Nell’orientamento delle scelte e nel comportamento di consumo sostenibile si viene a delineare uno specifico rapporto tra l’individuo e l’ambiente in cui vive, inteso questo come ambiente naturale e come modello d’organizzazione socio-economico, ed inoltre descrive le aspettative del soggetto riguardo al futuro. La sostenibilità riguarda la capacità di un sistema di mantenere un equilibrio nel tempo, soddisfacendo le esigenze del presente senza compromettere la possibilità di soddisfare quelle che si presenteranno nel futuro, garantendo in questo modo la durata e la possibilità di vita del sistema stesso. La sostenibilità, come problema in rapporto al sistema produttivo, acquista rilievo internazionale nel 1987 con il Rapporto Brundtland, dal nome dell’allora Primo Ministro norvegese presidente della commissione ambiente e
degli ultimi cinquant’anni, potrebbe sembrare una scelta frivola. In realtà Bernanke rientra in una corrente sempre più nutrita di professori, politici e imprenditori che stanno cominciando a prendere sul serio quello che i sondaggi mostrano sistematicamente: alla gente interessa soprattutto essere felice, anche se poi ognuno lo intende a suo modo. Il denaro non fa la felicità e neanche il consumo. Il primo paese che ha deciso di cambiare la sua unità di misura del progresso sostituendo il calcolo del prodotto interno lordo con l’indice di felicità nazionale lorda è il Bhutan. Proposto nel 1972 dal re Jigme Singye Wangchuk, l’indice è diventato il parametro di sviluppo multidimensionale del paese, che combina tra loro quattro obiettivi: uno sviluppo economico equo e sostenibile in cui la crescita si traduca in benefici sociali per i cittadini, la conservazione dell’ambiente naturale, la difesa e la promozione dell’identità culturale butanese, un buon governo che garantisca la stabilità istituzionale e sociale da cui dipende l’armonia della vita quotidiana. L’indice nazionale di felicità si basa su alcuni princìpi buddisti radicati nella cultura del Bhutan, ma la sua applicazione può essere estesa a qualunque paese o regione che scelga l’armonia come principio di organizzazione sociale.
sviluppo delle Nazioni Unite, in cui si definisce la cornice di sviluppo sostenibile: “lo sviluppo è sostenibile se soddisfa i bisogni delle generazioni presenti senza compromettere le possibilità per le generazioni future di soddisfare i propri bisogni”. 76 Il tema della sostenibilità entra a pieno titolo nell’agenda delle istituzioni e dei governi, già scottati dalla crisi petrolifera che negli anni settanta ha investito le economie dei paesi più industrializzati. Lo sviluppo responsabile/sostenibile si pone l’obiettivo di mantenere la crescita economica all’interno di parametri di sostenibilità. La responsabilità/sostenibilità fa riferimento a differenti aspetti tra loro legati e che sono esposti in questo capitolo come i rischi della società planetaria quali l’ambiente, l’economia, la società e le istituzioni.
L’ambiente rappresenta il punto di vista principale attraverso il quale viene affrontato il tema della sostenibilità, è quello che emerge principalmente nei dibattiti e nella pubblicistica in ragione del fatto che il grado di salute dell’ambiente ha conseguenze dirette sulla nostra vita o su quella delle generazioni future. Inoltre l’aspetto ambientale è strettamente legato a quello economico dal momento che il sistema produttivo necessita di risorse naturali per poter funzionare. Il problema della responsabilità/sostenibilità ambientale è emerso in modo rilevante negli ultimi anni per i danni che si stanno producendo nei confronti dell’ambiente in conseguenza dell’affermarsi di un modello di sviluppo economico, basato sulla crescita continua della produzione e del consumo che rischia di compromettere l’equilibrio dell’eco-sistema. Con il rapporto Brundtland i Paesi scoprirono di non vivere in ambiti riservati piuttosto soggetti alle azioni intraprese da altri. Da qui l’emergere di una nuova categoria di problemi: le “questioni globali”. Si sviluppa la consapevolezza della necessità di un corretto rapporto tra crescita economica e ambiente. Inoltre, precedentemente, la crisi petrolifera degli anni settanta aveva mostrato ai