in senso più ampio la proibizione di qualsiasi restrizione di natura fiscale al loro libero esercizio (v. infra). In sostanza, non è più necessario riscontrare una discriminazione per integrare una violazione degli articoli del Trattato. La verifica da effettuare è piuttosto se la misura nazionale impugnata sia suscettibile di ostacolare o restringere l’esercizio delle libertà fondamentali, benché non qualificabile come discriminatoria.

Come è stato acutamente osservato, una «siffatta evoluzione interpretativa si riflette sulla natura delle libertà fondamentali, rinnovandone il contenuto in veri e propri diritti di libertà in materia economica»157.

Quanto si è osservato fino ad ora, in merito all’esistenza e alla portata dell’obiettivo comunitario di eliminazione della doppia imposizione, trova il proprio fulcro nella ripartizione di poteri sovrani tra gli Stati e l’Unione. Il nuovo approccio alle libertà consente invece di arricchire la riflessione su un altro versante. Infatti, portando a compimento il ragionamento per cui le libertà fondamentali costituiscono diritti economici, la conseguenza è riconoscerne la loro diretta applicabilità nei confronti dei soggetti privati, dei singoli operatori del mercato che ne costituiscono i beneficiari.

Tale conclusione si rafforza laddove si consideri il congiunto operare di tali diritti e dell’obbligo di leale cooperazione (art. 4 comma 3 TFUE). Quest’ultimo consiste nell’obbligo degli Stati Membri di adottare tutte le misure idonee ad adempiere le loro obbligazioni comunitarie e ad agevolare il raggiungimento degli obiettivi dell’Unione. Si ritiene che i destinatari di questo obbligo non siano soltanto i legislatori nazionali e le amministrazioni, ma anche gli organi giurisdizionali, tenuti ad assicurare il pieno godimento da parte dei cittadini europei dei loro diritti158. Tuttavia, non tutti sono concordi nell’attribuire all’obbligo di leale cooperazione un effetto diretto per

157

Bizioli, G., Potestà tributaria statuale, competenza tributaria della Comunità Europea e…competenza

tributaria della Corte di Giustizia, in «Rivista di diritto tributario», 2000, p. 194.

158 Van Thiel, S., Why the European Court of Justice should Interpret, cit., in AA.VV., The Influence of

se159, a causa della sua formulazione troppo generica e del suo contenuto di clausola generale di “buona fede”. La funzione primaria di tale norma sarebbe invece quella di assicurare, in via supplementare, l’effettiva applicazione delle altre norme più specifiche contenute nei Trattati e nel diritto derivato. Non si tratterebbe dunque di una norma autonoma, ma piuttosto di una norma da leggere in combinato disposto con, segnatamente, le libertà di circolazione.

Coerentemente, del resto, la giurisprudenza consolidata impone

un’interpretazione delle libertà alla luce degli obiettivi generali, della struttura e dello spirito del Trattato. La conseguenza finale, molto forte, sarebbe allora che il nucleo di dette libertà contiene un diritto all’abolizione della doppia imposizione, invocabile dai cittadini dinanzi ai giudici nazionali. Pur rinviando la disamina del tema al capitolo successivo, si può dire fin d’ora che la doppia imposizione dovrebbe essere ritenuta in linea di principio incostituzionale, costituendo una restrizione a danno delle attività transfrontaliere in contrasto con norme comunitarie direttamente applicabili.

2.3.2.1 Libertà di stabilimento vs. libera circolazione dei capitali: ambito applicativo e formulazione di una priority rule.

Per quanto la fiscalità diretta tocchi argomenti così vari da poter incidere di volta in volta sull’ambito di applicazione di ognuna delle libertà del Trattato, ciononostante le disposizioni che interessano la materia della doppia imposizione dei dividendi, scelta come paradigma all’interno di questo lavoro, sono quelle relative al diritto di stabilimento (art. 49) e alla libera circolazione dei capitali160 (art. 63).

Peraltro, l’elaborazione sulla portata sostanziale delle varie libertà fondamentali e sull’applicabilità di cause di giustificazione in relazione alla loro violazione ha raggiunto oggi un elevato grado di convergenza grazie al lavoro interpretativo svolto dalla Corte di Giustizia. Pertanto, indagare i rapporti reciproci tra le varie libertà al fine di elaborare una priority rule da applicare nelle fattispecie in cui due o più libertà si sovrappongono è oggi uno sforzo che mantiene utilità soltanto con riferimento ai rapporti economici che coinvolgono Stati terzi. Se infatti l’ambito territoriale di

159 In questo senso, ad esempio, Nieminen, M., Abolition of Double Taxation, cit., p. 331. 160

Nella sentenza Verkooijen (Corte di Giustizia, 6 giugno 2000, C-35/95), la Corte ha infatti statuito che la distribuzione di dividendi, benché non contemplata tra le tipologie di “movimenti di capitali” di cui all’elenco allegato alla Direttiva 88/361/CEE, presuppone necessariamente gli investimenti di capitali ivi espressamente menzionati ed è perciò da essi inscindibile.

applicazione degli articoli 45 (lavoratori), 49 (stabilimento) e 56 (servizi) è limitato alle operazioni concluse fra Stati Membri161, quello della libera circolazione dei capitali (art. 63) ha una copertura globale.

