Codici etici ma anche limiti della politica che organizza la società nel suo insieme che urtano contro una società civile in cui si esprimono gli spazi dell’auto-organizzazione sociale. Spazi che possono essere esplorati in seno all’interagire del capitale sociale. Non solo il crollo dei Paesi comunisti ma anche le difficoltà del capitalismo Keynesiano conducono a ripensare al ruolo dello Stato e della politica per l’organizzazione sociale. Non è questo il contesto in cui si vuole discutere sul ruolo che deve avere la politica. Pur tuttavia non verrà scartato nel procedere di questo ragionamento, proprio perché il processo che ha realizzato lo Stato moderno ha influito nella conservazione di alcuni “tratti culturali” (Bagnasco, Piselli, Pizzorno, Trigilia, 2001, p. 88). Fukuyama definisce addirittura lo spazio della politica “negativo”, volendo sottolineare come questo debba intervenire il meno possibile per limitare il danno di erodere il capitale sociale. Come ad esempio nel caso del welfare che distribuendo sussidi ha distrutto, per molti, i “tessuti di self help” comunitario. Nasce così l’esigenza di spostare il proprio raggio di osservazione dalla politica alla cultura, per cui il capitale sociale diventa il tema delle “funzioni della cultura” per l’integrazione sociale. Il capitale sociale diviene “cultura condivisa”. Cultura intesa come “abitudine etica ereditata” che è la fonte della fiducia e costituisce il capitale sociale (Fukuyama, 1996). Il problema è che il capitale sociale che era tipico delle società tradizionali su piccola scala è messo in crisi dalla modernizzazione (Coleman, 1990, p. 652)126. Evidenziando come la modernità in cui viviamo non riesca a (ri)produrre alcune delle risorse di integrazione di cui necessita, sprecandone altre. Già Habermas evidenziava come il “capitalismo vive di risorse culturali” che trova in forme precedenti di società e che consuma senza essere in grado di riprodurre (1976). Detto altrimenti le risorse culturali di una società sono ereditate sì ma la società che le consuma non saprebbe come riprodurle. La produzione, invece, avviene sul piano dell’interazione in quella differenza che anche per Coleman è da ricollocare nel pensare al micro e macro. Intanto l’interazione diretta face to face serve oggi per comprendere una società in cui esistono parallelamente interazioni a distanza e indirette. Gestite in quei “grandi sistemi di interazione formalizzati” (Luhmann, 1990; Giddens, 1990) tra una micro interazione e una macro società127. Infondo la political
126 Per Nisbet, Coleman ricorda Weber nel processo di razionalizzazione, “l’erede dei classici della sociologia” che hanno costruito le categorie della modernità per differenza (1977).
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Coleman cerca di muoversi dal micro verso il macro, nella sua costruzione teorica generale. Interessato poi a vedere le conseguenze del macro per il micro, la distruzione di capitale sociale a piccola scala nei processi di formalizzazione. La conseguenza del micro sul macro, cioè l’utilità per l’integrazione sociale del capitale sociale prodotto nell’interazione diretta. Così se Coleman adotta un paradigma di azione,
economy tradizionale ha sottovalutato aspetti messi in luce dal capitale sociale. Riducendo l’analisi alla sola coppia Stato-mercato. Di contro la teoria del capitale sociale nell’analisi comparata dei capitalismi può essere pensata come “ideologia della spoliticizzazione della vita sociale” nell’era della globalizzazione. De facto il capitale sociale svolge un ruolo chiave anche nello sviluppo locale per una riformulazione del ruolo dello Stato nelle “politiche di sviluppo delle aree arretrate”. Così che per Trigilia le “istituzioni pubbliche di livello extralocale dovrebbero aiutare dall’alto i soggetti locali a mobilitarsi dal basso, a produrre e impiegare efficacemente il capitale sociale come strumento per accrescere le conoscenze specializzate” (Bagnasco, Piselli, Pizzorno, Trigilia, 2001, p. 128). Ciò può avvenire solo con il coinvolgimento dei soggetti sociali locali. Identificando ciò che Evans definisce “embedded autonomy” (1995), cioè l’autonomia socialmente e localmente radicata dell’azione politica. Il passaggio da un’organizzazione fondata sulla produzione ad una basata sul consumo a cui si lega il processo di globalizzazione, aumenta di molto l’importanza dei network di relazioni (dunque di capitale sociale). Aprendo maggiori spazi ad un’azione consapevole dei soggetti locali per incidere sul proprio destino (Bagnasco, Piselli, Pizzorno, Trigilia, 2001, p. 128). Un futuro in cui possano essere sufficienti le risorse per le generazioni future, per cui prende avvio un senso di responsabilità legato al perseguimento di un bene comune alto e di relazioni che si aprono non più e solo alle necessità del hic et nunc, ma anche del domani. In tale prospettiva e per la progressiva e veloce ascesa di Internet, caratterizzata dall’esplosione di social media come Facebook, Twitter, Youtube e molti altri, e l’uso di narrazioni che si muovono in parallelo a temi di pubblico interesse o ritenuti rilevanti, prende forma una definizione di cittadinanza in relazione all’uso pubblico che si fa di questi spazi di condivisione. Così che i tradizionali concetti di cittadinanza, fondanti su diritti civili, sociali e politici e la partecipazione politica formale, si affiancano ad attività culturali, consumi e stili di vita come aspetti rilevanti della stessa cittadinanza, contribuendo a tessere l’idea di identità e appartenenza (Van Zoonen, 2005; Couldry, 2006).
