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Nel gennaio del 1888 avrebbero avuto inizio le celebrazioni per il cinquantesimo anniversario dell’ordinazione sacerdotale di Leone XIII. Di esse parlerò meglio nel prossimo capitolo, basti qui dire che nel dicembre del 1887 molti Cattolici partirono alla volta di Roma. Tra questi vi erano anche mons. Walsh, il duca di Norfolk e il capitano Ross. Fu così che per alcuni mesi Roma fu il campo di gioco della ‘partita’ che andava disputandosi fra i fautori dell’alleanza tra 129 Ibidem, f. 138r. 130 Ibidem, f. 140v. 131 Ibidem, f. 142v. 132

Chiesa e movimento nazionalista irlandese e coloro che vi si opponevano. Significativamente Emmet Larkin133 dedica un capitolo a questa fase che va dal dicembre 1887 all’aprile 1888, intitolandolo Roman Interlude134

La relazione di mons. Persico fu dunque l’ultimo atto significativo della sua missione in Irlanda, anche se formalmente essa continuò ancora diversi mesi. Avendo ripercorso le tappe di questa missione faremo ora qualche considerazione, partendo proprio da quel che produsse, ovvero dalla relazione.

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Ritengo che sia stata complessivamente un buon lavoro, nonostante diverse pecche. I primi due elementi che alla lettura colpiscono negativamente sono il pregiudizio anti-democratico e anti- liberale, che porta l’autore a giudicare in maniera molto sfavorevole il movimento nazionalista, ed un’eccessiva fiducia nei confronti di ciò che la Chiesa avrebbe potuto fare per alleviare la situazione.

Ambrose Macaulay135

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E. Larkin, The Roman Catholic Church and the Plan of Campaign, cit., pp. 147-194.

nel leggere la relazione attribuisce grande importanza al background culturale del Commissario apostolico: nato e cresciuto in un Regno assolutista quale quello delle Due Sicilie, contagiato dai sentimenti fortemente anti-democratici che circolavano fra i religiosi italiani dopo l’esperienza risorgimentale, non avrebbe potuto guardare con simpatia ad un movimento come quello guidato da Parnell. Certamente il background culturale di mons. Persico non è da trascurare, basti pensare a quanto scriveva riguardo alla cattiva influenza che avevano in Irlanda le idee provenienti da America e Francia: democrazia, liberalismo e peggio ancora socialismo dovevano essere parole a lui particolarmente sgradite. Ma non credo che il suo duro giudizio sul movimento di Parnell sia esclusivamente da ricondurre a questo. Innanzitutto anche un ecclesiastico contemporaneo troverebbe molto da ridire su una pratica quale il Boycotting, e non stupisce che egli l’abbia giudicata contraria alla carità cristiana. Per quanto riguarda il Plan

of Campaign, nel 1887 la posizione della Chiesa sulla questione sociale era ancora molto cauta,

solo quattro anni dopo sarebbe stata emanata l’Enciclica Rerum Novarum con le prime aperture al riguardo. Se la Chiesa ancora non riconosceva la legittimità dei sindacati, né degli scioperi, difficilmente un rappresentante del Papa avrebbe potuto dare un giudizio positivo riguardo alla

National League e al Plan of Campaign. Infine a tal proposito occorre notare che mons. Persico

si era recato in Irlanda mostrandosi disponibile ad incontrare tutti, era andato pure in visita dal

Lord Lieutenant, che aveva poi definito orangista di primo conio, eppure non risulta abbia mai

incontrato esponenti di spicco del partito nazionalista, come Dillon o O’Brien. Non si può

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Interludio romano.

