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“Il mondo in cui viviamo è allo stesso tempo notevolmente comodo e assolutamente povero” (Sen, 2002). Affermazione che ben ritrae il mondo in cui viviamo, ove accanto alle comodità della vita moderna coesistono estreme privazioni e diseguaglianze disarmanti. Privazioni e diseguaglianze amplificate soprattutto in questi ultimi anni da una crisi profonda, sì economica e finanziaria, ma anche sociale, di valori e culturale; di sfiducia verso le moderne politiche nazionali. Impossibile non tener conto delle due facce del mondo, una truccata di ricchezza ed un’altra di agonia soprattutto, come mette in rilievo ancora Sen, al fine di poter capire il diffuso scetticismo come la tolleranza dell’opinione pubblica nei confronti di proteste antiglobalizzanti a cui si è assistito. Proteste che, seppur si muovono nel ritenere la globalizzazione conseguenza del dominio occidentale, di fatto hanno seguito nella storia vie differenti (Sen, 2002). Ripercorrendo brevemente i tratti storici del ragionamento, è da evidenziare che intorno all’anno Mille la diffusione globale della scienza stava cambiando la natura del vecchio continente, prendendo una direzione opposta a quella attuale. Molte delle cose conosciute come “la carta e la stampa, la balestra e la polvere da sparo, l’orologio e il ponte sospeso […] il carro su ruote e il ventilatore girevole, erano comunemente usati in Cina e ignoti altrove”. E’ stata la globalizzazione che li ha diffusi nel resto del mondo, fino in tutta Europa (Rifkin, 2001, 2002; Shiva, 1995, 2001; Paltrinieri, 2004). Anche i viaggi di Marco Polo sino in oriente sono esempi di queste interazioni. L’espansione dettata da interessi marittimi occidentali nel Millecinquecento del secolo scorso e anche la formazione sociale sono infondo la premessa per un “traffico di idee e uomini”. Ma il primus motor nel processo di globalizzazione è dato dal paradigma teorico delle nuove tecnologie dei trasporti e dell’informazione (Castells, 2002a). Ciò a dire che la fine del ventesimo secolo dà avvio a quello iato, biforcazione della storia, che ha caratterizzato la trasformazione della nostra cultura materiale grazie alle tecnologie dell’informazione.

Anche se non tutti condividono la visione integrata à la Negroponte secondo cui “viviamo in un mondo che è divenuto digitale, dove l’unità di misura è divenuta il bytes”, tutti concordano nel riconoscere l’intensa capacità di penetrazione della tecnologia nelle attività umane. Così che nell’immaginare una proporzione che riassuma il tutto si può dire, come fa anche il sociologo spagnolo Castells (2002a, p.135), che “la tecnologia dell’informazione sta a questa rivoluzione come le nuove fonti di energia stavano alle precedenti rivoluzioni industriali”. Castells riconosce che accanto alla rivoluzione industriale, che ha preso avvio nella seconda metà del Settecento in Inghilterra, si è assistito ad un’altra frutto di macro invenzioni che resero possibile tante invenzioni di minore portata con effetti importanti nell’agricoltura, nell’industria e nelle telecomunicazioni. Questa è la rivoluzione tecnologica che ha dato avvio al processo di globalizzazione. Alla metà dell’800 i media sono stati ritenuti allo stesso tempo “causa” e “conseguenza” della globalizzazione, le cui tendenze, sul fronte economico e culturale, si possono sintetizzare in formazione di sistemi specializzati transnazionali; importanza della contiguità temporale (invece che spaziale), indebolimento e ridefinizione dei “confini” geopolitici. Le moderne tecnologie di fatto hanno ridotto il mondo alla dimensione di un “villaggio globale”, così da assistere a una forma di “vicinato totale” anche con coloro che sono notevolmente distanti da noi, creando dei nuovi e insoliti legami che ci permettono di partecipare ad eventi lontani (McLuhan, 1995). Così anche per Giddens (1994, p. 70) “la modernità è di per sé globalizzante” riferendosi al processo di stiramento che spinge diversi contesti sociali o anche regioni a divenire una rete che avvolge l’intero pianeta. Oggi le reti di comunicazione hanno di fatto costruito nuovi immaginari e ridefinito scenari di azione. Immaginari frutto di culture glocali (cioè di culture globali e locali allo stesso tempo) emergenti, non più legate ad un luogo o un tempo ma, come ci dice Appadurai (2001), di “una vera mescolanza di componenti disparate, provenienti da ogni dove e da nessun luogo, scaturite dai moderni (postmoderni) carri da guerra del sistema di comunicazione globale”47. Ciò a sottolineare come l’immaginazione acquista uno straordinario potere nella vita quotidiana degli uomini, così che, ancora per Appadurai, sempre più persone, in diverse parti del mondo, sognano e immaginano una “vita possibile”, più ricca di opportunità di quelle che avrebbero potuto sperare in passato per quel mutamento che ha avuto vita già con i mass media generalisti di massa (Beck, 2009, pp 73-74).

