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Individualizzazione e razionalità: nell’era della riflessività

Non si può non pensare oggi ad una complessità così radicale e inarrestabile dei sistemi sociali dettata da un’attenta riflessione. Di fondo si tratteggia una realtà, o meglio una società, la nostra, riflessiva, che si è (o tenta di) evolversi da quelle società complesse, postmoderne o tardo moderne che si distinguono a loro volta dalle precedenti società semplici (tradizionali) e moderne (industriali), di fronte alle quali la riflessione sociologica ha dovuto soffermarsi, soprattutto da quando sono mutati non solo i vecchi confini ma si sono anche moltiplicati i flussi comunicativi, che hanno spinto ad una nuova rappresentazione della società. Tanto che se è vero che per vivere in un siffatto ambiente, si debba gestire un volume informazionale sempre più in crescita, per non essere esclusi dalla vita sociale, è anche vero che l’eccesso di offerta

comunicativa/informazionale è superiore alla possibilità di attualizzazione del soggetto. In tale panorama si deve ben tenere presente che le risposte univoche ad un problema non esistono più, esistono invece un mondo di possibili altrimenti, da definirsi anche come contingenza strutturata. In questo processo in cui le reti comunicative del linguaggio artificiale amplificano progressivamente e inesorabilmente a quelle del linguaggio naturale, dove il sapere scientifico delinea nuove forme narrative, differenti da quelle precedenti. Così che la complessità si complessifica ulteriormente, dando vita all’ipercomplessità intesa come la tendenza “naturale” delle società avanzate contemporanee, tanto da creare un’identità fra sistema sociale e rete di comunicazione o anche fra relazioni sociali e sistemi di comunicazione/informazione. Viene allora da chiedersi cos’è che scompare e cosa si sta formando nella non lineare e globale modernità con un “punto di vista cosmopolito” (Kant, 1985). Nel paradosso di ciò che per molti appare un declino o una crisi rappresenta per altri una svolta significativa. Così che accanto al declino della società industriale in Europa segue di pari passo la diffusione dell’immagine di un mondo in crescita senza limiti, la fiducia nel progresso tecnico come la natura contrapposta della società, per molti, da porre in dubbio. Accanto alle insicurezze dello stato sociale si rincorrono le minacce di quelli che abbiamo visto essere i “rischi ambientali”, con effetti sulla salute e la vita, oltre che la perdita di certezza nel progresso e nella tecnica. I processi di individualizzazione vanno di pari passo con quelli di globalizzazione. Di fatto noi siamo, per Giddens, “la prima generazione che vive in un ordinamento post- tradizionale di dimensione cosmopolita” (Beck, Giddens, Lash, 1999). Questo vuol dire anche che le vecchie linee di demarcazione che delimitavano il pubblico dal privato non sono più così evidenti. Le teorie sulla modernità non solo richiamano l’esigenza di un chiarimento anche contro se stesse la cui sfida è di sfidare un mondo di “analogia globale”101. Dove accanto a quanti entrano ed escono indisturbati dai nuovi strumenti tecnologici ce ne sono altri che non sanno o non possono usare tali mezzi. Si assiste così ad un’autotrasformazione della società industriale, ragionando ora non più sui parametri di una tardo modernità o post-modernità ma in seno a una modernizzazione riflessiva, poiché accanto ad una prima modernità ne segue un’altra, una seconda ove le semantiche ma anche le società industriali degli Stati-nazione sono trasformate, modificate (ad esempio da processi di individualizzazione a quelli di globalizzazione) non sempre in modo consapevole e voluto ma “non riflettuto, non voluto, con la sola forza delle conseguenze secondarie nascoste” (Beck, Giddens, Lash, 1999, p. 35). Le conseguenze secondarie dei rischi che si legano al processo di globalizzazione hanno da tempo messo in agitazione i cittadini. Costituendosi in quelli che Giddens definisce “gruppi fai da te” per agire condividendo gruppi di interesse o aprendo nuove e importanti battaglie che coinvolgono gli interessi di tutti. Agitazioni che trovano spessore nell’eco messo a disposizione dalle nuove tecnologie della comunicazione e principalmente dal web 2.0. Un’evoluzione della modernità che da semplice è diventata riflessiva e che si concretizza in una radicalizzazione di alcuni aspetti che caratterizzavano la prima.

101 Il concetto analogia è quello dettato nel suo trattato “La democrazia in America” Alexis Tocqueville, intendendo con ciò il contrario di diversità nello sviluppo di differenze tra persone e culture.

