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IV: Un discorso universalistico sensibile alle differenze: il caso delle mutilazioni genitali femminili.

IV.I Sulla corporeità.

IV. 3 Origini storiche e fenomenologia della pratica.

“Ogni anno, tre milioni di bambine e di donne sarebbero sottoposte ad escissione o mutilazione genitale, una pratica pericolosa e potenzialmente fatale che provoca dolore e sofferenze indicibili”.328 Il termine mutilazione è stato adottato nella terza Conferenza del Comitato inter-africano sulle pratiche tradizionali che riguardano la salute delle donne e dei bambini, tenutasi ad Addis Abeba nel 1990, lo stesso anno in cui il termine veniva raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come forma da utilizzare nell’ambito delle politiche attive in seno alle Nazioni Unite.329 La mutilazione genitale femminile, solitamente espressa con la sigla mgf, dagli anni settanta sostituisce il termine circoncisione femminile, per sottolinearne una specificità di genere riferibile ai danni irreversibili sulla salute delle donne.

327M.C. Nussbaum, L’intelligenza delle emozioni, cit., pp. 19-20. La valorizzazione delle emozioni

come nuovo paradigma della riflessione morale si inserisce nella prospettiva della valorizzazione dei sentimenti di socialità e di empatia che accrescono la capacità di agire etico; sul ruolo delle emozioni, il grande assente, nella rielaborazione della riflessione etica si veda anche L. Battaglia, Bioetica senza dogmi, p. 214.

328Unicef, Changing harmful Social Convention: female genital mutilations/catting, Innocenti Digest

2005, trad. It. p.7 http://www.unicef-irc.org/publications/pdf/fgm-i.pdf

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Atteggiamento comune delle istituzioni internazionali impegnate in prima linea nell’affrontare la pratica di mgf, appare quello di non utilizzare l’espressione circoncisione femminile perché fuorviante motivo di comparazione con la pratica maschile, dal momento che, a differenza di questa, si tratta di un’amputazione grave ed igienicamente non conveniente.330 Tale accezione negativa del termine ha tuttavia suscitato non poche perplessità. Inevitabilmente, il problema delle mgf fa scontrare duramente due sistemi di riferimento culturali: da una parte, le mgf sono interpretate come delle mutilazioni responsabili di danni anatomici con complicanze potenzialmente mortali; dall’altra, non si può trascurare che nella tradizione delle culture in cui le mgf sono praticate, lungi dall’essere considerate un atto di violenza sul minore, si distinguono come un segno di attenzione, cura e amore della famiglia verso la bambina, un segno che sottolinea l’appartenenza definitiva ad un gruppo e permea l’identità dell’individuo.331 Sebbene l’OMS condanni la pratica come non terapeutica e nociva per la salute della donna, dal punto di vista delle culture tradizionali si tratterebbe di un atto di cura verso le giovani donne eseguito da altre donne: la presenza femminile declinata nella forma di legami parentali e familiari, risulta schiacciante per le donne, responsabili nella sfera privata e coinvolte nel ruolo di protagoniste delle iniziative mutilatorie.

Le pratiche di mutilazione eseguite sui genitali di molte donne sono da alcuni decenni oggetto del dibattito nazionale e internazionale, che si è articolato in modo sempre più complesso con il progressivo accrescersi del fenomeno migratorio nei paesi occidentali, configurandosi come questione chiave dei diritti umani che vedono in primo piano l’empowerment delle donne.332 Tale fenomeno è stato inizialmente percepito in Occidente, seppure in modo distorto, come il termine di uno scontro di

330Cfr. D. Atighetchi, La mutilazione genitale femminile come problema di sanità pubblica,cit., p.

