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Flussi di comunicazione, flussi di cultura

Duplice è la convergenza a cui oggi si assiste nella società a rete, sia tecnologica che culturale. Il nuovo assetto culturale globale, il nuovo sistema- mondo, deve cominciare ad essere visto come un ordine complesso, sovrapposto e disgiunto che non può più essere compreso entro i termini del modello centro-periferia. Così come le tecnologie sono diverse anche la cultura non è una ma esistono differenti culture che vivono nello spazio dei flussi e che si infrangono sulle persone che vivono lo spazio dei luoghi. Così da parlare di flussi culturali per evidenziare l’estrema mobilità e fluidità della cultura. Persone di “comunità globali” che non nascono per effetto di un processo di omogeneizzazione culturale, ma come risultato della presa di coscienza di rischi globali e dalla partecipazione degli individui ad avvenimenti planetari (Giddens, 1994). Di contro, l'indebolimento del senso di appartenenza alla comunità nazionale, corrisponde al rafforzamento di una identità globale, la cui costruzione sarebbe essenzialmente favorita dai media elettronici (Giddens, 1994). Una globalizzazione culturale, per cui culture locali conquistano il palcoscenico mondiale. E’ proprio lo sviluppo di relazioni sociali a ridimensionare il sentimento nazionalistico e simultaneamente a favorire la rinascita dei particolarismi regionali e locali. Producendo delle conseguenze enormi. Principalmente effetti differenti nel confronto fra culture diverse. E’ il caso dei fondamentalismi per cui il confronto di culture si traduce in scontro tra culture, di contro esistono fenomeni d’integrazione culturale che si manifestano in vari modi: dai tatuaggi giapponesi, all’abbigliamento rapper ad aspetti superiori come la condivisione di filosofie e religioni. Ma la globalizzazione riguarda anche le persone e le popolazioni, nel particolare è riferibile al processo di divaricazione della ricchezza tra il Nord ed il Sud del mondo. Un processo che si costituisce all’origine dei grandi flussi migratori e che muovono le persone dai Paesi più poveri a quelli più ricchi. Dettando il netto contrasto tra chi è nel mondo un “turista” e chi un “vagabondo” (Bauman, 2002). Così mentre i turisti possono viaggiare da una parte all’altra del pianeta (per piacere o per lavoro) con grande libertà di spostamento derivante dalla loro posizione sociale e dalle capacità economiche, dunque sempre in movimento; i vagabondi si spostano con fatica alla ricerca di mezzi necessari a garantire loro una vita dignitosa, spesso ostacolati nel loro viaggio da leggi che ne limitano la libertà e una volta giunti in un luogo non sempre riescono a muoversi nuovamente. Libertà di spostamento ampliata dalla rete 2.0 nella possibilità che offre di essere contemporaneamente in un posto e nell’altro, un’ubiquità senza frontiere. Un’ubiquità dono non di tutti a causa del digital divide, ovvero il divario esistente tra chi ha l'accesso effettivo alle tecnologie dell'informazione (personal computer e Internet) e chi ne è escluso: essendo questo tipo di comunicazione dipendente da diversi mezzi e facilitato dalla presenza di alcuni requisiti socio- economici. Così che i motivi di esclusione comprendono diverse variabili: condizioni economiche, livello di istruzione, qualità delle infrastrutture, differenze di età e di sesso, appartenenza a diversi gruppi etnici, provenienza geografica. Nonostante ciò l’accesso alla rete non sta diminuendo tanto che nel 2005 i nuovi utenti Internet nei Paesi in via di sviluppo erano quasi il doppio rispetto ai Paesi dell’OCSE (Organizzazione e cooperazione per lo sviluppo

economico) (Castells, 2010). E’ il caso della Cina con la crescita più rapida nel numero di utenti Internet. Il digital divide si basa sul presupposto che l’ubiquità delle ICT (intendendo per ICT l’insieme delle tecnologie che consentono di elaborare e comunicare l'informazione attraverso mezzi digitali) è un bene pubblico (non volendo qui cogliere eventuali criticità se sia una cosa buona o meno l’accesso a Internet o ai new media). Tanto se la componente delle grandi trasformazioni della comunicazione rappresentano l’espressione delle relazioni sociali, relazioni in ultima analisi di potere, che stanno alla base dell’evoluzione del sistema di comunicazione multimodale, il digital divide nasce tra i Paesi e all’interno di essi, in relazione al loro potenziale di consumo e al livello delle infrastrutture di comunicazione. Ancora oggi, con l’ampliamento del wireless e della banda larga, il divario nell’istruzione, nell’operare in una cultura digitale tendono a riprodurre e amplificare le strutture di classe, etnia, razza, età e genere del dominio sociale tra-ed-entro i Paesi.