governi “che la crescita continuata non dipendeva solo dalla formazione del capitale o della mano d’opera qualificata, ma anche dalla disponibilità a lungo termine delle risorse naturali”.77 Tra i temi messi in primo piano in tal senso vi sono quelli sulle fonti d’energia che rappresentano, nel vero senso della parola, il combustibile per il nostro sistema produttivo, indispensabili per fare funzionare le fabbriche nonché per i molteplici utilizzi nella vita quotidiana, dall’auto al riscaldamento, dall’energia elettrica alle confezioni dei prodotti e così via, in tutti i settori della produzione e del consumo. Le principali fonti d’energia sono costituite dai combustibili fossili: petrolio, carbone, gas naturali, che insieme rappresentano circa l’ottanta per cento delle fonti di energia utilizzate. I combustibili fossili, insieme alle biomasse ed alla legna da ardere che rappresentano un altro dieci per cento nel totale dell’utilizzo, sono fonti d’energia primarie, cioè direttamente presenti in natura. L’energia elettrica largamente utilizzata nell’uso quotidiano per la sua facilità nel trasporto e nell’utilizzo rappresenta una fonte d’energia secondaria; la sua produzione, però, avviene principalmente attraverso l’utilizzo di combustibili fossili e questo, di fatto, la ricollega direttamente alle fonti d’energia primarie. Il problema legato a questo tipo di fonti sta nel rapporto tra il loro utilizzo ed il tempo necessario
76 Cfr. E. Tiezzi, N. Marchettini, (1999), Che cos’è lo sviluppo sostenibile?, Donzelli, Roma 77 Cfr. W. Sachs, (2004), Dizionario dello sviluppo, EGEA Editore, Torino
perché si riproducano. Tanto che mentre i combustibili fossili hanno impiegato milioni di anni per costituirsi, noi li stiamo consumando ad un ritmo frenetico. Si valuta che le riserve di carbone possano soddisfare le richieste energetiche per i prossimi cento anni, mentre per il petrolio tale capacità scende a circa quarant’anni. Si deve inoltre considerare che il sistema economico mondiale è in rapida evoluzione e che lo sviluppo industriale di Paesi di grandi dimensioni quali India, Cina e Brasile concorreranno ad aumentare la richiesta verso tali fonti d’energia. Tanto che con molta probabilità il problema annesso all’esaurimento delle riserve primarie sarà di grande importanza nei prossimi anni. Per ora, l’alternativa che si è trovata negli ultimi anni ai combustibili fossili è stata l’energia nucleare. La fissione nucleare sta alla base di tutte le energie presenti nell’universo. Una piccola quantità di massa è in grado di produrre enormi quantità di energia e anche se l’uranio, il minerale utilizzato per la fissione nucleare, è presente in natura in quantità minore rispetto ai combustibili fossili, la quantità necessaria alla produzione d’energia è minore rispetto a quella richiesta da quest’ultimi. Questo aspetto presenta quindi dei vantaggi in quanto sono minori sia la quantità di materiali da trasportare che la quantità di rifiuti prodotti. Il maggiore vantaggio però nell’utilizzo di questo tipo d’energia, consiste nel fatto che la fissione nucleare non produce anidride carbonica e non inquina l’atmosfera. Di contro però, nonostante che i rifiuti prodotti dalle centrali siano maggiormente contenuti, è accertato che essi sono particolarmente pericolosi. I prodotti della reazione della fissione sono altamente radioattivi e devono essere trattati con tecniche particolari sia in fase di trattamento e trasporto che in fase di collocazione, in siti geologici profondi e protetti. Inoltre le centrali nucleari sono sotto la luce di critiche da parte dell’opinione pubblica sulla loro sicurezza; soprattutto dopo i recenti episodi come nel caso del reattore di Fukujma dove la commistione di errori umani sommati alle catastrofi naturali che hanno dato luogo a ripetuti terremoti causa dello sfaldamento del terreno ove si collocava la centrale nucleare e che ha dato luogo alla fusione del nocciolo del reattore nucleare provocando la fuoriuscita di materiale radioattivo altamente inquinante e nocivo per la salute degli esseri viventi. Causando migliaia di morti e con molta probabilità danni ancora non calcolabili. Non di minor importanza è il problema