Ragionare e capire sino in fondo la forza di una rivoluzione, qualunque sfera essa tocchi, principalmente mentre è in corso, si rivela un’impresa di certo non facile. Quante volte quelle che sembravano delle rivoluzioni, rivedute alla luce di una consapevolezza che la storia regala, possono apparire di fatto una semplice e superficiale agitazione? Ma in nessun altro momento si tratteggiano così tante speranze, attese e convinzioni come nel corso di una rivoluzioni (Ciotti, Roncaglia, 2000). Una situazione che oggi più che mai costituisce un presente in cui la rivoluzione digitale promette, grazie ai propri protagonisti e sostenitori, di cambiare in modo radicale e in meglio sia il funzionamento globale della società sia la vita degli individui. Pur tuttavia generando paralleli timori tra coloro che credono che tali rivoluzioni possano concepire involuzioni e regressioni. Tensioni ideologiche dettate dal presupposto che alla base dei mutamenti in corso si pone una diffusione della tecnologia nella vita sociale. Una vita sociale in cui l’immaginazione acquista uno straordinario potere nella vita quotidiana degli uomini di diverse parti del mondo che sognano e immaginano una “vita possibile”, più ricca di opportunità di quelle che avrebbero potuto sperare in passato per quel mutamento che ha avuto vita già con i mass media generalisti di massa (Beck, 2009, pp 73-74). L’evoluzione e l’affermarsi delle nuove tecnologie di informazione e comunicazione portano in sé nuove fasi di trasformazione: una fase è quella che riguarda l’ascesa delle economie digitali a cui si legano potenzialità ma anche rischi, l’altra fase si colloca sull’asse del rapporto tra tecnologie e politica. In questo ultimo caso i mutamenti si collocano su due piani differenti di osservazione: l’uno che vede dei sostanziali cambiamenti nel funzionamento della politica e delle sue istituzioni attraverso le nuove tecnologie della comunicazione, modificando i meccanismi stessi della politica; l’altro piano di osservazione, di grande interesse per questo lavoro, coglie dei sostanziali mutamenti nel modo di percepirsi della società civile e di ogni singolo cittadino che nel pieno di una consapevole responsabilità che investe il proprio ruolo di consumatori danno vita a movimenti “culturali” al fine di supportare istanze rivolte al bene comune (si pensi in tal senso al movimento ecologista o anche al movimento delle donne interessato soprattutto a diffondere una cultura di uguaglianza delle donne). Movimenti culturali che trovano la propria culla principalmente in quei mutamenti culturali (intendendo per mutamenti culturali quei “valori e convinzioni elaborati dalla mente umana su scala sufficientemente ampia da interessare la società nel suo insieme”95) che si combinano con i cambiamenti politici.
Le trasformazioni in atto, sia economiche che politiche hanno dato vita a dei mutamenti sostanziali. Se si pensa alla politica, ad esempio, si assiste a un mutamento nelle sue linee di funzionamento che si possono riassumere nei due volti della dialettica: l’uno prende in considerazione gli entusiasti della rivoluzione digitale capace di sviluppare un nuovo modello di relazione tra i cittadini e le istituzioni al fine di un nuovo modello di democrazia (o meglio di e- democracy)96, di contro uno opposto costituito da quanti individuano in questo nuovo modello proposto dalla politica importanti rischi inconsapevolmente inevitabili. Si pensi ad esempio alla soluzione adottata dall’Islanda dopo che il movimento di indignazione, nato nel 2008 dal cantante Hörður Torfason e amplificato da Internet, a causa del collasso finanziario e della profonda crisi politica, ha dato avvio ad una riforma costituzionale fatta con la partecipazione dei cittadini97. Così che nel novembre del 2010 è stato creato un comitato di venticinque cittadini per supervisionare il processo costituzionale. Le riunioni del comitato vengono trasmesse in streaming su Facebook. Nel 2011, usando i social network, migliaia di persone hanno presentato le loro proposte. Sono stati estratti a sorte 950 cittadini per discutere gli aspetti principali della costituzione e informare in tempo reale della discussione su Twitter. A luglio è stata approvata una bozza da sottoporre a referendum. Molti non credono che la soluzione islandese sia applicabile ad altri contesti. Soprattutto per quei rischi che gli scettici individuano nella possibilità di una società del controllo. Rischi che possono emergere nel momento in cui il nuovo modello di democrazia non venga governato in modo consapevole. Una società in cui i poteri centrali potrebbero, sfruttando le nuove tecnologie, divenire simili a quel “Grande Fratello” immaginato nel romanzo “1984” da George Orwell98. Istituzioni alla deriva in cui la democrazia, le città, i tribunali, le scuole hanno perso la loro
96 e-democracy nel senso di democrazia digitale o democrazia elettronica sta qui ad indicare le forme di partecipazione diretta alla politica attraverso le nuove tecnologie della comunicazione.