Le nuove tecnologie, dunque, collegando il mondo in una rete globale, permettono alle persone di scambiarsi informazioni, idee, conoscenze, anche a grande distanza, oltre lo spazio e il tempo. Ciò ne consegue che il luogo della produzione dei significati e quello della loro fruizione possono anche coincidere. Inoltre, un altro aspetto importante riguarda le persone, che oggi si muovono molto di più di un tempo da un continente all’altro. Questo intreccio tra flussi informativi sui media e la mobilità delle persone a livello globale, produce a sua volta i flussi culturali più densi e complessi. Seguendo questo tipo di approccio, i simboli veicolati a livello globale vengono mediati a livello locale. Così un programma televisivo, un capo d’abbigliamento, un alimento o un qualsiasi prodotto di consumo accompagnato dal suo bagaglio simbolico-culturale, viene decodificato a livello della cultura locale e può assumere differenti valenze e significati a seconda del luogo e delle persone da cui viene fruito. Nello stesso tempo lo stesso tipo di prodotto contribuisce, nella mediazione con la realtà individuale e collettiva vissuta dai soggetti, alla creazione di quelli che Appadurai definisce come “pluralità di mondi immaginati” (2001).

Mondi immaginati che vivono in un ambiente reale. Tanto che un ruolo importante nella vita sociale è dato dalla ridefinizione della cultura da parte dell’immaginazione. Questa è divenuta una vera e propria pratica sociale. Una pratica culturale organizzata, vero e proprio fatto sociale. L’immaginazione è una forma di negoziazione tra gli individui, forma di organizzazione culturale. Così che oggi sempre più persone al mondo vedono le proprie vite attraverso la lente delle vite possibili messe a disposizione dai media. La fantasia e l’immaginazione sono vere e proprie pratiche sociali che modellano le vite delle persone entrando nell’invenzione delle loro vite sociali. Le persone vedono in tal modo le loro vite come compromesso tra quel che potrebbero immaginare e quel che la vita sociale permette loro. I flussi di comunicazione/informazione hanno inoltre ridefinito una cultura, che diventa essa stessa flusso. La disquisizione tra una cultura omogenea (un “mondo mcdonalizzato” come ci dice Ritzer) o eterogenea globale, è rivolta sempre più a credere ad una eterogeneità nella capacità di ciascuno di dare significato tra un testo e un conteso comunicativo, ampliata dalla visione di flussi comunicativi globali

capaci di legare culture globali in interazione con culture locali. Se solo si pensa agli anni 80 del secolo scorso questi sono ricordati come il decennio del riflusso. L’oscillazione tra il pubblico e privato che si registra in quegli anni diviene il motore del privatismo che sfocia nell’edonismo, nella cultura dell’apparire. Tanto che soprattutto le televisioni commerciali si fanno forti nel promuovere nelle coscienze l’immagine come rappresentazione. Dando forma a quella che Baudrillard definisce una “iperrealtà. Le nuove tecnologie della comunicazione e informazione si congiungono ad una globalizzazione culturale che rimescola le culture globali con quelle locali dando luogo a quella che Robertson definisce “glocalizzazione” (1999). Il mondo glocale può rappresentarsi come un “mondo disgregato dai conflitti” in cui la “divisione” sarà stabilita dalle variabili di inclusione/esclusione dalle forze di acquisto. I termini della questione si ripropongono se si considera il consumo non come mero specchio delle dinamiche del sistema produttivo, ma nella sua dimensione creativa di significati. La metafora del linguaggio nell’interpretare il consumo sposta il ragionamento dal rapporto tra conoscenza, cultura e società, così da analizzare la relazione che intercorre tra forme delle conoscenze (il linguaggio), il pensiero e l’agire. Il consumo deve essere inteso nella prospettiva, che accetti congiuntamente i contributi dell’approccio socio-antropologico e socio-semiotico in pratiche di consumo in cui tener conto della creatività. L’approccio socio- antropologico analizza il comportamento di consumo in relazione alle valenze culturali che esso comporta. L’oggetto di consumo non è visto in funzione della sua utilità e delle sue caratteristiche intrinseche, ma in funzione del valore simbolico che assume nell’ambito dello scambio. Nei rituali di consumo assistiamo alla produzione ed alla stabilizzazione di significati condivisi; in questo senso il consumo contribuisce a fondare le categorie sulle quali si fonda la realtà sociale.

