Mentre mons. Walsh lavorava alla sua relazione a Genazzano, i prelati della Curia Romana si preparavano ad emanare il decreto del S. Uffizio contro il Plan of Campaign e il Boycotting e il Duca di Norfolk cercava di guadagnare l’appoggio del Vaticano, la tensione in Irlanda non accennava a calare. Mons. MacEvilly, l’arcivescovo di Tuam, rientrato da Roma scrisse a Kirby in questi termini:
“È difficile dire qualcosa dell’atmosfera politica che si va oscurando ogni giorno di più. Sembra
che sia stata lasciata poca o nessuna libertà. Il popolo è del tutto esasperato dal trattamento”28
Causa di questa situazione era in gran parte la Coercion Bill. L’ordine era mantenuto con la forza, si moltiplicavano gli arresti, inclusi quelli d’importanti esponenti politici e di ecclesiastici. Infuocate erano anche le polemiche riguardo al regime carcerario cui venivano sottoposti questi uomini. Sempre più numerose erano poi le sezioni della National League che venivano chiuse per ordine delle autorità, e si moltiplicavano le voci riguardo a una prossima soppressione, così come era avvenuto nei confronti della Land League.
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L’episcopato manteneva ferma la sua usuale linea di condotta, ma particolarmente difficile si era fatta la posizione di mons. O’Dwyer29
28
It is hard to say anything of the Political Atmosphere which is darkening more & more every day There seems to be, little or no liberty left. The people greatly exasperated at the treatment. Lettera di MacEvilly a Kirby, 1 febbraio 1888, AICR, Kirby papers.
. In particolare erano le sue dichiarazioni avverse al Plan
of Campaign e al Boycotting a renderlo inviso all’opinione pubblica. La stampa nazionalista
l’aveva sottoposto a diverse critiche, sostenendo che fosse contrario all’Home Rule e che stesse partecipando agli intrighi inglesi presso la Santa Sede. La sua posizione non era stata certo aiutata dal Tablet che, notoriamente ostile al movimento irlandese, aveva espresso apprezzamento per il vescovo di Limerick, danneggiandone di conseguenza l’immagine in patria. Allorché si diffusero voci secondo le quali egli sarebbe stato coinvolto in trattative in corso tra Irlanda e Santa Sede per ostacolare il nazionalismo irlandese questi, uomo battagliero di natura,
29
il 20 dicembre del 1887 scrisse una lunga lettera al Freeman’s Journal30. Egli sorvolava sulle insinuazioni che volevano il Papa e mons. Persico in trattativa con il Governo, ricordando di essere stato fra i primi ad aderire al movimento per l’Home Rule e respingendo le accuse d’intrigare con gli inglesi. Allo stesso tempo però ribadiva la sua presa di distanza dai leaders del movimento nazionalista, ed esprimeva forti critiche tanto sul Plan of Campaign quanto sul
Boycotting. Ad ogni modo i sospetti verso di lui non si placarono, ed egli continuò ad essere
malvisto dall’opinione pubblica nazionalista, bollato come Castle bishop31
Pure la posizione di mons. Persico si stava facendo ad ogni momento più difficile. I giornali si interrogavano sempre più su quali fossero le intenzioni della Santa Sede. Il concatenarsi di eventi quali l’invio di un rappresentante al Giubileo della Regina, di mons. Persico in Irlanda, infine la missione di Norfolk a Roma stavano dando l’impressione che il Governo britannico e la Santa Sede pianificassero un accordo a discapito degli interessi irlandesi; il prolungamento della missione di mons. Persico poi non contribuiva certo a rimuovere tali sospetti.
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A metà gennaio il Commissario apostolico lasciò l’Irlanda per recarsi a Teignmouth, nel Devon. Ufficialmente il suo fu un trasferimento provvisorio; dichiarò infatti che l’inverno irlandese rischiava di nuocere alla sua malferma salute, e di ritenere che nel Devon il clima fosse migliore32
“Ora mi rivolgo a V.E. per sottometterle la dimanda di permettere che io mi allontanassi
d’Irlanda, almeno per qualche tempo restando sempre a disposizione e sotto gli ordini della S. Sede. Mi proporrei […] passare i più forti mesi d’inverno in un sito di Francia dove il clima è più mite. Così si sederebbe la tempesta ora suscitata sulla mia prolungata dimora in Irlanda, e la mia salute non sarebbe esposta a una grave crisi. Già risento gli effetti dell’umidità penetrante di questo paese, sia per i dolori artritici sia per la tosse”
. In realtà vi erano anche altri motivi. Nelle sue lettere al cardinale Rampolla infatti egli faceva sì riferimento ai propri problemi di salute, ma anche al fatto che la sua presenza in Irlanda stava suscitando ostilità. In una lettera del 21 dicembre, per esempio, scrisse in questi termini:
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30
Freeman’s Journal, 20 dicembre 1887.
