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IV: Un discorso universalistico sensibile alle differenze: il caso delle mutilazioni genitali femminili.

IV.I Sulla corporeità.

IV.5 Conflitto tra valori e la questione del doppio standard.

La prospettiva liberale sostenuta all’interno del CA, sensibile alle libertà individuali di scelta, si rivela un’efficace percorso di studio per indagare le implicazioni concernenti la pratica di mgf; una problematica che solleva molte questioni in seno al rapporto con il pluralismo dei valori e le presunte soluzioni

362United Nations Development Programme, Human Development Report 2004, La libertà culturale

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relativiste. “Parlare di interculturalità o transculturalità -afferma Roberta Sala- sembra promuovere, con minore fatica terminologica, la non negoziabilità di una cornice valoriale anche minima, nella forma dei valori universali protetti dalle carte costituzionali e dalle carte internazionali dei diritti, che nessuna cultura può negare e che tuttavia può contribuire a definire”.363

Ad accentuare la complessità plurale della questione, è poi la constatazione, che la pratica delle mgf non appartenga ad una singola cultura o ad un gruppo di culture ma sia trasversale nella geografia umana e nella prospettiva temporale. Tale assunto trova supporto nelle parole di Nahid Toubia, che afferma “FGM is an issue that concerns women and men who believe in equality, dignity and fairess to all human beings, regardless of gender, […] religion or ethic identity … it represents a human tragedy”.364 La filosofa Yael Tamir, con cui dialoga Martha Nussbaum sulla questione del Double Moral Standards, invoca la necessità di superare l’erronea concezione statica delle culture ed in modo particolare di quelle distanti dalla nostra per riconoscerne il carattere dinamico rilevante per la vita delle persone. Tamir asserisce così che le culture ostili ai cambiamenti appaiano, per questo motivo, meno sensibili alla possibilità di prosperare.365

Un importante rischio, a mio avviso, connesso alla descrizione della pratica, è quello di presentare solo quegli aspetti che vedono le donne soggetti passivi, inermi destinatari di torture tradizionali senza intuire la pluralità degli atteggiamenti che le donne assumono talvolta come vittime altre volte esse stesse come artefici, trattandosi di una pratica tutta al femminile. Sarebbe inoltre innegabile come molte donne sostengano svariati motivi a supporto della pratica e della sua conservazione, sebbene sia altrettanto significativa la presenza di donne africane che sono quotidianamente impegnate per eradicare la pratica.

Secondo l’art. 5 del vigente Codice italiano di Deontologia medica, si riconoscono lesive dell’integrità psico-fisica tutte le forme di mutilazione di un organo per ragioni chiaramente non terapeutiche: si tratta di interventi che determinano la compromissione temporanea o permanente della capacità di vivere la sessualità, generando, in alcuni casi, gravi conseguenze per la salute della donna, che in caso di

363 R. Sala, Donne, culture, tradizioni. Un riesame della questione delle mutilazioni genitali femminili,

in D. Carillo – N. Pasini (a cura di), Migrazioni Generi Famiglia. Pratiche di escissione e dinamiche di cambiamento in alcuni contesti regionali, Milano, Franco Angeli, 2009,p 353.

364Y. Tamir, Hands off Clitoridectomy,cit. p. 21.

365Cfr. Y. Tamir, Schierarsi con gli oppressi, in S.M. Okin (a cura di), Diritti delle donne e

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gravidanza, è esposta a rischio per la propria vita e per quella del nascituro. Tale espressione riprende quella formulata alcuni anni prima dall’OMS che pone l’accento su una pratica che modifica, rimuovendo in modo parziale o totale, l’organo genitale femminile per motivi non terapeutici ovvero per motivi culturali, religiosi, estetici. Alla luce di questa definizione notoriamente condivisa, appare difficile sostenere che in Occidente non si pratichino forme mutilatorie. La logica del

doppio standard riaffiora configurandosi come una posizione che rileva tracce di una

latente presenza imperialista. “Sex in Africa can be discussed as a cultural or multicultural issue. The imperialists are experts in separating sex from economics, politics, and power relation. In the name of diversity and cultural differences, they fail to recognize the danger in organization conferences on African culture, in which they watch African dances, listen to African music and songs, gaze to black female flesh, and enjoy sexual liberation in African brothels”.366 L’autrice denuncia il piacere dell’imperialismo di vedere e di consumare fino ad alimentare il controllo paternalistico degli individui, delle donne anche attraverso la pratica di mgf che diventava affare redditizio per l’imperialismo interessato a sostenere quelle forme di controllo sociale fino a giustificare le mgf come un fatto di appartenenza etnica che vede il corpo femminile depositario di valori e tradizioni.367

