3.2 La classificazione degli ostacoli fiscali al mercato: discriminazione,
3.2.2 L’evoluzione della categoria di restrizione: criticità
In seguito, alcune sentenze (non in materia fiscale) hanno cominciato a non condividere più l’idea che fosse necessario riscontrare una discriminazione in senso stretto per integrare una violazione degli articoli del Trattato. Piuttosto la verifica da effettuare era se la misura nazionale di volta in volta impugnata fosse suscettibile di
214 «Per le società … la sede serve a determinare, al pari della cittadinanza delle persone fisiche, il loro
collegamento all’ordinamento giuridico di uno Stato» (par. 18). V. l’analisi di Pistone, P., The Impact of
Community Law on Tax Treaties, op. cit., p. 104 e ss..
215 Conclusioni dell’AG Mancini per la causa C-270/83, punto 6b. 216 Corte di Giustizia, 14 febbraio 1995, causa C-80/94, Schumacker. 217
ostacolare o restringere l’esercizio delle libertà fondamentali, benché non qualificabile come discriminatoria. Nell’ambito di questo secondo approccio, basato sul concetto di restrizione, il metodo si sviluppa in due fasi: per prima cosa la Corte verifica se la misura impugnata ostacola o anche solo rende meno attraente l’esercizio di una libertà, prescindendo dalla comparazione tra due distinte situazioni. Quindi, riscontrato l’ostacolo, ne cerca l’eventuale giustificazione. Secondo questa visione, una discriminazione diretta è giustificabile solo nell’ambito delle deroghe espresse previste dal Trattato, mentre la più ampia categoria delle “obiettive giustificazioni” si applica a tutti gli altri tipi di restrizione.
Questa svolta ha segnato, a partire dalla metà degli anni Novanta, il punto di partenza di un’interpretazione estensiva delle libertà fondamentali, tale da far rientrare nel loro ambito di applicazione un gran numero di casi che altrimenti sarebbero sfuggiti al vaglio comunitario perché non integravano gli estremi di una discriminazione. Sono esemplificative di questo nuovo corso sentenze come Saint Gobain, Verkooijen e
Manninen, pietre miliari della costruzione fiscale elaborata dalla Corte di Giustizia.
Nella pronuncia Saint Gobain218, per la prima volta, l’esistenza di un ostacolo alla libertà di stabilimento secondario è ritenuta motivo sufficiente per censurare una normativa nazionale. La disciplina tedesca che differenziava il trattamento delle società controllate e delle stabili organizzazioni di società non residenti veniva censurata non perché discriminatoria, ma perché non era neutra rispetto alle scelte imprenditoriali di una società non residente219.
Nelle due pronunce Verkooijen220 e Manninen221 la Corte ha esplorato invece le
potenzialità del concetto di restrizione con riferimento alla libera circolazione dei
218 Corte di Giustizia, 21 settembre 1999, causa C-307/97, Saint Gobain. La stabile organizzazione
tedesca di una società francese controllava un gruppo di società tedesche e, per il tramite di queste, altre società situate in altri Stati Membri e non. La ricorrente lamentava la lesione del proprio diritto di stabilimento in quanto la legislazione tedesca vigente all’epoca dei fatti negava alla stabile alcune agevolazioni fiscali, concesse invece alle società controllate, per evitare la doppia imposizione economica scontata dai dividendi di fonte estera. Il giudice comunitario riconosce le ragioni della ricorrente facendo leva sul fatto che «il diniego delle agevolazioni fiscali di cui trattasi ai centri di attività stabili situati in Germania di società non residenti rende meno interessante, per queste ultime, il possesso di partecipazioni attraverso succursali tedesche, considerato il fatto che … degli sgravi possono fruire solo le controllate tedesche le quali, in quanto persone giuridiche, sono soggette a un obbligo fiscale illimitato, cosa che limita la libertà riconosciuta espressamente agli operatori economici dal Trattato di scegliere la forma giuridica adeguata per lo svolgimento di attività in un altro Stato membro».