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31
Letteralmente vescovo del Castello. Il Castello cui si faceva riferimento era quello di Dublino, sede dell’amministrazione britannica. Definire un vescovo Castle bishop significava quindi accusarlo di essere asservito alle autorità.
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Che mons. Persico lasciasse l’Irlanda “for the benefit of his health” fu quanto lo stesso mons. Croke, con cui aveva avuto un colloquio poco prima di partire, scrisse all’arcivescovo di Dublino. Lettera di Croke a Walsh, 12 gennaio 1888, DDA, Walsh Papers, Ref. N. 403/4-6.
33
Lettera di Persico a Rampolla, 21 dicembre 1887, ASV, Segreteria di Stato, Epoca Moderna, anno 1888, rubrica 278, fascicolo II, f. 42r, riportata anche da Patrick J. Walsh, William J. Walsh, cit., pp. 310-311.
Da Roma gli fu però chiesto di non abbandonare il Regno Unito, ma di trovare un luogo, in Irlanda o comunque in Gran Bretagna (che non fosse però Londra), il cui clima gli si confacesse maggiormente. Appare quindi molto probabile che, se scelse di recarsi a Teignmouth, non fu solo perché riteneva che soggiornare nel Devon avrebbe giovato al suo raffreddore e alla sua artrite più che rimanere in Irlanda. Egli a più riprese, sia prima che dopo la sua partenza, tentò di far comprendere al cardinale Rampolla quanto il prolungarsi della sua missione avrebbe irritato gli irlandesi. Nella già citata lettera del 6 febbraio, nella quale aveva criticato duramente mons. Walsh, aggiungeva:
“L’altro punto su cui credo pure mio dovere di ritornare a parlare a V.E. è sulla mia ulteriore
dimora in Irlanda. Essa infatti non solo produce malumore e suscita sospetti, ma ha già esposto, ed esporrà maggiormente a pregiudizio il prestigio della S. Sede e del S. Padre. Su di ciò ho non solo indizi ma prove certe e positive. Lo stato degli animi è tale che anche l’ombra di intervento o di pressione può produrre un incendio. Se io scorgessi anche la possibilità di poter fare qualche cosa con la mia ulteriore dimora, mi crederei in dovere di dirlo, ma è il contrario”34
Il Commissario apostolico appariva sempre più turbato e depresso, in parte per il continuo peggiorare della situazione irlandese, in parte per la sempre maggiore ostilità che sentiva montare nei propri confronti. Egli continuava a raccomandare al Segretario di Stato che nessuna iniziativa fosse intrapresa se non tramite i vescovi; si disse anche contrario all’idea di presiedere, come Legato papale, il previsto Sinodo
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“Le cose sono giunte a un tale stato che soltanto un miracolo potrà cambiarle […] Il clero
intanto per conservasi il popolo, l’ha seguito, invece di guidarlo; e gli stessi Vescovi sia per massima, sia per timore o altri umani motivi si son gittati nella corrente e non hanno più la forza, o il coraggio di sortirne […] Sopratutto non vorrebbero che il S. Padre in alcun modo condannasse l’azione del clero nel movimento nazionale; specialmente per ciò che riguarda il così detto piano di campagna e boicottaggio”
, ma allo stesso tempo pareva sempre più scettico riguardo ai risultati che si sarebbero potuti ottenere. Il 15 marzo egli inviò a Rampolla una lettera confidenziale, nella quale dava sfogo a tutto il suo pessimismo:
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Non sembra che mons. Persico sospettasse che in quel momento a Roma l’idea di una pubblica condanna di questo tipo fosse presa in seria considerazione. Egli non modificava i propri consigli precedenti, ma semplicemente esprimeva pessimismo sull’utilità che essi avrebbero potuto avere.
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Lettera di Persico a Rampolla, 6 febbraio 1888, ASV, Segreteria di Stato, Epoca Moderna, anno 1888, rubrica 278, fascicolo I, ff. 129r-130r.
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Lettera di Persico a Rampolla, 21 febbraio 1888, Ibidem, fascicolo II, ff. 53r-54r.
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Può però essere che il cardinale Rampolla abbia visto o abbia voluto vedere in tale lettera un incoraggiamento a portare avanti il progetto di una pubblica condanna, condanna che si faceva sempre più vicina.