3.1.2 Le dimensioni della globalizzazione

Una serie di dimensioni caratterizzano la globalizzazione: la formazione di un mercato finanziario globale, la transnazionalizzazione e l’aumento

47 Cfr. U. Beck, 2009, Che cos’è la globalizzazione. Rischi e prospettive della società planetaria, Carrocci Editore, Roma; A. Appadurai, 2001, Modernità in polvere, Meltemi Editore, Roma; R. Paltrinieri, 2004, Consumi e globalizzazione, Carocci Editore, Roma

dell’incidenza della tecnologia, l’iperconcorrenza tra le imprese (ciò a dire un’accentuata competitività di liberalizzazione), la privatizzazione del dumping sociale (che vuol dire che per vincere la gara sui mercati si abbattono i costi del lavoro), sviluppo di un’informazione che unifica il mondo riducendolo per l’appunto alla dimensione di un villaggio, perdita della rilevanza dello Stato e del sistema nazionale, un ordinamento militare mondiale (così che le guerre divengono preventive e totali), una società civile transnazionale che si fa portatrice di una richiesta di giustizia globale, diffusione di una cultura globale. Così che l’attuale economia globale si costituisce attorno ad un’architettura solida in un mondo asimmetricamente interdipendente (Castells, 2002a). Un’architettura che poggia su processi dinamici che danno vita ad un mondo a geometria variabile. In cui anche i beni prodotti sono il risultato di una catena i cui anelli di unione sono distribuiti in una dimensione sovralocale. Così che, come si dirà anche più avanti, i luoghi ove reperire materie prime e forza lavoro non sempre coincidono. Un lavoro in cui la tecnologia, non solo nell’ottica della produzione, ha sempre toccato diversi aspetti del vivere, passando appunto dalla sfera della produzione e circolazione di beni/servizi al movimento di persone sino agli aspetti di trasformazione del controllo sociale (dalle telecamere nascoste alla necessità di ridefinire i confini della privacy). In società globali in cui è interessante osservare l’affinità esistente tra di esse, come mette in luce anche Sashia Sassen (1997). In Paesi occidentali in cui i grandi problemi sociali trovano sempre meno soluzioni. Soprattutto se si pensa ad una impari concorrenza con Paesi in cui sussiste un basso costo del lavoro e uno stato sociale minimo, che conduce ad una svalutazione sociale (social devalutation) e ad una concorrenza insostenibile (social dumping), come nel caso ad esempio di Cina e Indonesia. Una cornice in cui il ruolo degli Stati- nazione come principio regolatore, nella relazione intercorrente tra lo Stato e i suoi cittadini, oramai allontanato dal modello culturale illuministico, si caratterizza da una deistituzionalizzazione e desocializzazione (Touraine, 1998). Intendendo con ciò un indebolimento del ruolo degli Stati-nazione che nel primo caso (di una deistituzionalizzazione) corrisponde alla scomparsa di norme codificate o garantite dai meccanismi giuridici, invece nel caso della desocializzazione riconduce alla scomparsa di ruoli, norme e valori sociali attraverso cui si costruiva il mondo vissuto. Detto altrimenti significa che lo Stato-nazione non funge più da istituzione normativa così come l’economia, né la politica e tanto meno la religione (Donati, 2000, p.15). Tanto che le norme della produzione, quelle del consumo e quelle del sistema politico sono oggi dissociate e in opposizione le une alle altre (Bell, 1978). Con ciò non si vuole di certo rendere una lettura semplice e di gioco forza di un fenomeno ben più complesso quale la globalizzazione, non focalizzandosi, come anche Peter Evans avverte, sull’aspetto superficiale del fenomeno, poiché è dimostrato che i regolamenti, le leggi e le politiche governative determinano ancora le frontiere e le strutture interne dell’economia globale (1995, 1997). E’ chiaro però che il mutamento si avverte lì dove si osserva una sempre maggior ingerenza del sistema del mercato all’interno del sistema politico. Assoggettato, quest’ultimo, ad un’economia che detta i suoi parametri di un gioco che avviene a livello transnazionale, sotto gli occhi di una politica incapace di trovare reali e immediate soluzioni a tali regole di gioco. Inoltre si assiste ad un gigantismo