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escludere che il Commissario apostolico non si sia dimostrato disponibile ad incontrarli ma se, come appare più probabile, questi preferirono non farsi avanti, persero un’occasione per spiegare le proprie ragioni a mons. Persico. Se ciò avrebbe poi modificato le sue opinioni non è dato saperlo, probabilmente no, ma forse avrebbe ammorbidito un poco il suo giudizio sui ‘politicanti’. Bisogna poi ricordare che, se il Commissario apostolico non fu tenero nel giudicare il movimento nazionalista, non fu da meno nel giudicare l’amministrazione britannica.

Riguardo all’eccessiva fiducia nell’azione che la Chiesa avrebbe potuto compiere per migliorare la situazione, è da notare che nella relazione non si fa cenno alla posizione di isolamento in cui si venne a trovare il cardinale MacCabe per la sua opposizione al movimento di Parnell, né agli effetti della circolare riguardo al Parnell’s Testimonial Fund. Credo però che quest’ultima omissione sia stata voluta, dal momento che a Roma dovevano ricordarsene; mons. Persico deve aver ritenuto più ‘delicato’ non rammentare quell’infelice esperienza. Il problema comunque era che, anche se si fosse convinto l’episcopato a modificare le proprie posizioni, un brusco cambiamento di rotta dopo la visita di mons. Persico sarebbe stato immediatamente collegato a pressioni da parte di Roma; ciò avrebbe causato ostilità, mentre un’azione più pacata avrebbe avuto effetti trascurabili. In tutto ciò il Commissario apostolico ometteva di citare quello che, a mio parere, sarebbe stato l’intervento più significativo alla portata della Chiesa: un efficace sistema di aiuti a beneficio della popolazione irlandese avrebbe potuto alleviare i disagi del popolo e di conseguenza la tensione sociale. Va detto che in quegli anni la situazione economica della Chiesa Cattolica, uscita da un lungo periodo caratterizzato dal sequestro di numerose sue proprietà in tutta Europa, non era delle più felici; ma qualcosa in tal senso sarebbe stato comunque fattibile.

Ambrose Macaulay136

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Ibidem, pp. 131-132.

nota poi che nella relazione di mons. Persico mancava un’analisi approfondita della questione agraria, e sostiene che abbia sbagliato a rifiutare un memorandum in proposito da parte dell’arcivescovo di Dublino. Può essere, ma mons. Persico deve aver pensato che non era affare della Santa Sede occuparsi di tale problematica, preferendo non affrontare appieno una questione che avrebbe richiesto un’analisi lunga e complessa; si concentrò piuttosto su argomenti, come l’istruzione, riguardo ai quali la Santa Sede era più direttamente interessata. Si limitò invece a descrivere le difficoltà degli agricoltori, senza entrare nel merito dei problemi. Non credo che un’analisi più accurata della questione agraria avrebbe particolarmente interessato la Curia Romana; sicuramente Macaulay ha però ragione nel dire che fu una rimarchevole mancanza omettere le tesi di mons. Walsh in difesa del Plan of Campaign, specialmente per

quanto riguardava il sistema di proprietà duale del fondo da parte di affittuario e landlord, che l’arcivescovo sosteneva fosse stato introdotto in Irlanda in seguito al land act del 1881.

L’ultima pecca del rapporto sta nel fatto che non sempre i giudizi di mons. Persico sull’episcopato irlandese sono obiettivi. Ciò è comprensibile, visto che in pochi mesi aveva dovuto ispezionare tutte le diocesi d’Irlanda, incontrandone i vescovi e relativi coadiutori, oltre a molti altri personaggi. Egli aveva certamente ragione nell’individuare in mons. Walsh e mons. Croke le figure preminenti all’interno dell’episcopato, ma la sua freddezza e diffidenza nei confronti dell’arcivescovo di Dublino è degna di nota, anche alla luce del fatto che si dimostrò meno prevenuto nei confronti di mons. Croke, un ecclesiastico che aveva dato alla Chiesa ragioni d’imbarazzo ben maggiori. Probabilmente giudicò l’impetuoso arcivescovo di Cashel un personaggio meno ‘pericoloso’ del più scaltro arcivescovo di Dublino, verso cui finiva col dare giudizi spesso ingenerosi. Forse anche l’antipatia verso Walsh lo portava a sopravvalutare mons. Logue. L’opinione tanto positiva di mons. Persico probabilmente contribuì all’assegnazione, pochi anni dopo, della porpora cardinalizia al primate, che era sicuramente una figura di un certo rilievo, ma non aveva un profilo paragonabile a quello di mons. Walsh.