177. L’autore si sofferma nell’analisi delle conseguenze riferibili alla pratica indicando danni rilevanti a breve e lungo termine sia sul piano psichico e psicosessuale sia a livello fisico, puntualizzando la specificità femminile della pratica nociva. Cfr anche G. Zwang, Functional and erotic consequences of sexual mutilations, in C. Denniston-M. F. Milos, Sexual mutilations. A human tragedy, New York, Plenum Press, 1997, pp. 66-67. La forma linguistica con cui definire le mgf appare controversa; l’espressione femal genital mutilation tradotta in italiano con la sigla MGF è stata adottata dall’Onu e da altre agenzie non governative, sebbene fino agli anni novanta si affermava l’espressione femal genital cutting che fa riferimento all’atto del tagliare senza assumere giudizi di merito. Anche S.K.Hellsten, Rationalising Circumcision: Fromm Tradition to Fashion, from Public Health to individual Freedom. Critical Notes on Cultural Persistence of the Practice of Genital Mutilation, in “Journal of Medical Ethics”, 30, 2004, p. 250.

331Cfr. R. Lo Baido et al., Il fenomeno delle Mutilazioni Genitali Femminili (MGF): studio clinico e

psicopatologico su un gruppo di immigrate in Sicilia, cit., p 231.

332Cfr. Ministero degli affari esteri, Linee guida per uguaglianza di genere e l’empowerment delle

donne,2010,pp.19ess.

http://www.cooperazioneallosviluppo.esteri.it/pdgcs/documentazione/PubblicazioniTrattati/2010-07- 01_LineeguidaGenere.pdf

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civiltà, alimentato dall’estraneità di valori incommensurabili, nel difficile confronto con culture altre. Nel discutere di questa pratica bisogna certamente vagliare molte questioni, per non cadere nell’errore di una critica pregiudiziale. Si tratta di questioni che coinvolgono in primo luogo le diverse modalità di attuazione della mutilazione genitale che può comportare compromissioni lievi ed in altri casi molto gravi.

La questione delle pratiche di escissione/infibulazione irrompe nell’occidente come fenomeno non recente, ma di recente rilevazione da parte della società e del personale sanitario, che per primo ha dovuto far fronte ad una delicata questione di vita delle donne. La pratica di mgf indica la modificazione dei genitali femminili che l'OMS classifica in quattro forme: dall’escissione (meno invasiva) all’infibulazione che rappresenta la forma più violenta di mutilazione genitale (type III).333 “Il tipo di intervento mutilatorio imposto varia a seconda del gruppo etnico di appartenenza. Il 90% delle MGF praticate è di tipo escissorio (con taglio e/o rimozione di parti dell'apparato genitale della donna), mentre un decimo dei casi si riferisce all'azione specifica della infibulazione, che ha come scopo il restringimento dell'orifizio vaginale e può a sua volta essere associato anche a un'escissione”.334 Le mgf vengono praticate in molte parti del mondo, con un’incidenza significativa nell’Africa sub- sahariana pari al 50%-90% della popolazione femminile. Secondo i dati disponibili, seppure approssimativi, le pratiche di mgf coinvolgono ancora oggi 130 milioni di donne nel mondo ed in Europa il fenomeno si attesta intorno alle 500.000 donne che sono state sottoposte alla pratica e sono 8000 ogni anno le minori a rischio. Il fenomeno pare tuttavia ridimensionarsi negli ultimi anni, secondo i dati elaborati da

Save the children che registra un calo del 5% di minori a rischio di essere sottoposti a mgf,335 sebbene conservi una forza espressiva che solleva sul piano etico molteplici quesiti.

La pratica delle mutilazioni genitali delle donne risale nel tempo alla tradizione antica, seppure appare difficile collocarne l’origine con adeguata precisione ed

333L’OMS con il dossier: Eliminating female genital mutilation–An interagency statement (OHCHR,

UNAIDS, UNDP, UNECA, UNESCO, UNFPA, UNHCR, UNICEF, UNIFEM, WHO Female Genital Mutilations, 2008, p. 391. Il document conferma la suddivisione delle MGF in 4 tipi, aggiornandone però la descrizione e ponendo l’accento sulle numerose forme intermedie tra un tipo e l’altro. Cfr. Tabella 4 in appendice relativa a TIPOLOGIA DI E/MGF E INCIDENZA SULLA POPOLAZIONE FEMMINILE COMPLESSIVA.