L’approccio socio-semiotico analizza il consumo come un linguaggio e il prodursi dei discorsi, attraverso le azioni di consumo dei soggetti, all’interno del contesto sociale. Nel consumo produttivo gli oggetti assumono la valenza di veri e propri testi che scaturiscono dal contesto e nello stesso tempo contribuiscono alla sua definizione, così che “testo e contesto finiscono per non preesistere, ma co-costituiscono il medesimo processo”. Struttura e cultura sono sempre in un rapporto dialettico tra loro. I significati non nascono dal nulla ma necessitano di una struttura, così come noi elaboriamo i nostri pensieri facendo riferimento ad una cultura appresa; ma nello stesso tempo siamo noi stessi, con i nostri pensieri ad aver creato le basi della nostra cultura, pensieri e significati condivisi e stabilizzati nella struttura sociale.

Tanto che i processi di globalizzazione, lo sviluppo dei mezzi d’informazione e comunicazione, la mobilità delle persone, hanno prodotto delle conseguenze nel rapporto tra struttura e cultura. La struttura comunicativa si è ramificata a livello globale decentrando le strutture di potere politico, economico e culturale, nelle maglie del sistema; oggi il potere è diffuso e decentrato sia dal punto di vista spaziale che nell’ambito dei vari sistemi e sottosistemi. Nello stesso tempo la struttura del sistema comunicativo permette un’interazione da parte dei soggetti tra di loro e con la struttura stessa. Nell’ambito del consumo, per

esempio, assistiamo all’affermarsi della figura del prosumer, il consumatore che, sfruttando l’interattività dei moderni sistemi di comunicazione, diviene co- produttore, portando il suo contributo alla realizzazione ed al miglioramento del prodotto. Così i significati che percorrono l’arena globale vengono continuamente interpretati e rielaborati. Conseguenza questo di un’incessante produzione e riproduzione di significati sempre più difficili da sedimentare in virtù della velocità e della struttura della forma comunicativa. Non a caso adesso si preferisce la definizione di flussi culturali, per evidenziare l’estrema mobilità e fluidità della cultura. Le conseguenze sull’individuo sono duplici. Da una parte si assiste al riemergere di concetti “forti” tipo religione, nazione, razza, ai quali potersi ancorare nella costruzione dell’identità personale e collettiva. D’altra parte ci troviamo di fronte ad un individuo privo di un’identità forte, in tensione, come afferma Giddens (1990), tra processi di disembedding, di sradicamento delle relazioni e movimenti di reembedding, di ricerca di nuove forme di ancoraggio. “In una società mutevole e contradittoria, articolata in differenze tra loro non omogenee”: l’individuo costruisce la propria esistenza nei differenti ruoli giocati nell’ambito della quotidianità. Il consumo assume quindi un’importanza fondamentale nella costruzione dell’identità dell’individuo e nella produzione del contesto sociale in cui vive; uno strumento per la costruzione di significati ed una modalità di relazione e di produzione del contesto sociale. Più specificamente il consumo responsabile esprime dei valori peculiari per quanto riguarda l’idea che l’individuo ha di se stesso e del suo rapporto con il mondo che lo circonda. Il consumo responsabile o sostenibile investe, nelle sue varie manifestazioni, tutti gli ambiti della quotidianità ed entra nelle differenti sfere funzionali nelle quali le persone si trovano ad operare. Inoltre esso agisce in una doppia valenza culturale e strutturale. In primo luogo i valori e le motivazioni che stanno alla base del consumo responsabile e sostenibile contribuiscono a modificare l’universo culturale globale perché investe delle tematiche che appartengono a tutti. In secondo luogo centra un punto fondamentale in relazione al sistema economico-produttivo, quello della responsabilità, inteso come capacità del sistema di sopravvivere a se stesso. Vedere nel consumo una modalità espressiva della cultura e le sue conseguenze è solo un primo passo per comprendere la cultura nella società globale. Un’immagine della cultura che include il mutamento capace di riprodurre relazioni di potere dimensione radicata nell’esistenza stessa della cultura (come affermano anche Baudrillard, Bourdieu e Ritzer). La cultural theory ha messo in luce come la cultura globale sia eterogenea, e anche per Beck (2009) la cultura globale deve essere intesa “come un processo contingente e dialettico” e non una logica univoca di capitale. Così che se il fattore innovativo del mondo contemporaneo è rappresentato dalla particolarità del nuovo ordine mediatico, politico, economico e sociale, la distanza tra individui e gruppi è dettata dalla vicinanza elettronica. Un sistema globale in cui i processi culturali si sviluppano attraverso flussi globali di persone e cose. Interazione della comunicazione istantanea del contatto tra gli uomini con una frequente mobilità di materia culturale. Come nel caso della glocalizzazione. Così che per Appadurai (2001), le culture glocali sono “una vera mescolanza di componenti disparate, provenienti da ogni dove e da nessun luogo, scaturite dai moderni (postmoderni) carri da guerra del sistema di comunicazione globale”