Si rende evidente il concetto di “cittadinanza culturale”, per cui il senso di appartenenza e responsabilità assieme a quello di passioni ed emozioni sono aspetti inseparabili. Per cui le culture creative “Creatives culture” (Ray, Anderson, 2001; Cheli, Montecucco, 2009) di cittadini attenti e sensibili ai problemi del mondo, come possono essere le tematiche ambientali, l’ecosistema, ma anche la crescita sociale, l’equità e le pari dignità, riformulano l’osservazione del concetto di cultura civica. Cultura creativa di cittadini che si impegnano per migliorare la società in cui viviamo. La rete, nella possibilità di comunicazione orizzontale e circolare, a basso costo e che arriva ovunque nel pianeta, diviene un buon supporto nell’impegno civico dei creatori culturali, rivestendo un ruolo di peso nella creazione di modelli sociali. Soprattutto perché permette ai cittadini di scambiare opinioni, confrontarsi, partecipare per il perseguimento di un progetto comune. La comunicazione vera produce capitale sociale, crea una rete di relazioni attorno a valori condivisi ed è il prerequisito
Putnam e Fukuyama un paradigma deterministico-causale. Cfr. R. Boudon, 1981, Effetti «perversi»
per poi innescare una partecipazione democratica e attiva (Cheli, Montecucco, 2009). I media digitali, ma in qualche modo anche quelli tradizionali di comunicazione, divengono uno strumento sociale in cui si manifestano coesione e confronto tra attori differenti, intorno anche a temi di pubblico interesse. Ritrovando quel senso di collettività che sembra disegnare l’era della cultura digitale. Una società dell’immagine ove si muove una cultura creativa di impegno civico. Per cui molto ha contato il supporto dei social media, spazi sociali e democratici che giocano un ruolo importante nella vita di molte persone, dove tutti possono pubblicare tutto, differentemente da quanto fatto nei primi mass media di massa, principalmente tv e radio. Ambienti di relazione e connessione in cui è possibile la circolazione di idee e informazioni. Offrendo la possibilità di dar voce a quei gruppi sociali un tempo esclusi dal dibattito politico. Se difatti i nuovi media sostengono la diffusione del “networking personalizzato” (Wellman, 2001) come forma dominante di legame sociale, per Jenkins l’ambiente mediale promuove “cultura convergente” (2006), spostando, ma anche trasformando, i confini tra produzione e consumo di prodotti mediali. Gli utenti divengono in modo crescente co-produttori o produttori-consumatori (prosumer)128 di contenuto (sia modificando i prodotti mediali attraverso la condivisione e manipolazione, che producendo autonomamente contenuti user generated)129. Pratiche creative bottom “dal basso” che non solo alterano la relazione tra i consumatori e l’industria culturale, ma che di fatto rinnovano relazioni con le istituzioni e la politica (Jenkins, 2006), incoraggiando quelle che Bennett definisce “forme di partecipazione civica e mediale” (2008).Social media in cui si sperimenta la possibilità di una nuova forma di partecipazione civica, dove i cittadini divengono gli ideatori di un discorso pubblico alternativo.