97 L’Islanda era diventata il paradigma di una crescita basata sulla speculazione finanziaria. Nel 2007 era il quinto Paese del mondo per reddito pro capite, una ricchezza generata dall’espansione di un settore finanziario dominato da tre grandi banche, che avevano alimentato con un credito facile l’aumento della domanda interna e avevano gonfiato il loro capitale usando azioni di una banca per comprare quelle delle altre e aumentarne il valore. Nel 2007 il patrimonio bancario equivaleva all’800 per cento del Pil. Per nascondere i maneggi le banche avevano creato delle aziende in paradisi fiscali, usando i loro capitali gonfiati come garanzia per chiedere altri prestiti internazionali. Non sono riuscite a farla franca, e nel 2006 l’agenzia di rating Fitch ha declassato l’Islanda, provocando una minicrisi. Le banche hanno scelto la fuga in avanti: hanno creato dei conti online ad alto rendimento (Icesave) e li hanno pubblicizzati in Inghilterra e nei Paesi Bassi. Era un classico schema piramidale: quello che incassavano dagli uni serviva a pagare gli altri. Si scambiavano titoli di debito tra loro, usandoli come garanzia per ottenere prestiti. Nell’aprile del 2008 il Fondo monetario internazionale ha detto al governo islandese di controllare le sue banche. La risposta è stata chiedere nuovi prestiti internazionali. A settembre la Banca centrale ha comprato il 75 per cento delle azioni della banca Glitnir. A quel punto è crollata la fiducia nel sistema finanziario: nell’ottobre del 2008 il valore delle azioni e degli immobili è precipitato, e in molti sono rimasti senza risparmi e senza lavoro. Le banche sono fallite. Sembrava un vicolo cieco. Ma a quel punto sono intervenuti i cittadini. In migliaia si sono uniti a Torfason occupando la piazza Austurvöllur di Reykjavik nel gennaio del 2009. La protesta è proseguita per giorni, portando allo scioglimento del Parlamento e a nuove elezioni.
98
“1984” è il romanzo di George Orwell scritto nel 1948 (seppur pubblicato nel 1949) in cui si descrive una società indesiderabile sotto vari punti di vista, lì dove l’autore immagina un futuro prossimo, il 1984 appunto, in cui il mondo sarà diviso in tre grandi potenze totalitarie perennemente in guerra fra loro e che sfruttano lo stato di guerra perenne proprio per mantenere il controllo sulla società.
definizione e si sono oramai sbriciolate sotto l’occhio di classi dirigenti che vogliono durare ma non dirigere, perché questo significherebbe governare e decidere.