Appadurai (2001). La complessità di una cultura dinamica, permette di ragionare sui flussi culturali. Questi ultimi sono oggetti sociali empirici. Il flusso rinvia al concetto di scambio, importante per capire i nuovi panorami mondiali, in un modello di relazioni possibili. Oggi ad essersi indebolite sono le forme di mediazione (che siano ideologiche, religiose, istituzionali, scientifiche) come il ruolo dei mediatori legittimi. Il flusso, dice Semprini (2003), “diviene una metafora della configurazione delle società contemporanea al punto da arrivare a definirle società del flusso”. Nel passaggio dal semplice al complesso, dalla differenziazione delle forme di vita e delle organizzazioni, nel cammino dal discontinuo al continuo, continuità che occorre rispettare per evitare l’esclusione dalla scena sociale, il flusso culturale è la combinazione di una molteplicità di istituzioni ed attori. Nella società di flusso un ruolo fondamentale è giocato dalla creatività degli individui, dalla ri-elaborazione del significato, al partecipare alla segmentazione e distribuzione nell’interazione tra attori e flusso. Nel flusso l’attore non è una pedina all’interno della società e della cultura ma è anti determinabile nella sua capacità, come propone la teoria culturale, di agency. Vivere nei flussi globali vuol dire essere immersi in una sovrabbondanza di significati che si manifestano attraverso un flusso disordinato e non gerarchizzabile. Per tale motivo siamo alla continua ricerca di senso, poiché non sempre il flusso si trova in forma organizzata, mentre ogni individuo è chiamato a partecipare alla produzione di significato. Nelle società contemporanee mentre una parte del flusso culturale passa tra le persone, un’altra passa tra governanti e sudditi (o tra chi compra e vende), attraversando cornici organizzative del processo culturale del mondo odierno: forma di vita (come relazioni tra esseri umani), Stato (intesa come forma organizzata di controllo all’interno del territorio), mercato (trasferimento di beni culturali) e movimenti (capaci di esercitare una forte influenza come nel caso già citato del movimento delle donne o quello ambientale) (Hannerz, 2001; Paltrinieri, 2004). Allo stesso modo di Hannerz, nel suo discorso funzionale delle cornici, il sociologo indiano Appadurai individua cinque paesaggi. Le forme di un flusso culturale proveniente da un determinato ambito e che prende da altri contesti non sono mai perfettamente sincronizzati con il mondo referenziale che per prima ha dato a quei flussi. Appadurai, partendo dal presupposto che la complessità dell’attuale condizione mondiale ha a che fare con alcune fondamentali disgiuntore tra economia, cultura e politica, pensa che sia necessario esplorare queste per osservare le relazioni che intercorrono tra di esse. Disgiunture che è possibile intendere attraverso cinque dimensioni che caratterizzano i flussi culturali globali. Un primo è quello rappresentato dalle persone, gli ethnoscapes; i tecnoscapes i movimenti delle tecnologie meccaniche e informatiche che superano i confini; i financescapes con le enormi somme di denaro che superano i confini nazionali; i mediascapes la divisione nella possibilità di produrre e diffondere immagini elettroniche; gli ideoscapes che rimanda ad una serie concatenata di immagini a volte messe al servizio di ideologie e di uno Stato che trae origine nell’Illuminismo.