Sviluppando un concetto del tutto nuovo di cittadinanza che già Connolly definiva essenzialmente controverso (1974)130. In generale si può dire che il concetto di cittadinanza si definisce in relazione al rapporto tra la nazione e lo Stato e le caratteristiche di appartenenza a quest’ultimo, l’identità, i diritti personali e in alcuni casi costituisce il livello di accesso ai servizi sociali. Un concetto che come si può comprendere si è andato modificando negli ultimi anni. La nozione tradizionale di cittadinanza è basata essenzialmente sui diritti e sulla base formale di partecipazione politica. A conferma di una visione che
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A. Toffler, (1980), La Terza ondata, Sperling & Kupfer, Milano. Il termine prosumer, coniato da Alvin Toffler come compressione delle parole produttore-consumatore, è ripresa anche da Kotler Philip nel 1986 nell’uso di “un nuovo tipo di consumatore”. “E’ anche coinvolto, almeno implicitamente, in attività di co- valore creazione” (Prahalad, Ramaswamy, 2004), dominante logica del servizio del marketing (Lush, Vargo, O’Brien, 2006). George Ritzer inizia a ragionarci nel suo famoso testo “Mcdonalizzazione della società” (G. Ritzer, 1983) in cui affronta la questione di come “mettere il cliente al lavoro” per riprenderlo successivamente soprattutto per Internet e il Web 2.0 (come sottolineato dallo stesso Ritzer) anche in (Tapscott, Williams, 2006).
129 Il contenuto generato dagli utenti (User-Generated Content o UGC in inglese) è nato nel 2005 negli ambienti del web publishing e dei new media per indicare il materiale disponibile sul web prodotto da utenti invece che da società specializzate. Essa è un sintomo della democratizzazione della produzione di contenuti multimediali reso possibile dalla diffusione di soluzioni hardware e software semplici ed a basso costo. Definizione in wikipedia, dizionario enciclopedico on line, in (http://it.wikipedia.org/wiki/Contenuto_generato_dagli_utenti)
130 Cfr.Jensen J. L., (Paper), Aspetti mutevoli della cittadinanza nell’era dei media digitali, in
non scarta la cultura e gli aspetti emozionali che si legano alla cittadinanza. Un concetto in cui si rende sempre più difficoltoso definire i confini tra politica e non politica principalmente alla luce di piattaforme multimediali dove i profili culturali di cittadinanza prendono forma e mutano al mutare di nuovi strumenti messi a disposizione dalle nuove tecnologie digitali. Tanto che mentre tv, radio o anche giornali, non avevano permesso un alto livello di interattività e coinvolgimento sociale, i social media invece divengono importanti nella vita sociale quotidiana di molte persone (più della metà degli italiani sono coinvolti nel social networking, in comunità e forum per la condivisione di contenuti). Tali riflessioni inducono a chiedersi qual è il valore di Internet nei dibattiti che prendono avvio attraverso petizioni che si muovono su social network, quale valore assume la partecipazione a gruppi o stili di vita e che differenza esiste con le forme di cittadinanza tradizionale? Utilizzando valutazioni qualitative, emerge che le dimensioni culturali e politiche devono oggi essere incluse nell’analisi dei modelli di cittadinanza. Viene ancora da chiedersi se gli usi di Internet per attività politiche nell’on line e off line, il capitale sociale e gli atteggiamenti di (s)fiducia verso lo Stato e le altre persone, costituiscono la base su cui ragionare per definire i nuovi ruoli del cittadino anche nella sua veste di consumatore? Di fatto il concetto di cittadinanza non si lega solo a diritti-doveri del cittadino ma anche al senso di appartenenza alla comunità nazionale ed alle questioni di appartenenza. Lo Stato nazione ha, dalla sua costituzione democratica, funzione di tutela di tali diritti che finanzia anche attraverso la raccolta fiscale. Dal dopoguerra in poi questi diritti, nelle democrazie occidentali, conquistati con fatica e battaglie, diventano scontati. Rimane aperto solo il dibattito sull’immigrazione e le prestazioni. Vi è così una corrispondenza tra la sfera dello Stato nazione e la sfera della cittadinanza. Lo Stato nazione definisce i diritti dei cittadini in quanto tali ed i doveri, ad esempio, come contribuenti mentre le società con più ampi diritti sociali si rappresentano etnicamente più omogenee, come nel caso dei Paesi scandinavi (Turner, 2001), i Paesi multietnici come gli Stati Uniti o l’Australia sono caratterizzati da diritti sociali meno estesi, sono i diritti culturali, dei consumi e degli stili di vita che come aspetti della cittadinanza contribuiscono alla creazione della propria identità e appartenenza (Stevenson, 2001; van Zoonen, 2005; Couldry, 2006). Prende forma una “cittadinanza culturale” con un senso di appartenenza e responsabilità limitatamente differente rispetto ai diritti e doveri di una cittadinanza formale. Dove si affacciano atti passionali e razionali accanto a responsabilità e senso di appartenenza altamente percepite. Un esempio di attività che si inserisce in questo concetto allargato di cittadinanza diviene il consumo politico. Persone-cittadini-consumatori responsabili, che sentono di poter fare la differenza con l’acquisto/consumo (boicottaggio/buycottaggio) di servizi o prodotti (ad esempio consumo di contenuto informativo/comunicazionale).
