Ho già accennato al fatto che nel 1888 erano previsti i festeggiamenti per celebrare il giubileo sacerdotale di Leone XIII, ovverosia i cinquant’anni dalla sua ordinazione. Il Papa desiderava cogliere tale occasione per acquisire maggiore popolarità, richiamando l’attenzione pubblica internazionale sulla propria figura, e di conseguenza sulla difficile situazione causata dall’irrisolta Questione Romana. Promosse così solenni celebrazioni che attirarono a Roma centinaia di migliaia di fedeli, oltre ai rappresentanti di numerosi paesi cristiani e non, quali per esempio l’Impero Ottomano, il Marocco e il Giappone.
Come ho detto la regina Vittoria, pur gradendo la presenza di un rappresentante papale alle proprie celebrazioni giubilari, aveva chiarito di non sentirsi obbligata a ricambiare la cortesia in occasione del giubileo sacerdotale di Leone XIII, in quanto non si festeggiavano i cinquant’anni trascorsi dalla sua elezione a Pontefice. Chiaramente tale prudenza derivava soprattutto dal desiderio di non irritare i gruppi di Protestanti più radicali. Infine fu però deciso che, seppur ufficiosamente, la cortesia avrebbe dovuto esser ricambiata. La disponibilità nei confronti della Santa Sede appare sospetta; probabilmente Governo e Corona furono condotti a questo passo, che rischiava di suscitare un certo malcontento, dal desiderio di blandire la Santa Sede in merito alla questione irlandese.
La soluzione adottata fu la seguente: il duca di Norfolk fu inviato a Roma a capo di una delegazione incaricata di recare al Papa i ringraziamenti della Regina per l’invio di mons. Ruffo- Scilla alle sue celebrazioni giubilari. Tale delegazione sarebbe giunta a Roma a metà dicembre del 1887, insieme alle altre pervenute per i festeggiamenti, ma sarebbe ripartita prima che le celebrazioni avessero formalmente inizio, l’1 gennaio del 1888. Tale escamotage fu un po’ ridicolo, anche perché il duca di Norfolk a metà gennaio avrebbe dovuto guidare una delegazione del laicato cattolico inglese che recava al Papa le congratulazioni per il suo giubileo. Fu così che il duca si recò a Roma per conto della Regina a metà dicembre, ritornò in Inghilterra, e pochi
giorni dopo ripartì per Roma a titolo personale (perdendo oltretutto la cerimonia ufficiale dell’1 gennaio).
Che sullo sfondo di questa iniziativa incombesse la questione irlandese dovette essere chiaro a mons. Persico, che si affrettò a scrivere al cardinale Rampolla esprimendo perplessità sulle persone che sarebbero state inviate. Egli era contrariato dall’apprendere che il capitano Ross, che aveva avuto modo di conoscere fin troppo bene in Irlanda, avrebbe fatto parte della delegazione: “Egli è uno dei più caldi zelatori fra gli aristocratici inglesi contro l’Irlanda, che per varii anni
non fa altro che andare e venire fra Londra e Dublino, e quindi a Roma. Ho fondamento e ragione da credere che sia un agente segreto dell’attuale ministero, e che agisca nel suo interesse. Lo stesso ha esercitato moltissimo la mia pazienza, e ha voluto imporsi sin dal mio arrivo in Dublino, ed il Signore sa con quanti modi ed arti ho dovuto tenermene in guardia. Son sicuro che in Roma muoverà cielo e terra per far pressione ed ottenere una condanna o almeno un manifesto dal Papa […] Le dico francamente, che se mai il S. Padre credersi di intervenire, non dovrebbe affatto servirsi di tali elementi (non escluso il Duca) essendo assai troppo passionati”1
Anche in questo caso mons. Persico dimostrava di non essere un ingenuo. Al di là dell’antipatia che evidentemente il capitano Ross aveva generato in lui con la sua insistenza, egli doveva temere che questi, come Norfolk e gli altri, avrebbe cercato di indurre il Papa ad agire non nell’interesse della Chiesa o degli irlandesi, ma della propria classe sociale.
.