ambientale che si lega principalmente all’uso di combustibili fossili: l’inquinamento. Problema sentito soprattutto nelle grandi città, dove si concentrano il maggior numero di mezzi di trasporto che contribuiscono all’innalzamento dei valori di gas inquinanti e polveri sottili, ancora una volta, altamente nocivi per la salute degli essere viventi. A questi aspetti si somma il pericolo causato dalla continua e crescente combustione di fonti fossili a scopo energetico, in tutti gli ambiti del sistema produttivo, accompagnato da una progressiva deforestazione ha determinato un aumento dei gas serra nell’atmosfera con conseguente innalzamento della temperatura del pianeta e mutamenti delle condizioni climatiche. La ricerca di una soluzione a questi problemi, ancora lontana da venire, sta comunque portando a sviluppare fonti d’energia alternative; fonti rinnovabili il cui utilizzo non comprometta le risorse per un utilizzo futuro; energie pulite che riducano l’inquinamento e non costituiscano un problema per la salute delle persone e del pianeta. Appartengono a questa categoria l’energia geotermica generata per mezzo di fonti geologiche di calore, quella eolica che sfrutta la forza del
vento, quella idroelettrica che sfrutta il movimento dell’acqua e quella solare. Siamo ancora in fase di ricerca. La speranza è nello sviluppo di nuove tecniche in grado di aumentare il livello di energia prodotta e quindi di rendere più conveniente di adesso l’utilizzo di queste fonti di energia.
Una soluzione solo parziale che si accompagna ai rischi per l’ambiente, in cui non di meno si ritrovano i rischi legati allo smaltimento dei rifiuti. Nella società dei consumi in cui viviamo abbiamo tutto a nostra disposizione. Negli scaffali dei supermercati possiamo trovare ogni tipo di prodotto. Facendo riferimento nello specifico a prodotti alimentari ne troviamo di ogni genere e provenienza indipendentemente dalla stagionalità. Tutti o quasi i prodotti di qualsiasi genere sono rigorosamente confezionati. La confezione, in effetti, salvaguarda il prodotto che in un sistema produttivo e distributivo globale come il nostro si trova a percorrere grandi distanze prima di arrivare nello scaffale del negozio. L’aspetto negativo è che ci troviamo quotidianamente quantità sempre maggiori di rifiuti da smaltire che devono trovare una loro collocazione. Il riciclo dei materiali di scarto appare la soluzione migliore al momento che permette, da una parte, lo smaltimento dei rifiuti e dall’altra, il recupero e il riutilizzo dei materiali riciclati alleggerendo in tal modo lo sfruttamento delle risorse naturali con cui tali materiali vengono prodotti. I rifiuti possono così trasformarsi da problema a risorsa (Tiezzi, Marchettini, 1999). La raccolta differenziata, presupposto necessario per il recupero dei materiali di scarto, è però lontana dal raggiungimento degli obiettivi che le amministrazioni locali si sono prefisse. Per quanto esempi virtuosi in tal senso sono iniziati in piccoli paesi del Sud, del centro e del Nord dell’Italia, agevolando la popolazione più anziana la raccolta a domicilio.
La sostenibilità ambientale si compone dunque su vari aspetti: da una parte l’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali che non consente a quest’ultime di rigenerarsi e mettendo in crisi la possibilità del sistema economico di mantenere gli attuali standard produttivi; di contro gli standard di produzione e di consumo sono tali da generare una quantità di rifiuti e materiali di scarto difficili da smaltire; come scrive Daly:”ci sono due ovvi principi di sviluppo sostenibile. Il primo è che la velocità del prelievo dovrebbe essere pari alla velocità di rigenerazione. Il secondo, che la velocità di produzione dei rifiuti dovrebbe essere uguale alla capacità naturali di assorbimento da parte degli ecosistemi in cui i rifiuti vengono emessi.”78 Percui smaltimento dei rifiuti, reperibilità delle fonti di energia, inquinamento prodotto dalle industrie e dai mezzi di trasporto, soprattutto nelle grandi città, mettono a rischio la salute delle persone e alterano l’atmosfera del pianeta, destabilizzando l’ambiente. Un rischio per la qualità della vita delle generazioni future.