militare dei Paesi in crescita, a causa anche di armamenti avvenuti da parte di un occidente sviluppato (Sen, 2002). Motivo per cui si sente forte la necessità di una giustizia globale che chiama in causa una società civile transnazionale, capace di empatia con l’altro. Vivendo così come appartenenti ad un’unica comunità di riferimento, una società cosmopolita che va oltre i confini dello Stato-nazione: “appartenenza a una società mondiale” (Beck, 2003). Ruolo importante in tale contesto è svolto dalle tecnologie di massa. Protagoniste nella formazione di una società civile transnazionale. In una crescente richiesta di “responsabilità globale”. L’incidenza delle comunicazioni di massa è fondamentale proprio perché in grado di permettere agli individui di interagire “l’uno con l’altro all’interno di cornici che creano una nuova dimensione della realtà”, in cui è evidente la modificazione della categoria spazio temporale con la conseguenza che lo stesso sentimento di identità, sia individuale che collettiva, è oramai ben al di là le specifiche identità nazionali (Thompson, 1995). Si assiste oggi ad un passaggio da quelle forme di interazione che avvenivano tra soggetti che ad esempio si scambiavano lettere o parlavano al telefono, che Thompson definisce di “interazione mediata” dove “la forma di intimità che gli individui possono vivere comporta reciprocità, mancando però di alcune delle proprietà che caratterizzano le relazioni basate sulla condivisione di un ambiente comune” (1995, p. 290); a quelle di “quasi interazione mediata” in riferimento ai grandi media di massa e principalmente alla televisione o anche al web1.0, dove “la forma di intimità” che si può stabilire è “essenzialmente non reciproca”; alla più recente interazione virtuale consentita dal web 2.0, dove si può osservare il ritorno ad una forma di intimità più vicina di certo a quelle di interazione mediata ma le cui variabili spazio temporali ritornano in quella quasi interazione mediata che si stabilisce attraverso grandi distanze, ridefinendo certi fenomeni sociali (quali la malattia, lo sfruttamento, la morte) ai contesti sociali quotidiani (dove vengono amministrati da personale qualificato o da istituzioni preposte)48. Una intimità ad ogni modo, che come nel caso dei media di massa, ci impone di rapportarci con un “sovraccarico simbolico”. Lo spazio della nostra “immaginazione emotiva” si fa transnazionale (Paltrinieri, 2004). Esperienze, come quelle di condivisione dei fatti avvenuti per la guerra in Iraq attraverso i mass media generalisti o quella di una guerra di Tunisia che è passata attraverso la rete virtuale, che oltre a portare un’empatia e una “compassione cosmopolita” vengono integrate nel processo di formazione del sé che “travolgendo il progetto esistenziale di ognuno, avanzano delle pretese morali molto simili a quelle legate all’interazione faccia a faccia” (Paltrinieri, 2004, p.30). A cui si aggiunge la paura di rischi globali, primo fra tutti quello ecologico, che attivano in una dialettica tra conflitti e cooperazione (si pensi al caso della cooperazione tra le forze occidentali per combattere il terrorismo). Una società civile transnazionale che forte dei legami locali e globali permettono oggi di ripensare le stesse relazioni internazionali, che non possono essere più mediate dai governi o dai rappresentanti dello Stato.

48 Il caso ad esempio della morte è oggi un tema di grande attualità alla luce di una rete che non solo ricontestualizza la morte ma pone su nuovi piani di analisi riti e rituali antropologici. Come la stessa percezione della morte all’interno delle comunità di rete.

“L’emergenza di una democrazia partecipativa”49 che definisce la global civil society o come sostiene anche Rousseau (1995) una “democrazia continua” permette di pensare ad una società civile come un “Agorà di tipo virtuale” in cui si incontra e si discute in modo democratico, composta da singole persone, associazioni, ONG, i cui temi prevalenti riguardano i diritti dell’uomo, la povertà, l’esclusione sociale, l’ambiente, le donne, la cittadinanza, il razzismo, i giovani e l’immigrazione (Belardinelli, 1997). La società civile diviene idealmente il regno della scelta e della partecipazione, non più limitata all’interno della nostra nazione. Se Anderson definiva la nazione come “una comunità politica immaginata” che vive nella mente di persone che sentono forte la loro appartenenza in quanto cittadini di uno stesso Paese, il venir meno oggi di un sistema basato sugli Stati-nazione indebolisce tale legame, irritando il sistema, facendo in modo che ogni individuo si senta sempre più svincolato da questo, collocandosi nella comunità mondiale.

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