Ad ogni modo, se il capitano Ross non era piaciuto a mons. Persico, la cosa era reciproca2
Oggi si sa che mons. Persico era sì scandalizzato dall’atteggiamento della Chiesa e dal movimento di Parnell, ma anche dalla miseria dell’Irlanda e dal malgoverno inglese. Egli però, da buon diplomatico, stava cercando di prestare orecchio a più opinioni rimanendo prudente nell’esternare le proprie, un atteggiamento cauto che stava esasperando Ross. Probabilmente il capitano dovette ritenere che mons. Persico si fosse fatto irretire dall’episcopato e dalle
. Il capitano sperava che il Commissario apostolico rimanesse scandalizzato dalla posizione del clero e dell’episcopato irlandese, ma questi si era dimostrato imperscrutabile. Quando l’aveva incontrato gli era parso avesse opinioni non difformi dalle sue; in seguito ebbe però a stupirsi degli stretti rapporti che intratteneva con l’episcopato, del fatto che avesse declinato l’invito a visitare le magioni di alcuni proprietari cattolici, della notizia, riferitagli da un amico, che si fosse recato di persona ad assistere ad uno sfratto…
1
Lettera di Persico a Rampolla, 2 novembre 1887, ASV, Segreteria di Stato, Epoca Moderna, anno 1888, rubrica 278, fascicolo I, f. 117r.
2
manifestazioni d’entusiasmo popolare, e partì per Roma deciso a far valere le proprie idee in tale sede.
Anche il duca di Norfolk partiva per Roma con tutte le intenzioni di occuparsi della questione irlandese, della quale aveva avuto modo di discutere, insieme a Ross, con lo stesso Chief
Secretary. Balfour infatti, all’indomani della decisione d’inviare il duca a Roma, gli aveva
scritto3
In seguito a questa lettera Balfour aveva incontrato Norfolk e Ross, e i tre avevano avuto una conversazione della quale si conoscono molti particolari grazie a un memorandum
riferendogli che, stando alle sue informazioni, mons. Persico nel suo rapporto avrebbe sostenuto che la Coercion Bill era ingiusta; ciononostante il Commissario pensava che il clero avrebbe dovuto accettarla, e che le questioni più gravi in Irlanda fossero quella agraria e quella dell’educazione. Il Chief Secretary desiderava ardentemente che Norfolk approfittasse della sua missione a Roma per render nota a chi di dovere la sua posizione riguardo a questi temi, tenendo soprattutto a far notare che il Governo finanziava scuole che concedeva poi in gestione ai preti.
4
Inviando a Norfolk copia del memorandum, Ross accluse
steso da Ross. Balfour aveva preparato uno schema, che Norfolk avrebbe potuto mostrare ai prelati di Roma riguardo all’istituzione di un nuovo collegio universitario cattolico. Egli si diceva favorevole anche alla costituzione di una facoltà di teologia, atta a migliorare gli standards culturali dei sacerdoti, e specialmente dell’alto clero (sperando forse che così sarebbe stato più ‘inquadrato’). Balfour inoltre pregò i due di render note a Roma le infrazioni alla legge compiute da molti sacerdoti, e il suo punto di vista sulla Coercion Bill. Il duca gli chiese allora cosa avrebbe desiderato nascesse dalla sua missione, ed egli rispose che sarebbe stato soddisfatto di una dichiarazione del Papa, più o meno formale, che condannasse i tentativi compiuti in Irlanda per sovvertire la legge e l’ordine.
5
Norfolk e i suoi compagni giunsero a Roma il 15 dicembre, due giorni dopo che il Times
alcune sue considerazioni, ricordandogli anche che vi erano delle diocesi vacanti in Irlanda, e che avrebbero potuto tentare di approfittare della missione per influire sulla nomina dei nuovi vescovi.
6
aveva pubblicato un indirizzo a Persico che essi non dovettero apprezzare. Tale indirizzo era firmato da alcuni eminenti Cattolici inglesi, per lo più legati al Partito liberale, che deploravano l’ostilità dimostrata da certi membri laici della Chiesa Cattolica in Inghilterra7
3
Lettera di Balfour a Norfolk, 19 novembre 1887, AAC, Norfolk papers, G4/43, citato da Ibidem, p. 135.
verso l’Irlanda, e le
4
Memorandum of a conversation between Balfour, Norfolk and Ross on 26 Nov. 1887, Ibidem, citato da Ibidem, pp. 135-136.
5
Lettera di Ross a Norfolk, 26 novembre 1887, citato da Ibidem, p. 136.