Il tema ambientale cui abbiamo appena accennato è strettamente legato a quello economico. I problemi di sostenibilità ambientale infatti, nascono da un tipo di sistema economico che dal momento del suo iniziale sviluppo, coincidente con la prima rivoluzione industriale, ha continuamente aumentato i propri livelli di produzione e di consumo. Nel sistema economico moderno è
fondamentale il concetto di crescita economica, che si misura attraverso l’incremento del Prodotto Interno Lordo. L’iniziativa nell’ambito di un’impresa economica consiste nell’organizzazione dei vari fattori produttivi allo scopo di produrre o vendere beni o servizi. L’attività dell’impresa genera un surplus, un reddito, che può essere speso oppure reinvestito nell’impresa o in altre iniziative economiche in grado di generare altro reddito. Si tratta di un meccanismo di accumulazione-investimento-accumulazione su cui si fonda il sistema economico capitalista, basato appunto sulla continua crescita economica. La concorrenza tra le imprese per conquistare quote di mercato associata all’esigenza di produrre surplus ha portato nel tempo ad una riorganizzazione dei fattori produttivi al fine di ridurre i costi di produzione, soprattutto per l’inserimento continuo di nuove tecnologie. Contemporaneamente si è assistito ad un’estensione della gamma dei prodotti e dei servizi offerti e ad un miglioramento della loro qualità. Operazioni di marketing hanno accompagnato la dilatazione della domanda, in grado di sostenere la grande offerta di prodotti generata dal sistema industriale. Tutto ciò ha portato ad una progressiva espansione dei consumi. La crescita economica ha portato con sé un miglioramento generalizzato del tenore di vita delle persone. L’aumento della produzione ha permesso la soddisfazione di bisogni primari quali l’alimentazione, il vestiario, l’abitazione, e contribuito al miglioramento delle condizioni generali di salute. La possibilità di nuovi guadagni spinge gli individui e le imprese a ricercare sempre nuovi spazi di consumo, nuovi bisogni da soddisfare. L’ampliamento della gamma dei prodotti e servizi offerti si è accompagnata ad una specializzazione nei vari settori, con conseguente miglioramento della qualità a bassi costi. Questa offerta, se da una parte rappresenta una grande possibilità per chi vi può accedere, dall’altra rappresenta un costo per chi ne è escluso. Se infatti nel mondo globalizzato tutti concorrono a vari livelli alla produzione di questa enorme torta, il modo in cui questa è ripartita lascia aperte alcune domande tra le quali una precisa: se sia vero che la crescita economica rappresenti più benessere per tutti? La ripartizione della torta prevede delle fette grandi e delle altre molto piccole. Vi sono dei costi imputabili a questo modello di sviluppo, che non sono sufficientemente considerati, perché esulano dalle valutazioni economico- monetarie tipiche del sistema economico e che influenzano anche la sfera politico-istituzionale. Così che accanto ai problemi di tipo ambientale si affiancano quelli legati a costi, non solo ambientali, ma anche sociali. Costi questi ultimi sostenuti da grandi aree del pianeta e dalle popolazioni che le abitano.
Di fatto la continua espansione del sistema economico ha dato il via a problematiche sociali, visibili sotto tre punti di vista. In primo luogo il sistema capitalista si è affermato, forte della propria potenza economica il più delle volte sostenuta da quella militare, su altri sistemi meno efficienti dal punto di vista economico. Ciò ha comportato in molti casi il disfacimento di forme di organizzazione economica e sociale e la loro riorganizzazione in funzione degli interessi del sistema economico dominante e più specificamente dei suoi principali attori, le grandi imprese multinazionali. Come sostiene ancora Shiva (2006), scienziata e ambientalista impegnata nella lotta per uno sviluppo
sostenibile, la globalizzazione economica si configura come una nuova forma di enclosures of the commons, la recinzione delle terre comuni britanniche, come una privatizzazione imposta attraverso atti di violenza e dislocazioni forzate. Anziché generare abbondanza, questa privatizzazione subordinata al profitto produce nuove esclusioni, nuove espulsioni e maggiore povertà. Non solo, ma trasformando in merce ogni risorsa e forma di vita, essa depriva anche i popoli e le specie viventi dei loro fondamentali diritti in termini di spazio ecologico, culturale, economico e politico.
