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La filosofia pratica di Martha Nussbaum intende proporre un universalismo

sensibile alle differenze in cui si possa instaurare sul fronte dei diritti, un dialogo tra

diritto alla differenza e rispetto per le tradizioni culturali, diritto all’integrità fisica e salvaguardia della capacità di partecipazione sociale. Controversie che la nostra società multietnica deve affrontare, tentando di far dialogare la ricerca di valori comuni e il riconoscimento di valori differenti.

In questa discussione che guarda al riconoscimento della condivisibilità di un’idea intuitiva di essere umano, pur nella convinzione che i valori etici siano fortemente relativi ad una connotazione di tipo storico, poiché i punti di vista in qualche modo parziali e influenzati dalla cultura celano “privazioni o arricchimenti che riguardano gli esseri umani in quanto tali, indipendentemente dalla loro concezioni valutative e dai loro stili di vita”.470 Si tratta adesso di sottoporre all’etica delle capacità forme di vita e pratiche che ostacolano o violano la possibilità per l’individuo di perseguire

468Stralci di interviste di donne immigrate in Sicilia che hanno subito forme di mutilazioni type I-III.

Cfr. R. Lo Baido, S. LA Grutta, E. Profeta, G. Schiera, Mutilazioni Genitali Femminili (MGF): echi nella mente di cicatrici sul corpo, cit., pp.184 e ss.

469Cfr intervista n. 17 in D. Carillo – N. Pasini (a cura di), Migrazioni Generi Famiglia. Pratiche di

escissione e dinamiche di cambiamento in alcuni contesti regionali, cit., p. 54.

470P. Donatelli, Valore e possibilità di vita: Martha Nussbaum, cit., p. 105; anche M. C. Nussbaum,

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l’ideale di una vita pienamente dispiegata, per indagare quale siano i fattori moralmente significativi che permettano di definire una concezione di vita eticamente accettabile o esposta alla perdita di dignità, riconoscendo un percorso trasversale alle culture ed alle singole appartenenze. Nell’approccio delle capacità si riconosce la possibilità di concezioni di vita incommensurabili, poiché la diversità culturale rappresenta una prerogativa che coinvolge tutte le culture anche quella occidentale, come fa notare Sen, la cui teoria dell’identità viene più volte assunta da esperti in prima linea nella ricerca sulle pratiche tradizionali nocive come le mgf.471 La difficoltà di promuovere tra gli individui uno scambio interculturale permette di riscoprire, l’esigenza che il dialogo tra le culture non possa essere il risultato di

un’osservazione esterna dei singoli punti di vista morali, ma deve partire dal riconoscimento della cogenza dei valori in discussione. Il punto di vista dal quale

giudicare uno stile di vita dev’essere partecipante alla comunità, come fa notare Silvia Mocellin.472

“Cittadini che coltivano la propria umanità devono concepire se stessi non solo come membri di un gruppo, ma anche, e soprattutto, come esseri umani legati ad altri esseri umani da interessi comuni e dalla necessità di un reciproco riconoscimento”.473 Tale visione trova parziale condivisione anche nella filosofia di Amartya Sen che, nel sostenere un pluralismo etico fondato sulla libertà, asserisce che: “persone diverse possono avere modi diversissimi di interpretare le idee etiche, comprese quelle sulla giustizia sociale; senza contare che possono non avere affatto idee chiare in materia. Ma le idee di giustizia fondamentali non sono estranee a degli esseri sociali […]. Si tratta solo di usare in modo sistematico, rigoroso ed efficace interessi di natura generale che possediamo comunque”.474 Tra questi la libertà che acquisisce in Sen una dimensione universalistica di grande forza.475 Il fascino di una prospettiva universalista non permette tuttavia di trascurare il paventato rischio di riabilitare una visione imperialista e filo-occidentale che proietti verso un’apparente prospettiva di

empowerment, lo spettro di una concezione subalterna dell’alterità, adottata per

471 A. Morrone, Immigrazione e modificazione dei genitali femminili in “Rivista Italiana di Ostetricia e

Ginecologia”, 11, 2006, pp. 581-582.

472 S. Mocellin, La “filosofia dello sviluppo” di Amartya Sen: l’individuo tra eudaimonia aristotelica

e “simpatia” smithiana in Bollettino della Società Filosofica Italiana Rivista Quadrimestrale Nuova Serie n. 186 - settembre/dicembre 2005, p. 33.

473M. C. Nussbaum, Coltivare l’umanità. I classici, il multiculturalismo, l’educazione contemporanea,

cit., p. 25.

474A. Sen, Lo sviluppo è libertà. Perché non c'è crescita senza democrazia, cit., p. 261. 475Ivi, p. 244.

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troppo tempo da un occidente colonialista.476 La vera sfida per l'universalismo è caratterizzata dal riconoscimento della diversità culturale che impone una particolare sensibilità verso tradizioni differenti e contesti quotidiani complessi, evitando il concreto rischio di adottare una deriva paternalistica.

La pretesa universalistica rischierebbe di forzare unilateralmente la libertà di scelta delle donne oppresse, pretendendo di conoscere le preferenze delle donne coinvolte, sulla base dell’idea che una vita non mutilata sia preferibile ad una mutilata, ma il rischio di promuovere un universalismo formale e privo di consapevolezza delle singole esistenze, rappresentava negli anni in cui si avviava il dibattito multiculturale sulla vita delle donne, il tallone d’Achille di una prospettiva etica arrogante, miope e irrispettosa, tanto da allontanare lo stesso discorso femminile dalle istanze universaliste.

La presente discussione emerge come tentativo di conciliare il difficile rapporto tra la particolarità di una situazione contestuale con l’universalità del discorso morale avallato dall’etica delle capacità, in modo da superare, come fa notare Luisella Battaglia, certi esiti imputabili al multiculturalismo del politicamente corretto che di fatto avalla istanze inaccettabili come la pratica dell’infibulazione, del matrimonio combinato o del bride price. Per evitare errori grossolani di paternalismo, bisogna innanzitutto volgere uno sguardo critico verso le proprie tradizioni e i propri valori, come suggeriscono Okin e Nussbaum, in un acceso dibattito sulla vita delle donne, e porsi in una prospettiva relazionale e disponibile alla contaminazione e al confronto effettivamente dinamico e inesauribile. Bisogna infatti superare l’idea che ogni cultura sia depositaria di valori specifici incomunicabili fuori di sé, una tale convinzione rischierebbe di assumere un’idea monolitica della cultura in cui uniformità ed omogeneità siano il carattere dominante. Questa visione infondata della cultura, sarebbe espressione di un relativismo dell’isolamento e di un universalismo che esprime la pretesa in ogni cultura di considerare una certa convinzione non contestuale ma espressione di un’universalità condivisa. La distribuzione geografica delle comunità che praticano una forma di mutilazione dei

476 Cfr tra i teorici si veda G. C. Spivak, Critica della ragione postcoloniale, Roma, Meltemi, 2004, p.

306-308. L’autore rileva la posizione ambigua sia dell’élite britannica rispetto alla pratica del sati, ambiguità riscontrata anche nell’élite coloniale indigena che emerge nella romanticizzazione nazionalistica della purezza, della forza e dell’amore di queste donne che si sacrificavano. Spivak riprende la convincente posizione di Sen nel ritenere che parlare di sviluppo umano significhi nei paesi del sud del mondo innanzitutto sostenere l’istruzione e i finanziamenti che ne rendono possibile la realizzazione piuttosto che marginalizzare una risorsa che viene notoriamente ritenuta ad esempio dalla banca mondiale improduttiva.

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