6
The Times, 13 dicembre 1887.
7
critiche gratuite che essi indirizzavano al clero e all’episcopato di quel paese. L’intenzione di screditare Norfolk e il suo seguito era chiara, ma in Vaticano parvero non darvi molta importanza.
Dato l’interesse di Leone XIII a fare di questa visita un successo, il duca di Norfolk fu ricevuto con grande cortesia. Dopo un primo incontro col cardinale Rampolla il 16 dicembre, il 18 fu presentato al Papa cui lesse la lettera autografa della Regina che lo ringraziava per aver inviato un rappresentante al suo giubileo. La sera stessa egli fu ospite ad una cena offerta dal cardinale Rampolla alle personalità giunte a Roma per il giubileo sacerdotale del Papa, alla quale presenziavano anche molti prelati di Curia.
Il 19 era stato fissato un incontro tra il Segretario di Stato e il duca di Norfolk ma questi, indisposto, fu sostituito da Ross e da un altro componente del seguito8
Il Segretario di Stato non diede segni di sorpresa quando il capitano gli riferì alcuni discorsi anti- governativi tenuti da certi sacerdoti, si mostrò interessato all’ipotesi di costituire un nuovo collegio cattolico, e disse che la Santa Sede era disposta a fare il possibile per calmare gli animi. Il capitano fu però colpito dal fatto che il cardinale non fosse informato di quanto era stato fatto negli anni precedenti per alleviare la situazione degli affittuari (come ho già detto mons. Persico preferì trattare la questione agraria in maniera sintetica) e che giudicasse eccessivo il Coercion
Act. Fu così che il giorno successivo Norfolk indirizzò una lettera
. Tema del colloquio fu ovviamente la situazione irlandese. Ross trovò il cardinale piuttosto restio ad esternare il proprio pensiero in proposito, e attribuì la cosa all’assenza del Duca, oltre al fatto che non volesse prender posizione prima di aver letto il rapporto di mons. Persico. Il capitano non poteva sapere che il cardinale Rampolla aveva già ricevuto detto rapporto, e men che meno pareva immaginare che il Commissario apostolico avesse messo in guardia il cardinale contro la sua persona, cosa che spiega più di ogni altra la sua prudenza.
9
al Segretario di Stato, che Macaulay10
Ross incontrò nuovamente il cardinale Rampolla il 22 dicembre
ritiene preparata da Ross, per aggiornarlo su tali questioni (ovviamente da un punto di vista non proprio imparziale).
11
8
A. Macaulay, The Holy See, British Policy and the Plan of Campaign, cit., p. 142.
, ma questi non aveva avuto ancora modo di leggere la lettera. Il capitano comprese però che il cardinale aveva ormai ricevuto e visionato il rapporto di mons. Persico. Dai discorsi di Rampolla il capitano ipotizzò, non errando poi di molto, che Persico avesse sì condannato il comportamento della Chiesa
9
Lettera di Norfolk a Rampolla, 20 dicembre 1887, ASV, 1891, rubrica 278, fascicolo 3, ff. 54r-56v.
10
A. Macaulay, The Holy See, British Policy and the Plan of Campaign, cit., p. 142.
11
irlandese, ma che avesse sostenuto la grande difficoltà a intervenire, e temesse che un’azione troppo netta avrebbe potuto portare ad uno scisma. Dialogando il cardinale sostenne che presto un Sinodo nazionale avrebbe contribuito a rafforzare la disciplina del clero; si proclamò disponibile all’ipotesi, ventilata dal suo interlocutore, che tal Sinodo ribadisse il dovere di obbedire alle autorità civili. Il Segretario di Stato, probabilmente a causa dei consigli di Persico, si mostrò molto più cauto di fronte all’idea di una pubblica presa di posizione da parte della Santa Sede.
Il 26 il Duca e il suo seguito ebbero un nuovo incontro con Leone XIII. Dapprima Norfolk colloquiò privatamente con il Pontefice nei suoi appartamenti quindi, insieme al proprio seguito, presentò nella sala del trono i doni della Regina, ricevendo da Leone XIII una lettera di ringraziamento indirizzata alla Sovrana.