L’inserimento, poi, delle grandi imprese multinazionali all’interno delle economie del terzo e quarto mondo ha significato l’occupazione di intere zone agricole all’interno delle nazioni e la loro destinazione ad una agricoltura di tipo industriale. Questo ha significato quasi sempre la trasformazione delle colture preesistenti verso forme di monocoltura in funzione degli interessi delle imprese. La selezione dei tipi di piante e di sementi più resistenti ha comportato un impoverimento delle biodiversità che invece rappresentavano una ricchezza per l’ecosistema. Inoltre, in molti casi, questo fenomeno si è accompagnato con il brevetto, da parte delle imprese, di tipi di sementi non rinnovabili, cioè valide per un solo raccolto, perché modificati geneticamente, aumentando la dipendenza delle popolazioni locali dalle imprese (Shiva, 2006). La condizione di subordinazione e dipendenza economica ha prodotto forme di sfruttamento delle popolazioni locali, private dei loro tradizionali mezzi di sostentamento, orfane dei loro sistemi d’organizzazione economica, ridotte a forza lavoro disponibile per le grandi imprese multinazionali. La delocalizzazione avvenuta a livello globale dei processi produttivi ad opera dei paesi più industrializzati, ha trovato così grande disponibilità di mano d’opera a basso costo e questo spiega la riduzione del prezzo di tanti beni presenti sul mercato. Il costo sociale sostenuto da tante zone del pianeta è pero impressionante e si traduce nello sfruttamento delle persone e nell’annientamento di forme di organizzazione socio-economiche e culturali.
Come per l’ ambiente così per la cultura, la diversità rappresenta una ricchezza, perché tutte le culture contribuiscono, nella loro particolarità, all’arricchimento generale. Le culture sono le nostre idee, i nostri valori, ciò che mangiamo, come ci vestiamo, il modo in cui parliamo, la nostra lingua. Ogni cultura nella sue differenze rappresenta una ricchezza per le altre, uno stimolo, un suggerimento. Le culture vanno quindi valorizzate all’interno di un percorso comune condiviso, in una condizione di apertura verso gli altri. La chiusura e la prevaricazione aprono la strada ai fondamentalismi ed allo scontro. Tra culture di vita e di morte: Le culture di morte si autodistruggono, mentre le loro identità negative innescano nuove forme di violenza. Le culture che valorizzano la vita si fondano sul binomio di identità locali e universali traducendosi in forme di comportamento pacifiche, vitali, costruttive e in grado di riprodursi nel tempo (Shiva, 2006).
Le organizzazioni e le istituzioni politiche che operano a livello internazionale, troppo spesso hanno agito in modo subordinato al sistema economico, assecondando più gli interessi delle grandi imprese che quelli delle nazioni sfruttate. La responsabilità o sostenibilità rappresenta un aspetto di tipo
politico-istituzionale, riferibile all’incapacità da parte delle istituzioni di garantire livelli minimi di democrazia, non solo dal punto di vista formale ma anche sostanziale, necessari alla salvaguardia dei diritti delle persone ed a garantire loro un tenore di vita sufficientemente adeguato. In conseguenza di ciò si può sostenere che il sistema capitalistico non ha completamente vinto la propria scommessa perché se da una parte è riuscito a migliorare le condizioni di vita per molte persone, dall’altra non è riuscito a garantire a tutti un adeguato livello di reddito e con esso la garanzia di poter vivere una vita decente. Sulla scia di questo ragionamento, un contributo originale in merito all’imposizione dei limiti sociali e dello sviluppo è offerto dall’economista Fred Hirsch (2001), interessato ad indagare i limiti sociali insiti nel sistema economico classico basato sulla crescita economica. Come già accennato nei paragrafi precedenti, la scienza economica classica, a partire da Adam Smith (1973), ha sempre considerato la crescita economica un fattore di benessere. La ricchezza di un paese non dipende tanto dalla quantità di moneta o dalle risorse naturali posseduti, quanto dalla sua capacità di produzione. Per questo tanta importanza viene attribuita al Prodotto interno Lordo (Pil). L’iniziativa è lasciata al singolo soggetto e dall’insieme delle iniziative individuali si determina un benessere complessivo, per tutti. Questo è vero fino a quando ci troviamo nella necessità di soddisfare bisogni primari; tanto più c’è roba da mangiare o da vestire, tanto più ci saranno