334Per una ricognizione sui diversi interventi mutilatori si veda il Report su “Valutazione quantitativa

e qualitativa del fenomeno delle mutilazioni genitali in Italia”, Istituto Piepoli e Ministero delle pari opportunità, 2009, pp. 7 e ss.http://www.report_mgf_piepoli.pdf

335Cfr. A. Menonna, Stime e proiezioni per quantificare il fenomeno delle modificazioni/mutilazioni

genitali femminili, in D. Carillo – N. Pasini (a cura di), Migrazioni Generi Famiglia. Pratiche di escissione e dinamiche di cambiamento in alcuni contesti regionali, Milano, Franco Angeli, 2009, p 389.

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attendibilità.336 Secondo alcuni studiosi è possibile individuare tracce nell’antico Egitto, come testimonierebbe l’espressione circoncisione faraonica. Il termine infibulazione, dal latino fibula, rievoca la funzione di una spilla che nell’antica Roma veniva usata per fissare la toga ma che veniva anche applicata ai genitali degli schiavi per impedirne l’attività sessuale. Tra le fonti reperibili, Erodoto attesta la diversità dei costumi egizi, testimonia la particolare attenzione che i sacerdoti egizi avevano per la nettezza del corpo, affermando che presso quell'antico grande popolo

[gli egiziani] si circoncidono le pubende per motivo di nettezza.337 Lo storico

riferisce che l’escissione veniva praticata oltre che dagli egizi, dai fenici, dagli hittiti, dagli etiopi.338 In epoca successiva, Stradone, geografo e storico greco, scrive: “E’ questa una delle tradizioni seguite con maggiore premura: […] circoncidere i maschi e praticare l’escissione alle femmine”.339 Anche testimonianze più recenti, attestano che tra il 1700 e il 1800 in alcuni paesi dell’occidente moderno si praticava una forma di mgf. In Francia, Germania e Inghilterra era ben nota la clitoridectomia terapeutica connessa a disturbi celebrali e nervosi che potevano manifestarsi a livello diagnostico come epilessia, nervosismo, isteria; una prassi terapeutica che aveva interessato anche Sigmund Freud. “Da molto tempo abbiamo compreso che lo sviluppo della sessualità femminile viene complicato dalla necessità di rinunciare alla zona genitale originariamente direttiva, la clitoride, per una nuova zona, la vagina”.340 Con queste parole Freud, nel suo studio sull’identità sessuale, sosteneva infatti che “l’uomo ha solo una zona sessuale direttiva, un organo sessuale, mentre la donna ne possiede due: la vagina, propriamente femmine, e la clitoride, analoga al membro maschile. […] Nello sviluppo della femmina vi è come un processo di trapasso da una fase all’altra, di cui non vi è nulla di analogo nel maschio. Un’ulteriore complicazione sorge dal fatto che la funzione della «virile» clitoride continua nella successiva vita sessuale femminile in una forma molto mutevole e

336La questione dell’origine della pratica è secondo Pasquinelli un falso problema in quanto difficile

da rintracciare rischia di ostacolare la comprensione della pratica e della sua presenza oggi. Cfr. C. Pasquinelli, Donne africane in Italia. Mutilazioni genitali femminili, identità di genere e appartenenza etnica, in “Questioni di giustizia”, 3, 2001, p. 491.

337Erodoto, Historiae, II, 37, in A. Colonna-F. Bevilacqua (a cura di), Le Storie, I, Torino UTET,

2006, p. 321.

338Ivi, 35-37, pp. 319-320. Lo storico greco parla di un antico grande popolo, egiziano, presso il quale

si circoncidono le pudende per motivo di nettezza. Lo storico evidenzia la particolarità dei costumi egiziani e alle prescrizioni dovute alla loro religione. Tra le testimonianze presenti nell’antico Egitto emerge una tomba a Saqqara della sesta dinastia (2340-2180 a.C.)

339Strabone, Geographica, XVII, 2.5, in N. Biffi (a cura di), Geografia. Egitto, Etiopia, Libia, Milano,

Biblioteca Universale Rizzoli, 1988, p. 67.