Ma accanto alla debolezza delle istituzioni politiche nel mettere in campo efficaci programmazioni, molti sentono la necessità di ritrovarsi e riconquistare la propria identità in movimenti collettivi e sociali. E’ questo il caso di quanto è avvenuto ad esempio in Tunisia da parte di movimenti spontanei nati per rovesciare il dittatore tunisino Ben Ali, frutto di una ribellione che prende vita da una spinta collettiva ma priva di una strategia centrale, che si nutre solo dell’indignazione di migliaia di giovani disposti a rischiare la loro vita, dopo aver assistito alla morte del giovane ambulante Mohamed Bouazizi che si è dato fuoco nella città di Sidi Bouzid per protestare contro l’umiliazione quotidiana a cui era sottoposto dalla polizia locale. Molti i giovani che si sono riconosciuti in questo gesto, il suicidio per salvare la dignità, in un Paese in cui la disoccupazione giovanile supera il 40 per cento. Quando la polizia ha occupato Sidi Bouzid la rivolta si è estesa ad altre città arrivando fino a Tunisi. E quando, dopo 72 morti, l’esercito riceve l’ordine di aprire il fuoco, i comandanti si rifiutano di farlo schierandosi contro la polizia politica. Man mano che la ribellione si diffondeva, il movimento si amplifica fino a che i mezzi di comunicazione indipendenti, Al Jazeera in primis, che il pubblico ha preferito all’ambigua propaganda ufficiale, informano e ritrasmettono le immagini e i messaggi pubblicati dai dimostranti principalmente caricando le immagini su YouTube e poi su Twitter e Facebook, attivando sms, fino a costruire un sistema di comunicazione e organizzazione privo di centro e di leader che funziona in modo molto efficace, travolgendo censura e repressione. Portando alla ribalta la centralità dei soggetti che cercano di dare senso e valore al disordinato e instabile universo della modernità99.
99 Per Touraine, così come per Simmel, gli oggetti di studio della sociologia sono le relazioni e le azioni a partire dalle quali la società assume la sua forma storica. «Il senso di un’azione non si riduce né all’adattamento dell’attore a un sistema più o meno istituzionalizzato di norme sociali, né alle operazioni dello spirito che ogni attività manifesta» Cfr. A. Touraine, 1965, Sociologie de l’action, Editions du Seuil, Paris. Per il sociologo francese l’attore è “il movimento sociale” in quanto sono questi ad agire e a produrre l’innovazione anziché riprodurre la società. Infondo nella cultura settecentesca parlare di “individui” significò soprattutto affermare il principio dell’uguaglianza naturale di tutti gli uomini. Diffondendosi a quei tempi un’istanza critica contro la cultura feudale e aristocratica che tendeva in genere a riconoscere differenze essenziali fra gli uomini in base alla nascita. Così che un signore poggiava, ad esempio, su una scala sociale più elevata di un servo. Solo nell’Ottocento, poi, si diffonde l’idea che gli uomini siano di fatto tutti uguali di fronte al diritto e dissimili solo in relazione alla loro intimità. Definendo l’importante idea secondo cui il compito etico di ogni individuo è di realizzare ed esprimere la propria unicità. Da qui gli studi del sociologo tedesco Georg Simmel si rendono fondamentali. Simmel individua un certo dissidio tra l’individuo e la collettività. (Simmel è il primo dei padri della sociologia a porre l’individuo al centro degli studi delle scienze sociali). Dissidio astratto che se da un lato la collettività richiede al singolo di coordinarsi con gli altri per l’espletamento di certi compiti per la sopravvivenza, dall’altro lato ogni individuo può ritenere che il proprio fine non sia solo quello di cooperare per la sopravvivenza della società o del benessere generale, ma obiettivo principale è quello di realizzare se stesso al di là di ciò che la società potrebbe aspettarsi da lui. Cfr. G. Simmel, 1918,
Il conflitto della cultura moderna, trad. it., Id., 1976, Il conflitto della cultura moderna e altri saggi,
Entman, 2004, p.10
Individui-attori, produttori/consumatori di contenuto, cittadini-consumatori nella loro idealtipizzazione, che in modo responsabile cercano di esprimere le proprie istanze aderendo individualmente a movimenti culturali a causa delle lotte innescate dai conflitti sociali per il perseguimento dei diritti dell’uomo. Lì dove i controlli dei sistemi sociali, culturali e politici, stabiliti da famiglie, scuole, stati e chiese, appaiono sempre più deboli e frammentati. Di fronte alle conseguenze di un modello economico-finanziario incosciente, per cui a contare è stato il rapporto PIL/benessere100 come indicatore utile per migliorare la nostra vita, ad un evidente ed eccessivo sbilanciamento tra accumulazione della ricchezza e distribuzione delle risorse, e alla debolezza delle istituzioni politiche nel mettere in campo efficaci programmazioni, molti sentono la necessità di ritrovarsi e riconquistare la propria identità nei movimenti collettivi e sociali. Come è stato per i recenti movimenti della Primavera Araba, ai meno felici movimenti razziali che hanno preso avvio in Europa in seguito alle migrazioni internazionali e che interessano ogni Paese. Per ritornare a ritroso con la memoria sino ai movimenti nell’Europa sovietica del passato che catturavano al tempo stesso idee politiche sociali ed economiche.