Il Duca rientrò a Londra il 29 dicembre e, prima d’incontrare la Regina, ebbe un colloquio con lord Salisbury. Probabilmente gli riferì a voce quanto scrisse poi nelle note inviategli alcuni giorni dopo12
Una settimana dopo Norfolk ripartì alla volta di Roma, in qualità di capo della delegazione dei Cattolici britannici. Essa fu ricevuta il 10 gennaio dal Papa, il quale pregò per la restaurazione della pace fra le varie componenti del Regno. Subito dopo Leone XIII prese da parte il Duca, con cui ebbe un’ulteriore conversazione.
; si asseriva convinto della buona volontà da parte della Santa Sede ad intervenire nella questione irlandese, sulla base di uno spirito di collaborazione con il Governo britannico. Egli era dell’idea che, facendo delle concessioni alla Chiesa (in particolare si riferiva alla questione dell’educazione), sarebbe stato più facile ottenere qualche cosa in cambio. Il Duca nei pochi giorni che trascorse in Inghilterra avrebbe desiderato incontrare anche il Chief Secretary, ma questi si trovava a Dublino ed era impossibilitato a muoversi.
Norfolk ebbe in seguito un colloquio col cardinale Rampolla, cui consegnò uno scritto13
12
Copia di tali note sono conservate presso AAC, Norfolk papers. Esse sono riportate da E. Larkin, The Roman
Catholic Church and the Plan of Campaign, cit., p. 154, e citate da A. Macaulay, The Holy See, British Policy and the Plan of Campaign, cit., p. 145.
contenente alcune considerazioni che presentava a titolo personale, ma dopo essersi confrontato con il Primo Ministro. In esse sosteneva che il Governo britannico era assolutamente disponibile a stringere relazioni diplomatiche con la Santa Sede, nonché ad impegnarsi per risolvere i disagi dei Cattolici irlandesi per quanto concerneva l’istruzione. Purtroppo però l’atteggiamento della Chiesa irlandese era d’ostacolo a qualsiasi passo che si sarebbe potuto compiere; il Governo non avrebbe così potuto prendere nessuna iniziativa se non dopo che il Papa avesse dimostrato di
13
Copia di tale scritto, datato 9 gennaio 1888, è conservato presso AAC, Norfolk papers, citato da A. Macaulay, The
esser in grado di modificarne il comportamento. Facendo riferimento all’annunciato Sinodo nazionale della Chiesa irlandese, il duca suggeriva che l’occasione fosse sfruttata per imporre nuove regole ai sacerdoti dell’isola, e per dare un segnale al Governo britannico: esso avrebbe molto apprezzato di apprendere in anticipo, come prova di buona volontà e principio di una futura collaborazione, quali provvedimenti la Chiesa era interessata a prendere in tale sede. Il Duca aggiungeva anche che, in tal modo, il Governo avrebbe potuto far presenti le proprie opinioni su detti provvedimenti, con beneficio di ambedue le parti.
Non si sa come il cardinale Rampolla accolse tali proposte. Veniva offerto molto, ma veniva pure chiesto molto, e oltretutto le offerte non erano ufficiali, quindi facilmente ritrattabili.
A parte la dubbia moralità di un mercanteggiamento di questo tipo, il Segretario di Stato sapeva che l’episcopato irlandese si sarebbe opposto nella maniera più radicale a una simile soluzione; se poi qualcosa fosse trapelato, la reazione dell’opinione pubblica sarebbe stata esplosiva.
Inoltre proprio in quei giorni mons. Persico aveva fatto sapere di condividere l’opinione del cardinale Manning. Egli non riteneva conveniente intrecciare in quel momento relazioni diplomatiche col Regno Unito, poiché ciò avrebbe restituito importanza alle nobili famiglie cattoliche, come quella di Norfolk, cosa inopportuna in un’epoca di crescente democratizzazione; oltretutto la grande maggioranza dei Cattolici inglesi erano d’origine irlandese14
Probabilmente il Segretario di Stato prese tempo per riflettere sulle proposte del duca di Norfolk, anche perché sarebbe stato poco saggio assumere iniziative; prima era necessario tentare un approccio con l’episcopato irlandese che peraltro, come ho già detto, era intervenuto con una rappresentanza alle celebrazioni giubilari di Leone XIII. Il membro più autorevole di tale rappresentanza era l’arcivescovo di Dublino, con cui era tempo di avviare un confronto.
.