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certo non ancora compresa in modo soddisfacente”.341 Dariusch Atighetzchi, docente di bioetica islamica, ha affrontato come tale consuetudine si sia espressa nel contesto occidentale come prassi terapeutica negli ospedali psichiatrici eseguita fino agli anni ’40 del novecento, allo scopo di guarire le persone dal nervosismo e da eccessivi desideri sessuali.

La topografia della pratica appare presente in molti territori, sebbene in modo discontinuo. Nel suo articolo, il bioeticista Atighetchi pone l’accento sulla rilevanza di un tema che è stato e continua ad essere oggetto di attenzione da parte di organismi nazionali e internazionali, data l’ampiezza del fenomeno e la complessità di un intervento che coinvolge molteplici aspetti della vita: sociali, religiosi, etici e giuridici, coinvolti in queste consuetudini. “La mutilazione genitale femminile è tutt’ora diffusa in parecchie aree del pianeta dall’Africa (la maggioranza dei casi) all’Asia (si stima che anche alcuni paesi asiatici siano interessati dal fenomeno delle mgf si paesi a Indonesia, Malesia e alcune regioni dell’India), dall’Australia al sud America. La clitoridectomia sembra la tecnica di gran lunga prevalente […] seguita dall’infibulazione”.342

L’area geografica dove maggiormente si concentra il fenomeno, rappresentata dall’Africa sub-sahariana, coincide con un territorio dove, secondo l’analisi riportata nel Report 2004 sullo Sviluppo umano, prodotto secondo la linea direttiva tracciata dall’approccio delle capacità, si registra per i 38 paesi compresi nell’area di riferimento, la necessità di intervento urgente e prioritario poiché si tratta di territori accomunati da bassi livelli di sviluppo rilevati secondo i parametri ISU.343 L’Arab

Human Development Report 2004, ha individuato in particolare un deficit di libertà

gravante nella regione araba con un’incidenza più significativa rispetto alle altre regioni mondiali. La ragione di questo deficit non sembra legata agli abitanti degli stati arabi o a una cultura antidemocratica: alcuni studi hanno dimostrato che nei

paesi arabi vi sono altrettante persone, se non di più, convinte che la democrazia sia la miglior forma di governo che in qualsiasi altra parte del mondo, Stati Uniti ed Europa compresi. Nel report si sostiene che tale condizione sarebbe da ricondurre

341Ivi, pp. 40-41. Anche Nawal El Saadawi, medico egiziano esperto della pratica di mgf, denuncia

come tale prassi fosse conosciuta ed esercitata in occidente fino ai primi del Novecento e che Freud avesse promosso la pratica per favorire la negazione funzionale della clitoride. Cfr. N. El Saadawi, Imperialism and Sex in Africa, in O. Nnaemeka (a cura di), Female Circomcision and the politics of knowledge. African women in imperialist discourses, USA, 2005, p. 22.

342D. Atighetchi, La mutilazione genitale femminile come problema di sanità pubblica, cit., p.176. Per

una ricognizione del fenomeno nei territori asiatici si veda www.state.gov/g/wi/rls/rep/9276.htm

343United Nations Development Programme, Human Development Report 2004, La libertà culturale

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alla mancanza di apertura alle idee e alla cultura provenienti dall’esterno della regione la causa del deficit di libertà.344

Viene di seguito riportata in Fig.1 una rappresentazione dell’incidenza della pratica di mgf nei territori africani dove si registra che 91,5 milioni di donne sono state sottoposte ad una forma di intervento mutilatorio e che ben 3 milioni sono le minori a rischio ogni anno.345

Fonte: elaborazione dati da OMS e ONU sulla base del Demografic and health

survey (DHS 2005).

344 L’approccio delle capacità suggerisce una prospettiva che guarda alle singole nazioni come punto

di indagine comparativa che ha un rilievo morale e una valenza funzionale, sebbene venga utilizzato per considerare regioni sovranazionali, come nel caso dello Arab Development Report che considera un’area territoriale più vasta secondo una categoria identitaria ampia, adeguata per comprendere un fenomeno come quello delle mgf che incidono a livello della tradizione araba sia di religione islamica sia di religione cristiana.

345Report 2009, Valutazione quantitativa e qualitativa del fenomeno delle mutilazioni genitali in

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