Bisogna riconoscere, come è stato precedentemente accennato, che “Per anni anche in Europa sono state accettate consuetudini che oggi ci farebbero rabbrividire: ovariectomia, clitoridectomia e cauterizzazione della clitoride con ferri roventi erano pratiche di routine – non esattamente ben motivate, dato che «curavano» isteria e onanismo – negli ospedali e nei manicomi del XIX secolo”.368 Oggi si assiste al diffondersi in occidente della chirurgia estetica genitale che rappresenta una forma di intervento mutilatorio e di modifica dell’integrità del corpo di una donna per motivi estetici, che possono riferire disagio e sofferenza nella donna. “Interventi sulle grandi e piccole labbra prevalentemente, non possono essere assimilati alle mutilazioni dei genitali femminili. Essi sono scelte da donne adulte ed in genere pienamente informate sull’intervento e sulle sue possibili conseguenze, persone che decidono con piena consapevolezza, seppure all’interno di modelli prescrittivi di bellezza che

366N. El Saadawi, Imperialism and Sex in Africa, cit., p. 25.

367 “Il concetto di etnia ha un lontano retroterra nell’idea naturalistica dell’uomo, come un ente dotato

di qualità e attributi metafisici, eterni, immutabili. È un retaggio della filosofia europea ritradotto a uso dei vinti” Fabieu Eboussi Boulaga, Autenticità africana e filosofia. La crisi del Muntu. Intelligenza, responsabilità, liberazione, Milano, Marinotti, 2007, p. 19.

368N. Rovelli, Antropologia della salute di genere. Le ferite simboliche sul corpo femminile, in

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fanno della «giovinezza» e della capacità seduttiva il tratto da preservare a qualsiasi costo”.369 La modifica della naturalità del corpo contempla, dunque, grazie alla sempre crescente capacità tecno-scientifica, molteplici possibilità, sovente posti a confronto con le mgf, come le pratiche di nullification, di body art e body

modification che vanno dall’implant (impianti di metallo o di silicone sottocutanei)

alla nullification (rimozione totale degli organi sessuali).370 La Sex cosmetic surgery diffusa in occidente, soprattutto negli Stai Uniti, pone la questione dell’ammissibilità di una pratica di modificazione dei genitali femminili per motivi terapeutici rendendo sottile e talvolta impercettibile la distinzione tra le mgf e i casi di chirurgia vaginale diffusi in occidente.371 Recentemente si è posto l'accento su pratiche come la

designer laser vaginoplasty o la laser vaginal rejuvenation, che rappresentano l'ultimo capitolo nella vittimizzazione delle donne nella nostra cultura.372

La pratica di mgf si presenta come un fenomeno fortemente stratificato, caratterizzato da sovrapposizioni sempre più sottili e dettagliate e da una varietà di interventi differenti per gravità e consistenza.373 Dalle interviste e testimonianze a cui è stato possibile accedere durante l’attività di ricerca, emerge una realtà profondamente articolata. Esiste un mosaico di microcontesti locali nei quali la pratica assume significati ed espressioni molto diverse sia a livello nazionale sia locale.

Per evitare pericolose semplificazioni riferibili alla complessa varietà del fenomeno, l’antropologa Fusaschi propone una ripartizione delle modificazioni genitali femminili in modo trasversale alle culture e non stigmatizzante per la cultura di appartenenza, secondo tre categorie descrittive indicate come: modificazione a carattere riduttivo (infibulazione, castrazione, sterilizzazione, deformazione dei piedi, ablazioni, peeling), modificazione a carattere espansivo (allungamenti, clitoride e labbra, dilatazioni vaginali, deformazioni stretching distensioni mammarie), ed ancora tutto ciò che non rientra tra le prime due categorie e che comporta modificazioni genitali (deflorazione rituale, pratiche abortive, tatuaggi, cutting, branding burning, scarificazioni). Un’altra modalità di classificazione delle forme di

369Cfr. C. Scoppa (a cura di), Mutilazione dei genitali femminili/escissione e salute in Conoscere per

prevenire, AIDOS libretto informativo, p. 21.

