Il contrasto ai fenomeni di abuso del diritto è – si è visto – un obiettivo che appartiene al diritto comunitario oltre che ai singoli ordinamenti nazionali ed è capace di giustificare la permanenza di ipotesi di doppia imposizione internazionale (v. par. 3.5.2.3). È quindi coerente con questo assunto l’interpretazione consolidata delle libertà fondamentali secondo cui la tutela comunitaria di tali libertà in materia fiscale non comprende la facoltà per le imprese di scegliere discrezionalmente in quale giurisdizione realizzare l’imposizione dei propri utili. Si manifesta così con evidenza il nesso di stretta interdipendenza tra esercizio effettivo delle libertà, lotta all’abuso e salvaguardia della ripartizione sul piano internazionale dei poteri impositivi, nesso che
trova una rinnovata formulazione nella giurisprudenza più recente391.
Pare infatti che fra i termini di questo trinomio sia oggi la finalità antielusiva ad assumere un ruolo preponderante e di orientamento dell’interpretazione comunitaria (sul punto v. ampiamente infra cap. V).
In questo quadro, ad esempio, si è giunti a disconoscere la copertura comunitaria ad operazioni societarie finalizzate al trasferimento di elementi positivi di base imponibile verso altre società collegate stabilite in Stati Membri con una fiscalità più
390 Kovács, L., La politica della Commissione Europea in materia di Exit Tax, in Studi Tributari Europei,
2009, 1, p. 7. Al paragrafo 49, la citata sentenza N afferma: «È vero (…) che la dichiarazione dei redditi prevista al momento del trasferimento della residenza (…) rappresenta una formalità amministrativa in grado di rendere più difficile o meno attraente l’esercizio delle libertà fondamentali da parte del contribuente interessato, ma essa non può essere considerata sproporzionata rispetto all’obiettivo legittimo della ripartizione del potere impositivo, in particolare al fine di eliminare la doppia imposizione tra gli Stati Membri».
391 Si veda tutto il filone giurisprudenziale inaugurato dalla sentenza Marks & Spencer (a titolo solo
esemplificativo, si pensi ai casi Oy AA, Société de Gestion Industrielle, X Holding), nonché, da ultimo, le conclusioni dell’AG Kokott dell’8 settembre 2011 nella causa C-371/10, National Grid Indus, par. 105.
vantaggiosa (concretamente, che applicavano aliquote inferiori), con l’effetto di giustificare anche la conseguente doppia imposizione392
. In tale fattispecie, analizzata dalla Corte di Giustizia dalla prospettiva dello Stato di origine del trasferimento, è stata data prevalenza all’esercizio della potestà tributaria statale in funzione antielusiva rispetto ad un trasferimento di utili effettuato dal contribuente nell’esercizio della sua libertà di circolazione. Se ne può desumere che l’equilibrata ripartizione del potere impositivo tra gli Stati viene oggi tutelata anche al di là di situazioni di abuso del diritto strettamente inteso393.
Questa nuova impostazione dei rapporti tra libertà fondamentali e contrasto all’abuso del diritto non implica tuttavia che sia ammissibile ogni forma di restrizione nazionale alla libertà di stabilimento dei gruppi di società.
A questo proposito, l’ipotesi più tradizionale di doppia imposizione motivata dagli Stati in chiave di contrasto a comportamenti abusivi è quella derivante dall’applicazione di normative nazionali in materia di controlled foreign companies (CFC)394
. Tale forme di doppia imposizione economica colpisce gli utili societari realizzati da una controllata localizzata in un paradiso fiscale, i quali sono tassati in capo a tale controllata e anche, per effetto della presunzione istituita dalla disciplina, in capo alla società controllante residente nello Stato. È evidente che tale situazione crea un deterrente agli investimenti transfrontalieri395
.