Una modernità che è contraddistinta dagli effetti sociali dei rischi provocati dall’opera dell’uomo. Assistendo a un aumento dell’individualizzazione, a un cambiamento delle alleanze negli assetti sociali. Determinati oggi principalmente dal conflitto per la distribuzione dei mali (inquinamento, pericolo) che per la spartizione di beni. A cui si aggiunge una crisi del diritto esclusivo della conoscenza tecnico-scientifica nella valutazione dei rischi. Così mentre la nuova fase della modernità è fortemente caratterizzata da rischi scaturiti da azioni intenzionali, le cui conseguenze non è stato possibile prevedere in nessun modo (Beck, 1999), la nuova fase storica che stiamo vivendo è da ritenersi espressione della società post-tradizionale, caratterizzata da un aumento della riflessività individuale e amplificata da fenomeni come il processo di globalizzazione (Giddens, 1999). E’ in tale fase che si aprono nuove e interessanti soluzione alle nuove crisi attraverso l’accentuazione della riflessività individuale e principalmente istituzionale, intesa come una crescita della discussione pubblica sulle problematiche da affrontare (Beck, Giddens, Lash, 1999). In particolare per Giddens vi è l’esistenza delle condizioni per un’espansione della democrazia dialogica che si fonda sulla fiducia attiva degli attori sociali a vari livello: dalle relazioni interpersonali alla società civile, dalla sfera politica locale alle relazioni transnazionali. Di certo ad essere al centro del dibattito sulla modernità vi è la problematica ambientale, ciò perché la crisi ambientale è stata il primo eclatante fenomeno che ha sollevato l’impossibilità di comprendere le nuove sfide attraverso le tradizionali categorie sociologiche. A cui si aggiunga la difficoltà di risoluzione delle problematiche emergenti per mezzo delle consuete modalità. Tanto che oggi la questione ambientale si offre come arena privilegiata per la sperimentazione di nuove espressioni di discussione pubblica e di strumenti decisionali. La teoria della modernizzazione riflessiva ha suscitato nel tempo posizioni contrastanti. Nodi concettuali su cui comporre le riflessioni si rivolgono a problemi legati alla partecipazione delle aggregazioni sociali più deboli ai processi decisionali. Oltre che al ruolo rivestito dalla conoscenza scientifica e profana all’interno del processo, all’incidenza delle azioni deliberate dagli attori coinvolti. Benton (2002) rimprovera ad esempio ai sostenitori della teoria della modernizzazione riflessiva di non considerare a sufficienza le pressioni esercitate dagli interessi economici sulla politica, rendendo inconsistenti i tentativi di regolarizzazione del sistema e in futuro inefficaci i risultati ottenuti con i processi partecipati. Benton non ritiene inoltre che siano da intendersi superati le questioni di appartenenza di classe a causa del fatto che questa è ancora presente lì dove il degrado ambientale colpisce primariamente i soggetti deboli come i lavoratori che si vedono costretti a operare in ambienti insalubri, residenti in aree contigue ai siti di imprese a rischio o comunità che vivono sui territori minacciati dai cambiamenti climatici, che non possiedono sufficiente voce per emergere a livello di società civile e si ritrovano oggi ad essere privi dei tradizionali riferimenti politici. Lì dove, ancora per Benton, la teoria sulla modernizzazione riflessiva riguarda la presunta etnocentricità incapace di spiegare le realtà sociali a livello globale. Alle critiche di Benton si sommano quelle di McKechnie e Welsh (2002), che seppur con riferimento all’ambiente, pongono in primo piano la conoscenza come elemento importante all’interno dell’elaborazione delle politiche. Concentrandosi sul concetto di “distanza sociale” e criticando il ruolo centrale destinato dalla

modernizzazione riflessiva al sapere scientifico. Per i due studiosi si incorrerebbe così nell’emarginazione di numerose tipologie di soggetti sociali dalla discussione pubblica. Tanto che il concetto di riflessività si dovrebbe aprire ad elementi non propriamente razionali e deviare in relazione agli ambiti locali analizzati, prendendo in dovuta considerazione particolarità culturali e sociali. I due studiosi, ripercorrendo il pensiero di Melucci (1996), portano in primo piano le istanze portate avanti dai “nuovi movimenti sociali” che non possono essere tradotte e assorbite, per questi due studiosi, nel dibattito proposto da Beck e Giddens.

Pur tuttavia sembra che Beck risponda da solo alle critiche lì dove identifica la modernizzazione riflessiva come un passaggio da una prima a una seconda modernità e considera il ruolo della sociologia all'interno di questo passaggio102. Qui la società è riflessiva perché diviene tema e problema per se stessa: la percezione di pericoli globali stabilisce anche reciprocità globali e, come conseguenza, cominciano a prendere forma i contorni di una potenziale sfera pubblica mondiale. Inoltre la percezione di meccanismi interni che possono costituire un’auto-minaccia globale della stessa civiltà che li ha prodotti, produce effetti che, da un lato, la politica degli Stati può orientare verso lo sviluppo di istituzioni che cooperino su scala internazionale ma, dall'altro, possono ridurre e accantonare lo spazio del confronto politico tradizionale a favore di nuovi soggetti forti (come ad esempio le multinazionali), che tendono a relativizzare o circoscrivere le coordinate e le coalizioni degli Stati-Nazione. Dunque le teorie sociologiche postmoderne e la modernizzazione riflessiva si distinguono da quelle della modernità semplice (come funzionalismo e marxismo) perché affrontano una realtà sotto diverse prospettive:

1. la classe come presupposto culturale viene sostituita dall'individuo; 2. la stessa differenziazione sociale diventa un problema;

3. la razionalità ha un significato sia descrittivo che normativo.