370 Si veda in merito M. Fusaschi, Corporalmente corretto, Roma, Meltemi, 2008.

371 F. Riggiero, MGF, ovvero un sentiero di decostruzione epistemologica, cit., p. 118-120.

372Cfr. R. M., Conroy,Female genital mutilation: whose problem, whose solution? in “British Medical

Journal”, 333, 2006, pp.106-107.

373 Sulle conseguenze psicologiche traumatiche delle donne sottoposte alla pratica infibulatoria si veda

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modificazione-mutilazione del corpo della donna dovrebbero seguire, sostiene l’antropologa, il criterio della volontarietà e\o grado di consapevolezza del soggetto nel sottoporsi.374 È rispetto a quest’ultima modalità di classificazione che il contributo che l’approccio delle capacità è in grado di offrire appare particolarmente rilevante.

Al di là delle forma mutilatoria operata, è possibile rintracciare un comune intento di praticare una consuetudine dovuta ad una costellazione di fattori che incidono in modo negativo sul well-being dell’individuo, e segnano, nel desiderio delle donne migranti, l’espressione di un percorso fallimentare di integrazione: laddove non si riesce a sperimentare un’integrazione nelle comunità d’arrivo, la pratica escissoria consente di non tagliare i legami e di integrarsi in qualche modo con quella di provenienza.375 Se i legami con la comunità di appartenenza costituiscono un fattore determinante delle scelte, si può affermare, a conferma che l’esperienza della migrazione può contribuire a rendere più dinamici i rapporti di appartenenza a vantaggio di una maggiore autonomia delle famiglia nelle scelte di vita dei propri membri, così da favorire una tendenza positiva verso l’abbandono della pratica, attraverso l’esempio di contesti alternativi: ci si riferisce ai casi documentati di donne di burchinabè, trasferitesi con le famiglie in Costa d’Avorio, dove la pratica di escissione è meno diffusa.

Molte delle recenti polemiche suscitate dalla discussione sulle mutilazioni genitali femminili, sono riconducibili alla tensione tra relativismo culturale e universalismo etico. Il relativismo culturale accoglie e rappresenta la posizione di coloro che, considerando la pratica espressione di un sistema più composito, sostengono una posizione pressoché tollerante. Parlare di pluralismo significa riconoscere che tale pluralità appartenga in modo intrinseco a ciò che è ritenuto di valore, giungendo alla conclusione che non sia possibile raggiungere un accordo, sebbene ciò costituisca un bisogno etico e sociale dell’individuo.376 Infatti quando le questioni etiche riguardano condotte culturali distanti, diventa difficile esprimere una comprensione di queste, in mancanza di quei valori che possono caratterizzare gli individui coinvolti. Nel panorama della riflessione etica contemporanea, anche la posizione assunta Bernard

374 M. Fusaschi, I segni sul corpo, Bollati Boringhieri editore s.r.l. Torino, 2003, pp. 40-42. Si veda

anche M. Fusaschi, Corporalmente corretto, Roma, Meltemi, 2008, pp. 25-31.

375Cfr. M. Fusaschi, I segni sul corpo, cit., p. 109. Si veda anche M.L. Ciminelli, Le mutilazioni

genitali femminili: equivoci etnografici e distorsioni antropologiche, in “L’arco di Giano”, 26, 2000, pp. 106-108.

376B. Williams, Conflitto tra valori in B. Williams (a cura di), Sorte morale, Milano, Il Saggiatore,

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Williams, appare sensibile alle istanze del relativismo nelle circostanze, in cui esista, sebbene apparentemente, una distanza spaziale o temporale molto grande fra tradizioni e gruppi morali diversi, che implicherebbe la difficoltà di accesso reciproco e di traduzione di una concezione culturale tradizionale in una differente. Si potrebbe fare affidamento al relativismo della distanza che tuttavia non ci protegge dal fatto di non poter ignorare una questione presente nella quotidianità della nostra società complessa. La tesi espressa da Williams del relativismo della distanza, riconosce tuttavia la possibilità che questa distanza culturale possa via via assottigliarsi in relazione ad un incremento dei contatti interculturali. Martha Nussbaum si spinge oltre, sostenendo che esistano esperienze umane storicamente connotate che ci permettono di comprendere la possibilità storica dell’universalismo che si esprime come comunanza di aspetti importanti della vita riscontrabili in ogni individuo.