Ma comprendere la cittadinanza in termini culturali significa anche riprendere gli assunti dello storico tedesco Herder che ha focalizzato i propri studi sulle caratteristiche primordiali di popoli differenti: caratteristiche diverse per tedeschi, francesi, inglesi, italiani e così via. La scuola dell’obbligo, la standardizzazione del linguaggio scritto e parlato sono da ritenersi strategie
iniziali per garantire la comune identità nazionale entro dei confini spesso arbitrariamente costruiti in Stati nazione. Le strategie di sviluppo dei media di servizio pubblico come radio e tv, che ancora oggi godono di una posizione favorevole anche all’interno del libero mercato europeo, son servite a costruire un’identità globale. L’idea di una “virtù civica” di una “Bildung” (in tedesco) si spinge di pari passo alle identità nazionali. Qualunque sia il concetto di cittadinanza che si vuole sottolineare, i processi di globalizzazione come l’immigrazione e la diffusione in tempi rapidi dei new media digitali, hanno contribuito a legittimare il tradizionale legame e lo Stato nazionale sotto almeno tre sfide.
1. il libero flusso di beni, capitali e persone (almeno nel commercio dell’Unione Europea) e di altri libere aree con sfide ai diritti tradizionali, formali, civili e politici;
2. flussi di capitale globale e sfida alla sovranità dello Stato-nazione con la nascita dell’Unione Europea;
3. la maggior diversità globale e il flusso globale di simboli che influenzano la cultura omogenea degli Stati nazionali.
Oggi tutti possono accendere istantaneamente tv, radio e ricevere dati su Internet da tutto il mondo. La lotta tra la cultura alta, le élite culturali e la cultura “bassa” della gente di vita ordinaria corrono su rette cha a volte si incontrano. Così come è stato negli studi di Veblen e Bourdieu (1899, 1984). Non di rado la cultura ha soppresso quella bassa, principalmente perché le élite hanno controllato i mezzi di produzione culturali. La lotta tra cultura alta e bassa è anche una lotta di identità e appartenenza entro i confini dello Stato-nazione e nel rapporto con le persone. La cultura quotidiana (de Certeau,1984), poi, diviene importante tanto quanto la cultura dominante alta al fine di un’ampia comprensione della cittadinanza culturale. Alla luce di un’evoluzione percepita del concetto di cittadinanza per cui viene da chiedersi se i diritti politici devono essere interpretati come diritti culturali. Inglobando nel concetto di diritti culturali la protezione e il riconoscimento delle pratiche di minoranze culturali, come ad esempio nel caso della protezione della libertà di idee e opinioni che si può ottenere attraverso azioni positive nei confronti proprio delle “minoranze culturali” e di posizione (Turner, 2001). E’ chiaro che la cittadinanza culturale non può essere definita con i termini oggettivi di alcuni diritti politici ma da concetti legati ad un’esperienza soggettiva, al senso di connessione tra i cittadini. Per Annemarie Mol (2002) la cittadinanza culturale è: “una realtà in cui esistono decisioni condivise per capire e agire nel mondo”, intendendo la cittadinanza nel senso di “Pubblico connesso” (Couldry, Markham, Livingstone, 2007), esperienza soggettiva di cittadinanza. Sottolineando che si ha bisogno di prendere seriamente l’esperienza vissuta tra i cittadini e le pratiche quotidiane, come il senso dell’esperienza di appartenenza che ogni cittadino gioca secondo più ruoli: elettore, consumatore, spettatore ed altri.