Per il sociologo tedesco, se le teorie della modernità classica tendono a identificare società industriale e società moderna, nelle teorie della modernizzazione riflessiva quest'identificazione non è concepibile. Vi è, infatti, una dimensione di "contromodernità", ovvero di fenomeni determinati dalla modernizzazione stessa che però sono altamente destabilizzanti (ad esempio totalitarismi, tecnologie genetiche, ed altre), di cui si deve tener conto. Tanto che le società moderne riflessive sono chiamate a confrontarsi con i temi della democrazia riflessiva, politicizzazione della razionalizzazione, individualizzazione.

Nella democrazia riflessiva, i principi democratici sono fortemente messi in questione da movimenti sociali sia interni sia esterni alle istituzioni. La

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Si può leggere ad esempio in Donati che la riflessività, moderna "coscienza infelice", sembra diventare solo un'auto-descrizione della crisi cui va incontro la modernità, se non si applica alle relazioni sociali non restando prigioniera della soggettività individuale e dei meccanismi sistemici. Cfr. P. Donati, 2011,

democrazia riflessiva non deve configurarsi solo in senso verticale, nei rapporti degli individui con il potere, ma anche in senso orizzontale, come pratica che pervade tutte le sfere dell'agire (ad esempio famiglia, lavoro, et al). Lì dove la già descritta politicizzazione della razionalizzazione, intendo con ciò la condizione per cui sfera politica ed economica sono nella società attuale doppiamente permeabili: da una parte i processi di razionalizzazione non sono più interpretabili come interni solo all'economia, dall'altra parte, le regole stesse della razionalizzazione diventano oggetto di conflitti e decisioni. Qui l’individualizzazione diviene trappola della povertà che è il riflesso negativo dell’organizzazione di istruzione e istituzioni, che sono finalizzate a creare conoscenza, lavoro, sicurezza, abitazione e chi non accede all'istruzione e alle istituzioni non riesce a ottenere lavoro, non può costruire una famiglia e avere una casa ed altro ancora. Valutazioni che non possono esimere dal credere ad un’inevitabile ricorso, ad invenzioni sociali e sperimentazione politica attraverso una sorta di nuova Riforma o di una rivitalizzazione dell'Illuminismo, della ragione e della critica, in tutte le istituzioni dello Stato e del mercato. Così che accanto all’erosione del modello che ha caratterizzato la moderna società industriale si è assistito alla nascita di nuove strutture e orientamenti a cui riferirsi evitando però di affrontarli nell’orizzonte delle vecchie categorie. Prendendo “consapevolezza dell’auto-trasformazione della società industriale”, alla luce di una “modernizzazione riflessiva”103 in cui le “conseguenze secondarie” (più o meno latenti) sono identificate sì in rischi e pericoli, ma anche in individualizzazione e globalizzazione104.

In questa fase si insinua per Beck (2001) quella “democrazia riflessiva” tipica della seconda modernità, in cui i principi basilari della democrazia vengono messi in discussione sia da gruppi che vogliono “democratizzare” la democrazia (si pensi ad esempio al movimento femminista, movimento ecologista), sia da gruppi che hanno come programma una “de-democratizzazione” (movimenti che di fronte ai nuovi problemi sociali auspicano una limitazione delle libertà individuali per avere in cambio maggiore sicurezza105). Viene posta l’esigenza

103

Nei processi sociali, economici e politici del "mondo post-tradizionale e cosmopolitico" in cui viviamo, come lo definisce il sociologo Giddens, seguendo la grande tradizione sociologica che da Tocqueville a Schumpeter si interrogava sui caratteri e sulle conseguenze della modernità, Beck individua nell'epoca contemporanea i tratti di una "seconda modernità". Se da una parte, quest’ultima, porta a compimento alcuni dei processi iniziati nella "prima modernità", dall'altra tende a radicalizzare tali processi fino a metterne in discussione le premesse stesse. Per questo la "seconda modernità" viene definita da Beck anche "modernità riflessiva". Cercando con essa di formulare, lì dove si avvisa una caduta dei valori, una proposta per la costruzione di una teoria e di un agire politici in grado di ricostruire il legame sociale nelle contemporanee "società individualizzate". Muovendo dalla riflessione di Tocqueville, Beck indica nell'esercizio della libertà politica e "nell’arte della libera associazione" gli strumenti idonei alla formazione di società democratiche in grado di sopportare il conflitto. Cfr. U. Beck, 2001, I rischi della libertà. L’individuo nell’epoca della globalizzazione, il Mulino, Bologna, in http://www.juragentium.unifi.it/books/it/beck.htm (rivista di filosofia del diritto internazionale e della politica globale.