La pratica dell’escissione femminile sembra emblematica delle questioni etiche che si generano in seno all'attuale pluralismo delle società contemporanee. Pluralismo e relativismo sono aspetti che si integrano in una complessità argomentativa aperta, come quella che si riferisce alla consuetudine socio-culturale delle mgf. L'escissione femminile manifesta l’espressione di una lapalissiana forma di violazione dell’integrità psico-fisica della donna, esigendo la necessità di interventi correttivi e repressivi a tutela del soggetto esposto alla vulnerabilità. Eppure si rischia di trascurare un aspetto innegabile, confermato dalle interviste a soggetti direttamente interessati dalla pratica, come elemento rilevante per comprendere il ruolo della donna in questa consuetudine. Si tratta di comprendere il valore simbolico di questo genere di mutilazioni e la portata di integrazione sociale connessa al perpetuarsi dei rituali e all’occasione di appartenenza che questi rappresentano per la donna. Da questo punto di vista, una riflessione più composita, quella offerta dal discorso sulle capacità, potrebbe forse procedere dalla constatazione che forme di incapacitazione indotte dalle consuetudini tradizionali a danno delle donne, comprese quelle che investono le mutilazioni genitali, non sono estranee neppure al passato recente delle società occidentali. Questa indagine solleva un insieme di problematiche attinenti, non tanto a quali valori possiamo tollerare ma a come dobbiamo operare nella definizione dei profili assiologici ed identitari, a come dobbiamo gestire il rapporto con le nostre identità multiple e con i valori tradizionali.

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La pratica della mgf solleva anche una conflittualità di valori riconducibile allo sguardo prospettico attraverso cui si osserva una pratica di modifica del corpo, che si configura come espressione dei valori identitari di una comunità e allo stesso tempo come lesione dell’integrità fisica della persona. Per molte donne africane, sottoporsi alla pratica di escissione-infibulazione significa essere riconosciute nella dignità di donne ed essere rispettate nella comunità di appartenenza, in modo da garantirsi una vita sociale e matrimoniale che altrimenti sarebbe compromessa. La questione etica assume un carattere ancora più complesso nella società globale, dove la pratica tradizionale tende a essere delocalizzata, ponendo il problema di essere giustificata in contesti distanti ed estranei dalle culture tribali tradizionali che si presume l’abbiano generata. Le mgf esprimono sul piano antropologico un ordine variegato di fattori che ne alimentano le ragioni. Ciò non avalla tuttavia la possibilità che su un piano relativistico sia possibile accogliere e condividere le ragioni dell’escissione. “Diverse osservazioni sembrano concordare sul fatto che l’elemento iniziatico sia in regresso, e che le MGF avvengano con sempre maggiore frequenza in una situazione ormai avulsa dai possibili significati antropologici originari, per conservarsi come abitudine o come strumento di controllo sulla donna”.377

Oggi, in modo particolare le migrazioni e il fenomeno delle relazioni in un contesto globalizzato, permette di agevolare i contatti tra realtà e culture differenti, favorendo quel confronto inter-culturale, lo sviluppo di quelle valenze educative che possono risultare trasformative in ogni cultura. Tale confronto favorisce la possibilità che gli atteggiamenti da cui si declina il controllo della corporeità e della sessualità femminile, possano permettere di indirizzare le varie soluzioni proposte non tanto ad un modello uniforme della vita sociale, quanto ad una interpretazione pluralistica che ponga attenzione da una parte al valore simbolico della pratica e dall’altra al nesso tra valori rinunciabili e valori negoziabili. Riflettere nei termini di un’etica pluralista significa oggi, in un contesto sociale caratterizzato da complessità, tenere conto dunque insieme di valori rinunciabili e di valori negoziabili, che l’individuo pone come base di una formazione identitaria in fieri, certamente espressa anche come appartenenza culturale.

La libertà culturale richiede la tutela delle pratiche tradizionali, e perciò

potrebbe esserci una contraddizione tra il riconoscimento della diversità culturale e