Ogni azione e scelta della cittadinanza mira ad un bene, ad una morale, ci dice Hobbes già nel 1642 (Magri, 2005). Nell’insieme dei fini però deve
trovarsene uno supremo, cercato unicamente per sé che è la “felicità”, il bene umano che ancora per Hobbes si realizzava nella politica “la più architettonica delle scelte pratiche (Magri, 2005, p. XI). In nome di una ragione per cui sussiste il rispetto delle opinioni comuni e che si manifesta nella tendenza di ciascun soggetto alla verità morale. Lì dove ciascun soggetto si differenzia dall’altro anche nella tradizionale distinzione morale tra bene e male. Gli individui sono costretti a volere il male altrui e ciò costringe anche i più moderati nella difesa e contesa dei beni necessari alla vita. Beni che non si possono né dividere né consumare insieme. In Hobbes l’idea che l’azione degli uomini non possa essere orientata al bene comune costituisce la base del sistema moderno dei diritti naturali. Oggi invece, nel cambiamento non solo contingente ma strutturale, sappiamo non essere più una separazione concettuale così netta. Riaffermando l’idea che gli uomini vivono in società e non possono fare a meno l’uno dell’altro. L’amicizia costituisce una “virtù” ed è una cosa necessaria alla vita. La virtù fondamentale si instaura tra coloro per cui regna la fiducia e la giustizia. Forme di “amicizia”, “legami deboli” (Granovetter, 1998) che sono favorite dalle reti di relazione virtuale. In cui la diffusione e l’aumento dei media digitali hanno fatto emergere prospettive del tutto nuove, rafforzando lo stesso concetto di cittadinanza e rinnovando l’aspetto democratico (Hoff, 1999; Linaa Jensen, 2006).
Aspetto quest’ultimo per cui prendono forma emergenti campagne democratiche per dare voce a promesse democratiche che offrono nuove possibilità ai cittadini. Rinnovando le aspettative che si avevano anche per la tv, la radio, il via cavo (Arterton, 1987; Linaa Jensen, 2006). Promesse che possono ritrovarsi anche nei concetti di post industrialismo e post modernismo. Quando con il primo si è creduto di cambiare le condizioni economiche e di classe tradizionali e con il secondo si è pensato di influenzare profondamente i modelli esistenti di conoscenza sociale e dei ruoli. Prospettive realizzatesi solo in parte. Con Internet si sono andate costituendo prospettive riguardo la cittadinanza politica che si rafforzano in possibilità di discussione tra i cittadini e un maggior collegamento tra elettori e politici. Esther Dyson (1997) aveva previsto che Internet potesse influenzare i cittadini a partecipare ed agire. Douglas Schuler (1996) ha immaginato reti composte da nuove comunità capaci di discutere con i cittadini. Andrew Shapiro (1998) ha sottolineato che Internet rompe le attuali barriere comunicative ed istituzionali tra cittadini e politici. Per studi antecedenti a questi ultimi, le reti di comunicazione non avrebbero sviluppato possibilità di realizzare ideali democratici (Habermas, 1989; Gutman & Tompson, 1996). Mentre Benjamin Barber (1989) argomentava già della possibilità di una “democrazia forte” sulla base del vero, che obbliga la partecipazione piuttosto che il semplice processo formale di voto ogni 4 anni. Dal punto di vista culturale l’ascesa dei media digitali crea possibilità senza precedenti per i cittadini-consumatori di poter scegliere tra tutti i tipi di media diversi e di diventare produttori piuttosto che semplici consumatori (Bruns, 2008). I processi di convergenza dei media rafforzano le possibilità, come i mass media, di tradursi in pratiche quotidiane. Si deve però distinguere tra i tecnici che convergono in contenuti, generi, forme e piattaforme e la convergenza partecipativa (Jenkins, 2006). Ciò a dire che Internet facilita nuovi
modi di produzione e consumo in un mix di ruoli per i cittadini come nel caso dei produser (coloro che producono ma allo stesso tempo utilizzano contenuto) (Bruns, 2008). Concentrarsi oggi sulla comprensione sociologica della cittadinanza vuol dire concentrarsi sui fattori soggettivi, e non sui diritti politici o sociali, sull’idea del senso di connessione pubblica combinata alle domande sulla politica del consumo, discutendo del capitale sociale (fiducia), vita politica e senso di appartenenza (connessione) del consumo politico. Oltre i formali diritti politici, i cittadini possono fare la differenza in base alla propria soggettività politica, oltre che per la fiducia in se stessi. Su tale scia interpretativa, Almond e Verba (1963) avevano coniato il termine “competenza politica” mentre Barnes &Kaase (1979) suggerivano quello di “efficacia politica”. Rinviando, in tale distinzione, alla rilevanza dell’interesse politico dei cittadini e della loro convinzione che la partecipazione può fare la differenza.