Il bilanciamento tra gli interessi in gioco è stato risolto dalla Corte di Giustizia
con la sentenza miliare Cadbury Schweppes396
, che ha sancito l’obbligo degli Stati Membri di adeguare le proprie normative nazionali sulle CFC in modo tale da limitarne il campo di applicazione alle sole costruzioni puramente artificiose. In buona sostanza, viene applicato dalla Corte il classico test di proporzionalità: le regole sulle CFC sono ammissibili solo nella misura in cui mirano specificamente a colpire l’abuso e non invece se mascherano un intento protezionistico di ostacolo agli investimenti outbound.
392 Si veda anche infra par. 4.8.1.
393 Corte di Giustizia, 18 luglio 2007, causa C-231/05, Oy AA, punto 50, con il commento di Traversa, E.,
Modonesi, D., La neutralità fiscale nel finanziamento delle società nel diritto dell’Unione Europea, in Studi Tributari Europei, 2010, 1. Per una critica, v. al successivo cap. V.
394 Si rinvia a quanto detto nel paragrafo 1.2.2.
395 V. Remacle, O., Nonnenkamp, S., Economic Double Taxation as an Obstacle to Cross-Border
Investments, in AA.VV., Double Taxation within the European Union, cit., p. 40.
396 Corte di Giustizia, 12 settembre 2006, causa C-196/04, Cadbury Schweppes, su cui si veda il
commento di Beghin, M., La sentenza Cadbury-Schweppes e il "malleabile" principio della libertà di
Del resto, la connessione tra normative CFC e problematiche della doppia imposizione è resa esplicita in numerosi documenti comunitari, che giustificano il meccanismo previsto dalle norme in questione solo nella misura in cui serve ad accertare l’effettiva imposizione estera, evitando ipotesi (abusive) di doppia non tassazione: ragionando a contrario, si conferma così che, nell’ottica comunitaria, viene meno la stessa ragion d’essere di una normativa CFC qualora la stessa dovesse dar luogo ad una doppia imposizione397.
Come in molte altre occasioni398, però, la Corte ha evitato di considerare la questione in termini di restrizione alla libertà di stabilimento causata dalla doppia imposizione. Ma è evidente che l’ostacolo fiscale a cui si allude nella sentenza è proprio questo, in quanto le società con controllate all’estero subiscono un carico fiscale maggiore rispetto alle società con controllate residenti nello Stato.
Inoltre, dalla sentenza si ricava un’ulteriore conferma della preferenza comunitaria per il principio di tassazione alla fonte, poiché si restringe in modo molto rigoroso l’operatività della presunzione che sposta la potestà impositiva allo Stato di residenza, la quale può operare solo in quanto sia un regime eccezionale.
In conclusione: a parte il fatto che viene omessa una menzione espressa del problema della doppia imposizione, il ragionamento alla base della giurisprudenza
Cadbury Schweppes è corretto ed il risultato di eliminazione della doppia imposizione è
raggiunto in modo efficace. Anzi, in modo forse più lineare rispetto alle argomentazioni spesso seguite dalla stessa Corte in materia di tassazione dei dividendi, poiché qui assume un ruolo fondamentale l’esperimento del test di proporzionalità, il quale esprime al meglio le esigenze di bilanciamento degli interessi in gioco.
Alla luce di tutto ciò, si comprende perché sarebbe fortemente auspicabile un intervento di razionalizzazione da parte della Corte, in modo da definire un approccio unitario al problema della doppia imposizione, in tutte le sue molteplici manifestazioni.
397 Report del Gruppo di Lavoro sul Codice di Condotta - Tassazione delle Imprese (Code of Conduct
Group – Business taxation), 22 novembre 2010, 16766/10: «Member States which operate a participation exemption should (…) ensure that the profits which give rise to foreign source dividends are subject to effective anti-abuse or countermeasures (…). [This] could be achieved through a Member State having CFC-legislation or other anti-abuse provisions which ensure that profits artificially diverted from that Member State which may give rise to foreign source dividends are appropriately taxed».
398
4.4 I regimi di transfer pricing e le rettifiche ad opera