Se “alla fine dell’Ottocento i sociologi ci hanno insegnato che eravamo passati dalla comunità chiusa nella sua identità alla società, l’evoluzione che
100 Tra gli obiettivi ultimi dell’UE dal nome Europa 2020, il PIL (prodotto interno lordo) utilizzato per molti versi come indicatore di soddisfazione e crescita delle nazioni non è più ritenuto un indicatore affidabile. La nuova strategia dell’UE, nel definire gli obiettivi di crescita – sviluppo e sostenibilità per il 2020, prevede la necessità di un agire collettivo come punto fondamentale, ponendo un forte accento sull’importanza dello strumento partnership tra gli Stati, ma anche tra Stati ed altri soggetti (associazioni, università, imprese...). Attori il cui fine sarà il perseguimento di una crescita intelligente, in tal caso un'economia basata sulla conoscenza e sull'innovazione. Una crescita sostenibile per cui promuovere un'economia più efficiente sotto il profilo delle risorse, più verde e più competitiva. Una crescita inclusiva per un'economia con un alto tasso di occupazione che favorisca la coesione economica, sociale e territoriale. Governo Altre èlite Media Frame notizie Pubblico
stiamo vivendo è quasi opposta” ci dice Alain Touraine (1993, 1998). “Dalle rovine delle società moderne e delle loro istituzioni escono, da un lato, circuiti globali di produzione, consumo e comunicazione e, dall’altro, un ritorno alla comunità”. Ciò a intendere che seppur il mondo è divenuto un “villaggio” in cui si vive, grazie anche alle tecnologie della comunicazione, in una qualche misura più insieme su tutto il pianeta, allo stesso tempo si rafforzano e moltiplicano la formazione di “gruppi identitari” (sette, culti, nazionalismi) in cui poter condividere storia e credenze, rifiutando il più delle volte chi è diverso dal gruppo. Come nel caso dei movimenti xenofobi nati contro le migrazioni internazionali e che hanno coinvolto l’intero pianeta. Nei movimenti culturali ad assumere importanza diviene l’orientamento della storicità (intesa quest’ultima come l’“insieme di modelli culturali, cognitivi, economici, etici) attraverso i quali una collettività costruisce le proprie relazioni con l’ambiente. Fine che viene giocato attraverso quei conflitti sociali per perseguire obiettivi specifici e concreti. Così che i diritti sociali divengono il live motive delle lotte contemporanee. E se anche i conflitti si pongono sul piano immateriale dell’astrattezza perseguendo valori culturali e visioni del mondo, gli obiettivi che i movimenti vogliono raggiungere sono costituiti da contenuti di certo materiali. Al centro delle lotte dei movimenti ci sono i diritti civili e morali che il sistema politico, tanto locale quanto globale, non è più in grado di attuare. Da qui la necessità non più di essere riconosciuti in quanto membri di una società ma che vengano riconosciuti i diritti dell’uomo. I movimenti “culturali” si appellano alla coscienza degli individui e sostengono la volontà di essere i soggetti della propria esistenza, a livello personale e collettivo. La novità risiede proprio nei movimenti culturali in grado di “orientare” l’economia e, come sottolineato anche da Touraine (1998, 1997, 1993), non esiste soluzione economica che non debba passare attraverso questi movimenti e le istanze che rappresentano. Le loro battaglie si dimostrano l’unico modo per evitare che la caduta del sistema attuale si dimostri rovinosa, e allo stesso tempo gettano le basi nella realizzazione di un nuovo modello, in grado di non sottomettere più la cultura e la società all’autodistruttiva accumulazione capitalistica.