219 La Corte, comunque, si dimostra qui ancora condizionata dal metodo della discriminazione: imposta
infatti il giudizio sulla comparazione tra la posizione di una controllata e di una stabile organizzazione.
220
Corte di Giustizia, 6 giugno 2000, causa C-35/98, Verkooijen. Il sistema olandese di imposizione dei dividendi concedeva un’esenzione per i primi 1.000 fiorini che si applicava solo ai dividendi percepiti da società con sede nei Paesi Bassi, e non a quelli percepiti in virtù della partecipazione a società straniere. Il signor Verkooijen, azionista di una società con sede in Belgio, chiedeva l’applicazione dell’esenzione
capitali e, specificamente, a due discipline nazionali volte ad eliminare solo internamente gli effetti della doppia imposizione economica dei dividendi percepiti da persone fisiche. Dalle due decisioni emerge che la doppia imposizione economica scontata dai dividendi di fonte estera costituisce un’inammissibile restrizione alla circolazione dei capitali se nelle analoghe situazioni interne sono previsti meccanismi per la sua eliminazione222.
La nuova impostazione è supportata dall’intervento dell’AG Kokott, che ha ricordato come «ogni provvedimento che renda più oneroso o meno attraente il trasferimento transfrontaliero di capitali e sia pertanto tale da distogliere da questo l’investitore costituisce una restrizione alla libera circolazione dei capitali» e di riflesso «rende anche più gravosa per le imprese straniere l’acquisizione di capitali sul mercato» dello Stato interessato223.
Questi esempi valgono a dimostrare come le regole del diritto comunitario assumano la valenza di garanti della neutralità fiscale; in altri termini, una legislazione nazionale è incompatibile con le libertà fondamentali anche solo se suscettibile di disincentivarne l’esercizio. La concezione di restrizione applicata in queste pronunce è la più ampia possibile.
L’impatto di simili pronunce è indubbiamente molto forte, tanto sul piano finanziario224, quanto sul piano giuridico. Basta pensare che né il diritto internazionale né il diritto comunitario225 impongono agli Stati un vero e proprio “obbligo” di eliminare la doppia imposizione. Se tuttavia lo Stato di residenza decide di non eliminare la doppia imposizione allo stesso modo per i dividendi esteri e quelli
anche per i propri dividendi di fonte belga, ritenendo che la limitazione ai soli dividendi interno costituisse un ostacolo alla libera circolazione dei capitali. Le sue ragioni sono state condivise dalla sentenza della Corte europea, che ha anche negato la giustificazione della coerenza sistematica.
221
Corte di Giustizia, 7 settembre 2004, causa C-319/02, Manninen. Al vaglio della Corte il sistema finlandese per la prevenzione della doppia imposizione economica sugli utili distribuiti da società nazionali a soci finlandesi: costoro ricevevano un credito corrispondente alla quota dell’imposta versata dalla società. Lo stesso credito non veniva però accordato in relazione ai dividendi distribuiti da società non residenti: era questa la situazione del signor Manninen, titolare di azioni di una società svedese, che gli versava dividendi già tassati in Svezia a titolo dell’imposta sulle società.
222 Si noti peraltro che in queste due pronunce già riemerge – seppur in veste rinnovata – l’elemento della
comparazione.
223
V. paragrafi 28 e 33 delle conclusioni dell’AG, presentate il 18 marzo 2004.
224 Ad esempio, la Corte, laddove impone agli Stati Membri che eliminano la doppia imposizione interna
concedendo un credito d’imposta di accordare tale credito anche per i dividendi esteri, in sostanza chiede allo Stato di residenza di farsi carico “economicamente” dell’imposta sulle società prelevata in un’altra giurisdizione.