377 M. Mazzetti, Cenni storico-antropologici, in M. Mazzetti (a cura di), Senza le ali. Le mutilazioni

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altre priorità dello sviluppo umano, come il progresso nello sviluppo, nella democrazia e nei diritti umani. Con queste parole Amartya Sen introduce il suo

intervento nel Report 2004 sullo Sviluppo Umano378 dove la libertà culturale si configura come ampliamento delle scelte individuali, e non nel mero mantenimento fine a se stesso di valori e pratiche che dimostrano una devozione assoluta verso la

tradizione. La libertà è una condizione che impone la possibilità di essere esercitata

in quanto tale. Ancora una volta Sen focalizza la sua riflessione sulla libertà culturale come capacità autonoma di scelta: “La libertà non può essere scissa dalla possibilità di scegliere, o almeno dal considerare in che modo verrebbe esercitata una scelta se questa fosse possibile. Il problema centrale nel discorso sulla libertà culturale è dato dalla capacità delle persone di vivere in base alla loro scelta, con adeguate possibilità di prendere in considerazione altre opzioni. Quando nessuna scelta -reale o potenziale- viene effettivamente presa in considerazione è difficile poter invocare il peso normativo della libertà”.379 Un’obiezione che coglie molte criticità in seno alla possibilità di liquidare la pratica di mgf come espressione della libertà di seguire una consuetudine culturale tradizionale che come tale andrebbe tollerata. Sen è poi fiducioso nel fatto che gli individui, specie coloro che fanno del dialogo interculturale un’occasione di conoscenza, possano esercitare la capacità di favorire il cambiamento e di riformare le proprie tradizioni e il proprio stile di vita, senza rinunciare completante alla propria specificità identitaria.

Un errore frequente che si verifica nel trattare le questioni del multiculturalismo e delle culture tradizionali che promuovono al loro interno pratiche dannose per la persona, è, come fa notare tra gli altri anche Susan M. Okin, la tendenza a considerare la cultura e la società che la incarna come entità sostanzialmente cristallizzate, prive di difformità al loro interno e incapaci di avviare significativi cambiamenti. Le società sono invece dinamiche e le culture mutano con esse. Tale errore si registra di frequente quando ci si accosta a problematiche apparentemente estranee e lontane dalla nostra cultura che si conoscono in modo superficiale e periferico, sulla base di una erronea valutazione delle culture altre come realtà stabili, fuori del tempo, pre-moderne, verso le quali si rende opportuno agire in modo paternalistico, a difesa delle donne e di tutte le categorie sociali verso cui attuare un

378 Si veda A. Sen, La libertà culturale e lo sviluppo umano, cit., pp. 17 e ss. 379Ivi, p. 23.

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progetto di salvezza che l’imperialismo neocoloniale, afferma Nawal El Saadawi, ha adottato come strategia di controllo.380

Tra le controversie più accese che la discussione sulla pratica trascina con sé è certamente diffusa quella di neocolonialismo e di imperialismo nella stigmatizzazione e nella condanna della pratica. Una legislazione formale sulla pratica infibulatoria era stata formulata in Sudan già nel 1946, quando nel sud del Sudan veniva promulgata la prima legge in pieno clima coloniale tanto che l’iniziativa veniva recepita dalla popolazione come forma di imposizione della politica coloniale. La legge veniva poi riformulata a partire dal 1974 con l’articolo 284 del codice penale del Sudan, sebbene si affermava che “it is not an offende merely to remove the free and projecting part of the clitoris”.381

Non è possibile negare come in molta letteratura critica il discorso coloniale sia stato connesso a quello della liberazione della donne da forme di oppressione culturalmente estranee: una logica che la pratica delle mutilazioni genitali femminili incarna complessivamente.

L’approccio delle capacità indagato dalla Nussbaum, solleva questioni che oscillano tra libertà individuali e tutele paternalistiche. Si tratterebbe dunque di rivendicare la liberà di una scelta, se così può essere definita quella delle mutilazioni genitali femminili, che sia innanzitutto informata. Il processo di emancipazione qui invocato invoca un percorso politico, a riprova del fatto che Nussbaum quando affronta il problema delle donne indiane come Vasanti, solleva questioni che possono essere riferite ad ogni donna in condizioni di degrado persistente, riferendosi ad un processo di affrancamento di questa che passa attraverso la politica, la capacità di costituirsi in cooperative, di avviare progetti di sostentamento e di integrazione.382 Martha Nussbaum indirizza la riflessione anche verso la pratica della dote e dei matrimoni precoci che investe anche la complessa realtà delle donne indù, facendo riferimento alla riforma indiana delle donne avvenuta negli anni ’50 che rese illegale

380N. El Saadawi, Imperialism and Sex in Africa, cit., pp. 23-25. Bisogna riconoscere che in alcuni

paesi africani, come il Kenya, la clitoridectomia stava cadendo in disuso, quando i nazionalisti la fecero tornare in voga come elemento di rifiuto del colonialismo britannico.

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