Sono questi panorami fluidi e irregolari, non si tratta di relazioni date oggettivamente ma di costrutti influenzati dalle contingenze storiche, politiche, sociali, linguistiche e degli attori che ne prendono parte. Tra di essi la relazione è disgiuntiva e imprevedibile. L’attore individuale è il luogo ultimo di questi panorami. Fenomeno della deterritorializzazione che sposta flussi di persone e cose, creando nuovi mercati e rapporti di produzione, muovendo gruppi migranti tanto da avallare in mutamento del ruolo rivestito dagli stati-nazione. In cui i punti di partenza come quelli in arrivo sono in continuo movimento. Il lavoro della riproduzione culturale è profondamente complicato, politicizzato ed esposto ai traumi della deteritorializzazione che permette risorse per la creazione di contro nuclei identitari. Questi hanno luogo nella fluidità degli stili internazionali, delle forme del capitalismo disorganizzato e della comunicazione transnazionale capace di creare comunità “senza il senso del luogo” (Appadurai, 2001). Così che la cultura diviene sempre meno quella che Pierre Bourdieu identifica come habitus69 per divenite un’arena di scelte e rappresentazioni consapevoli. Rappresentazioni consapevoli spesso rivolte ad un pubblico multiforme e spazialmente dislocato. I panorami dell’identità di gruppo, gli etnorami, sono mutati. Le formazioni identitarie operano secondo modi che trascendono i confini territoriali specifici. Così che le basi della riproduzione culturale vanno riconsiderate secondo nuove prospettive. L’architettura del pensiero, l’azione e la vita negli spazi e nelle identità nazional-

69 Pierre Bourdieu intende per habitus come un sistema di necessità e libertà incorporate, trasformati in atteggiamenti che generano modi di essere e fare, acquisiti attraverso l’inculturazione. Principio generatore di pratiche classificabili (sia nella capacità di produrle che di valutare e costituirle in segni distintivi di queste). Nel rapporto tra queste due ultime capacità si definisce l’habitus come costruzione del mondo sociale, cioè lo spazio degli stili di vita.

Mediascapes: flusso dei simboli

Ideoscapes: flussi di idee Ethnoscapes: migrazioni e "diaspore" umane Technoscapes: movimento delle tecnologie Finanscapes: movimento del denaro

statali, si infrange contro la spinta della globalizzazione economica, politica, ecologica, culturale, “biografica”. Società mondiale che è letta come nascita di possibilità differenti: di potere, di spazi di azione, di vita e di percezione del sociale che spezzano la concezione ortodossa di politica e società (Beck, 2009, p. 87). Nei mondi simbolici delle industrie culturali globali l’immaginazione di “vite possibili” può essere vista solo nella prospettiva di una società mondiale. Ciò che sognano gli uomini, aggiunge Beck (2009, pp. 88-89), ciò che vogliono essere, le loro utopie quotidiane di felicità, non rimangono più circoscritte in uno spazio geopolitico o all’interno delle identità culturali. Si pensi ad esempio ai senza dimora che vivono “tra i rifiuti come rifiuti” della società e rimangono legati all’industria culturale globale, allo stesso modo di come ne costituisce un collante la caduta del muro di Berlino e la censura che era stata imposta dal regime, risoltasi, in un nulla nell’eco mass mediatico delle televisioni. In tale contesto le pubblicità Occidentali, disprezzate solo dagli intellettuali, si sono tradotte in una promessa in cui consumo e libertà si sono fusi reciprocamente (Beck, 2009, p. 89). Di fatto per Beck si possono distinguere due concetti di cultura, non separabili ma complementari: una cultura legata essenzialmente al territorio per cui le conoscenze sono frutto di processi di apprendimento locali70, e una cultura al plurale come un “software” universale umano, fusioni di culture in un processo di apprendimento translocale. Portando a riflettere in seno a quel mutamento che distanziandosi dalla prima modernità forgia una “modernità riflessiva”, una seconda modernità dove i “poveri e i ricchi non siedono più al comune tavolo (delle trattative) dello Stato-nazionale (Bauman, 2004)71. Ridefinendo una presa di coscienza da parte dell'opinione pubblica, consapevole ora del fatto che una serie di problemi possono essere affrontati solo a livello transnazionale, ad esempio: difesa dell'ambiente, lotta al riciclaggio e così via.

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