225 L’inesistenza di un siffatto obbligo allo stato attuale dell’evoluzione dell’ordinamento comunitario è
sottolineato in molte sentenze, anche tra le più recenti. Si veda ad esempio, Corte di Giustizia CE, 14 novembre 2006, causa C-513/04, Kerckhaert e Morres, ai punti 22 e 23.
nazionali, questa scelta viene stigmatizzata dalla Corte di Giustizia come “restrizione suscettibile di ostacolare” la libertà di circolazione dei capitali. Senza nemmeno la possibilità per gli Stati di giustificarsi attraverso il richiamo alla spartizione di poteri impositivi concordata con gli altri Stati sul piano internazionale.
Un approccio così rigoroso ha in sé la potenzialità di travolgere dalle fondamenta l’ordinamento tributario degli Stati Membri. Non si riesce nemmeno a immaginare, infatti, un sistema tributario che in nessun senso risulti lesivo del diritto comunitario226. Solo un’armonizzazione positiva potrebbe, infatti, neutralizzare gli inconvenienti che risultano dalla coesistenza di sistemi nazionali sovrani. Proprio alla luce di ciò, grandi perplessità hanno accompagnato la trasposizione al campo delle imposte dirette di un divieto di restrizioni che pare difficilmente conciliabile con il principio di sovranità fiscale e con la coesistenza all’interno dell’Unione di molteplici sistemi fiscali tra loro diversi. Molti commentatori, allarmati del ruolo politico progressivamente assunto dalla Corte, hanno denunciato i rischi di una giurisprudenza così aggressiva227.
In particolare, la sovranità viene minata nella misura in cui sono stigmatizzate come restrizioni quelle che sono scelte discrezionali rimesse alla potestà sovrana dei legislatori, frutto della peculiare situazione economica, sociale e politica di ciascuno Stato: è quanto accaduto negli esempi giurisprudenziali appena ricordati in tema di doppia imposizione economica, ma il problema riguarda anche altri temi delicati come la scelta dei criteri di collegamento e la ripartizione dei poteri impositivi tra Stati. Il diritto comunitario finisce per interferire non solo con le modalità di esercizio della sovranità ma anche con i suoi stessi contenuti, imponendo agli Stati di tenere conto di elementi esterni alla loro giurisdizione nel disegnare i lineamenti dei propri sistemi interni.
I limiti di un metodo casistico fanno poi sorgere gravi problemi di certezza del diritto, dal momento che gli Stati sono costretti a fornire giustificazioni caso per caso in relazione a presunte restrizioni che nulla hanno a che fare con le regole del mercato interno e riguardano invece la loro sovranità tributaria. Il prezzo che si paga è alto soprattutto in termini di prevedibilità delle pronunce e di possibilità di pianificazione dei sistemi fiscali nazionali in conformità ai principi comunitari.
226
V. sul punto Kingston, S., A light in the darkness: recent developments in the ECJ’s direct tax
jurisprudence, in Common Market Law Review, 2007, p. 1331.
227 Weber, D., In Search of a (New) Equilibrium Between Tax Sovereignty and the Freedom of Movement
Riassumendo i rischi insiti in questo approccio, l’AG Mischo osservava – in tempi ormai lontani – il paradosso per cui «non bisogna arrivare ad un punto in cui gli Stati Membri siano tenuti a giustificare come “norma imperativa” qualsiasi tipo di disposizione presente nella propria legislazione interna, ad esempio le aliquote dell’imposizione societaria o le aliquote IVA, che siano maggiori che altrove», ogni volta che un contribuente contesti che tale disposizione rende meno attraente l’esercizio di una libertà fondamentale228.
La Corte di Giustizia ha cominciato a recepire queste diffuse preoccupazioni. E pertanto nelle sentenze più recenti è interessante notare un nuovo approccio, che si muove proprio nella direzione di circoscrivere la nozione di restrizione, guidata da un’accresciuta sensibilità nei confronti della salvaguardia della sovranità degli Stati.
3.2.3 (segue) Restrizioni in senso economico e in senso giuridico.
Alla luce di tutti questi problemi, è emersa con urgenza la necessità di razionalizzare i concetti usati nella giurisprudenza non sempre in modo coerente. Più di tutto, si è avvertita l’esigenza di individuare l’esatta portata della nozione di restrizione, di cui sono state fornite due possibili interpretazioni229.