Quel che lascia davvero perplessi è il giudizio che mons. Persico diede di mons. O’Dwyer. Il Commissario apostolico non aveva risparmiato critiche a mons. Healy, l’altro vescovo irlandese lontano dalle posizioni degli arcivescovi di Dublino e Cashel. Ma scrivendo riguardo a O’Dwyer, che come ho detto era stato uno dei primi sacerdoti ad aderire al movimento per l’Home Rule (salvo poi uscirne quando questo aveva preso una posizione che non condivideva), giunse a definirlo alieno dalla politica. Si è pure visto come, nella questione della Royal University, tutto si fosse mostrato meno che docile e aperto al ragionamento. Unica possibile spiegazione a questo ritratto completamente errato del vescovo di Limerick è che mons. O’Dwyer sia in qualche modo riuscito ad accattivarsi il Commissario apostolico; egli non fu così in grado di giudicarlo obiettivamente, e ricondusse le critiche che deve sicuramente aver udito sul suo conto al mero fatto che giovane, ha bisogno di esperienza, e anche di prudenza e discrezione.

Tolti questi non trascurabili errori, bisogna però dare atto a mons. Persico di aver prodotto un’esposizione precisa di una situazione tutt’altro che semplice; chi l’avesse letta (non si sa se il Papa lo fece, il cardinale Rampolla di certo sì) si sarebbe fatto un’idea piuttosto precisa della realtà irlandese. Vi sono diverse osservazioni acute nel suo rapporto, come quando scrive che il movimento di Parnell era il gubernium in gubernio in Irlanda. Il movimento nazionalista stava infatti lavorando a costruire una ‘nazione irlandese’, che come tale aveva la sua gerarchia, le sue regole, le sue sanzioni (come il Boycotting) e la sua ‘religione di stato’. Il fatto che tale nazione

non fosse riconosciuta formalmente metteva però la Chiesa in una posizione non semplice, specie col Governo britannico.

Persico non aveva torto neppure quando diceva che gli irlandesi vedevano nell’Home Rule la

panacea e l’Eldorado; non era ben chiaro cosa essa avrebbe comportato, rischiava di creare

inconvenienti con l’esclusione degli irlandesi da Westminster in cambio di un Parlamento d’Irlanda dai poteri non ben definiti, ma era vista come un traguardo da raggiungere assolutamente, a prescindere da qualsiasi discussione.

Il Commissario apostolico fu un’inascoltata Cassandra quando spiegò quali sarebbero state le conseguenze negative di un intervento pubblico della Santa Sede, in seguito al quale sarebbe poi avvenuto esattamente quanto da lui previsto.

Il consiglio che mons. Persico diede per affrontare la situazione irlandese, ovvero quello di convocare a Roma i membri più autorevoli dell’episcopato e concordare con loro una strategia, era senza dubbio intelligente e sensato. Probabilmente egli era troppo ottimista riguardo ai risultati cui avrebbe potuto condurre un’iniziativa di questo tipo, ma allorché all’interno di un’istituzione come la Chiesa vi è difformità di vedute, come sicuramente vi era tra l’episcopato irlandese e la Curia Romana, confrontare le proprie posizioni è sempre utile, e può condurre a risultati positivi. Non fu però questa la strada che decisero di percorrere a Roma, preferendo piuttosto fare esattamente ciò che mons. Persico aveva sconsigliato.

Capitolo Sesto: il decreto del S. Uffizio (1887-1890)

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