Ai sensi dell’art. 63, infatti, gli Stati Membri sono tenuti a garantire l’uguaglianza delle condizioni nell’accesso al mercato e nella posizione concorrenziale anche rispetto ai movimenti di capitali provenienti o destinati a Stati terzi, senza possibilità di differenziare il contenuto di questa libertà a seconda che essa sia fruita nei

rapporti tra Stati Membri o in quelli con Paesi terzi. La Corte di Giustizia162 invero ha

resistito alle pressioni degli Stati, che miravano a compromettere questa garanzia prevista dal Trattato escludendo determinate categorie di operazioni sui capitali con Stati terzi dall’effetto diretto dell’attuale articolo 63. Lo stesso discorso vale per le cause di giustificazione, che, ove riconosciute dalla giurisprudenza, devono applicarsi senza distinzione tanto ai rapporti intracomunitari quanto ai rapporti con Stati terzi. In questa seconda ipotesi, tuttavia, l’applicazione è in genere resa più facile dalla valutazione delle circostanze concrete (si pensi alle problematiche sollevate dai rapporti con i cosiddetti paradisi fiscali).

Per i profili che qui interessano, nella casistica giurisprudenziale della Corte sono stati sviluppati i criteri per definirne i rispettivi confini tra libertà di stabilimento e libera circolazione dei capitali. In base al criterio posto dal cosiddetto “Baars test”, «si avvale del suo diritto di stabilimento il cittadino di uno Stato membro che detenga nel capitale di una società stabilita in un altro Stato membro una partecipazione tale da conferirgli una sicura influenza sulle decisioni della società e da consentirgli di indirizzarne le attività»163. Ai fini fiscali, dunque, si considera esercizio della libertà di stabilimento non solo il caso in cui la casa madre abbia posto all’estero una stabile organizzazione, ma anche il caso in cui detenga nel capitale di una società estera una partecipazione qualificata. In ogni altro caso, per le partecipazioni di portafoglio al di sotto di questa soglia qualificata da valutarsi caso per caso, viene in rilievo l’art. 63.

Tanto vale come criterio distintivo tra le due libertà. Quanto invece alla loro interazione in caso di concorso rispetto ad una stessa fattispecie concreta, va ricordato

161 L’ambito di applicazione in realtà è esteso anche agli Stati Membri dello Spazio Economico Europeo,

grazie agli articoli 28, 31 e 36 del relativo Accordo.

162 Sul punto si veda, ad esempio, Corte di Giustizia, 18 dicembre 2007, C-101/05, A, par. 34: «dalle

condizione cui è soggetto il potere riconosciuto al Consiglio […], di adottare misure relative alle categorie di movimenti di capitali provenienti da paesi terzi o ad essi diretti, non può dedursi che tali categorie sfuggano all’ambito di applicazione del divieto sancito all’art. 56, n. 1, CE».

163

l’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato per cui una disciplina nazionale che «riguarda soltanto gruppi di società, rientra nell’ambito d’applicazione dell’art. 43 CE [ora 49] piuttosto che in quello dell’art. 56 CE [ora 63 TFUE]», mentre gli eventuali «effetti restrittivi sulla libera circolazione dei capitali … sarebbero l’inevitabile conseguenza di un eventuale ostacolo alla libertà di stabilimento»164.

In altri termini, le due libertà non si possono applicare congiuntamente. La Corte sancisce così la prevalenza della libertà di stabilimento rispetto alla garanzia di libera circolazione dei capitali quando si abbia riguardo ad investimenti diretti, con la conseguenza che – secondo un’interpretazione restrittiva – i flussi di dividendi da o verso Stato terzi potrebbero restare, proprio nel caso di investimenti diretti, esclusi dalle tutele apprestate dal diritto comunitario. L’argomento è dibattuto. Tuttavia, la dottrina maggioritaria ritiene che le fattispecie che coinvolgono Stati terzi siano sempre e solo coperte dalle previsioni in tema di libera circolazione dei capitali, anche qualora l’investimento considerato possa qualificarsi come “stabilimento” nel significato dell’articolo 49 del Trattato165.

Questa impostazione gerarchica tra le due libertà è giustificata dalla preoccupazione diffusa di evitare le conseguenze paradossali di un’applicazione estensiva della libertà di circolazione dei capitali. Si è osservato, infatti, che il Trattato non pone limiti espressi all’applicazione di questa libertà quando siano coinvolti soggetti residenti in Stati terzi. Di conseguenza, a tali soggetti dovrebbe essere riconosciuta la più ampia facoltà di stabilire filiali e stabili organizzazioni nel territorio dell’Unione, trattandosi di manifestazioni economiche che presuppongono un investimento di capitali, con la possibilità di reclamare l’applicazione del trattamento nazionale. La regola giurisprudenziale di prevalenza della libertà di stabilimento opera dunque, in un certo senso, come limite esterno all’applicazione della libera circolazione dei capitali166.

Non è ancora chiaro, peraltro, se nel pensiero della Corte tale prevalenza della libertà di stabilimento debba essere stabilita con riferimento all’oggetto della disciplina

164 Così, fra altre, Corte di Giustizia, 12 dicembre 2006, C-446/04, FII GL, par. 118; nonché Corte di

Giustizia, 18 giugno 2009, C-303/07, Aberdeen Property Fininvest Alpha, par. 35.

165 Fontana, R., Direct Investments and Third Countries: Things are Finally Moving…in the Wrong

Direction, in European Taxation, 2007, 10, p. 434.

166 V. Lyal, R., Free Movement of Capital and Non-Member Countries. Consequences for Direct

Taxation, in AA.VV., The influence of European Law on Direct Taxation, cit., p. 19. Osserva l’autore che: «the Treaty is not intended to extend the freedom of establishment to persons from non-member

countries in this indirect or parasitic (and unilateral) way, then it is desirable to determine just what the respective scopes of the freedoms are».

nazionale controversa, oppure con riferimento alle circostanze presentate dalla fattispecie nel caso concreto. In altri termini, occorre chiarire se il test di prevalenza debba essere condotto secondo un criterio, rispettivamente, legale o fattuale167.

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