Da un lato, si può ricostruire la nozione di restrizione in senso economico, in linea con la giurisprudenza della Corte in materia non fiscale. In questa accezione, “restrizione” è qualsiasi misura che renda le attività transfrontaliere meno attraenti per gli operatori del mercato nazionale. Questo concetto molto lato comprende anche, ad esempio, i casi di mancato sgravio dalla doppia imposizione giuridica in assenza di una convenzione, come anche tutti i tipi di restrizione in senso lato derivanti dalla ripartizione della potestà tra Stati. Data l’ampiezza delle fattispecie che vi possono rientrare, può essere eliminata solo attraverso misure di armonizzazione legislativa da parte del legislatore comunitario. A differenza della discriminazione, che origina dalle norme di un singolo ordinamento, la restrizione in senso economico nasce dalla combinata applicazione di due distinti sistemi nazionali.
Dall’altro lato, pare possibile ricostruire una nozione di restrizione in senso giuridico, che meglio si attaglia a risolvere le questioni inerenti alla fiscalità diretta. Il
228 AG Mischo, conclusioni rese nella causa C-255/97, Pfeiffer (par. 91). 229
Zalasiński, A., The Limits of the EC Concept of ‘Direct Tax Restriction on Free Movement Rights’,
punto di riferimento di questa definizione si rinviene nelle conclusioni dell’AG Alber
rese nella causa Bosal Holding230. Questa seconda accezione è più ristretta e si traduce,
proprio come la discriminazione, in un concetto di relazione. Essa presuppone, cioè, una differenza di trattamento a svantaggio dei contribuenti coinvolti in attività transfrontaliere, o, più in generale, che si avvalgono dei diritti comunitari di libera circolazione, all’interno delle norme di un solo ordinamento.
Il rapporto tra queste due definizioni è nel senso che la prima costituisce rispetto alla seconda una categoria residuale: ogni svantaggio economico, diverso da una mera disparità di trattamento tra attività domestiche e transfrontaliere, deve essere qualificato come restrizione in senso economico. Ad esempio, il diniego di un vantaggio fiscale da parte di uno Stato, giustificato dall’assenza del potere impositivo dello Stato stesso sulla fattispecie, non costituisce una restrizione in senso giuridico (la situazione del residente e del non residente non sono paragonabili), ma può comunque essere qualificata come restrizione in senso economico.
Benché in campo tributario privilegi perlopiù la nozione giuridica di restrizione, la Corte di Giustizia spesso non applica fino in fondo le conseguenze di questa impostazione. In particolare, non sembra rispettare coerentemente i limiti del potere impositivo degli Stati, e accade talvolta che ritenga in linea di principio vietate dal Trattato le restrizioni derivanti da tali limiti. Questa commistione tra i due approcci alla restrizione è all’origine di molte pronunce contraddittorie. L’interpretazione del divieto di restrizione che emerge dalla sentenza Bosal Holding, ad esempio, postula un uguale trattamento delle situazioni domestiche e transfrontaliere a prescindere dalle limitazioni alla giurisdizione fiscale coerenti con il principio di territorialità231.
Analoghe contraddizioni si riscontrano nella soluzione data dalla Corte a fattispecie di doppia imposizione economica dei dividendi (v. sentenza Manninen): qui, lo Stato che allevi la doppia imposizione interna concedendo al socio un credito per la sottostante imposta prelevata sulla società, viene richiesto di garantire lo stesso trattamento anche per i dividendi versati da società estere, che nello Stato di residenza del socio non hanno subito alcun prelievo. La Corte dunque opera un giudizio comparativo, ma ignora le conseguenze di una coerente applicazione del principio di territorialità. In questo aspetto è forte il contrasto con i principi del diritto internazionale classico.
230 Conclusioni dell’AG Alber del 24 settembre 2002, per la causa C-168/01, Bosal Holding. 231
3.2.4 Le disparità o quasi-restrizioni. La discussa applicabilità del