104 Cfr. U. Beck, 2001, I rischi della libertà. L’individuo nell’epoca della globalizzazione, il Mulino, Bologna

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Si pensi in tal caso alla “difesa del luogo”, vista come condizione necessaria della sicurezza nel suo complesso è un esempio della limitazione delle libertà individuali, quando la sicurezza diviene una questione da risolvere a livello di comunità. Laddove lo Stato ha fallito riuscirà la comunità, la comunità locale, ci dice Bauman, la comunità “materiale”, fisicamente tangibile, una comunità impersonificata in

di una forma di Stato (kantiano), che “non deriva da un’unità, ottenuta, ad esempio con la regola della maggioranza, ma da un’ineliminabile molteplicità”, una forma statale in cui “è normale il dissenso non il consenso”106. A rimarcare quella repubblica cosmopolita kantiana guidata da tre inalienabili principi di libertà: libertà di tutti i cittadini, l’uguaglianza delle persone in quanto soggetti, l’indipendenza di ciascuno membro della collettività in quanto cittadino politico (Beck, 2001). Passando alla dimensione individuale, si può dire che ci si trova a scegliere tra molte alternative senza alcuna indicazione sociale o di altro tipo per cui ogni decisione è riservata all’individuo, spetta al singolo scrivere la propria storia, ma l’insicurezza che accompagna la scelta porta a cambiare spesso direzione di marcia. Si segue la moda, si cambiano professioni, residenza e compagni di vita, la decisione presa è sempre legata alla situazione e si desidera poterla rivedere e correggere in qualunque momento. Le alternative potenzialmente a disposizione non si conoscono tutte (e non sono neppure conoscibili in modo completo ed esauriente): la scelta viene formulata, il più delle volte, seguendo il metodo della prova e dell’errore, attraverso una lunga serie di tentativi. Anche se l’esito della scelta sarà stato soddisfacente si ha la percezione che una diversa decisione avrebbe potuto condurre a migliori risultati, perciò resta la tentazione di nuove esperienze. Nelle epoche passate i valori di riferimento erano universali, oggi si è di fronte ad una molteplicità di orientamenti, ad una pluralizzazione di modi di vita tra cui è necessario scegliere continuamente. In passato non era facile fare scelte personali, sia nella vita privata che in quella lavorativa: il sistema socio-culturale scandiva le tappe della vita, da quella familiare a quella sociale e religiosa. Oggi questa forma di tutela si va dissolvendo. Ci si aspetta che siano le persone a prendere in mano la propria vita. La modernità ha reso libero l’individuo, abbandonandolo a se stesso. Di fronte a questa situazione ci si pone un interrogativo: "Che cosa ce ne facciamo della libertà, se il mondo ci fa paura?". Nell’ultimo decennio si è acutizzato nel mondo occidentale il senso di incertezza per il venir meno di importanti garanzie: l’individuo deve pensare da sé al futuro, preoccuparsi delle proprie opportunità di lavoro, della formazione dei figli e della sicurezza nella vecchiaia. La sua visione del mondo è mutevole e il mondo gli appare sempre più labile, provvisorio, relativo, perché non ha e non lascia trasparire una struttura unitaria dotata di senso ed è costretto ad adattarsi. In questo quadro, è evidente che l’individuo, quando diventa il centro e l’ultima misura del mondo, ha bisogno di essere illuminato come mai ne aveva avuto bisogno in precedenza: la riflessione sull’esperienza personale e la ricerca dell’interiorità diventano necessarie per mantenere equilibrio psichico e operatività quotidiana. Di qui nasce la necessità improrogabile di ripensare al processo educativo e formativo sia delle nuove generazioni che degli attuali adulti, in un ottica di

un territorio abitato dai propri membri e da nessun altro (nessuno che “non faccia parte di noi”), a proiettare il senso di “sicurezza” che il mondo, nel suo complesso, cospirerebbe a distruggere. In tale contesto la cultura, avvisa ancora Bauman, diviene “sinonimo di fortezza assediata” in quell’idea di “tolleranza culturale”. Cfr. Z: Bauman, 2003, Voglia di comunità, Laterza, Bari-Roma

106 Cfr. U. Beck, A. Giddens, S. Lash, 1999, Modernizzazione riflessiva, Asterios, Trieste, p.74. Un aspetto che Beck chiama “politicizzazione della razionalizzazione” intendendo la condizione per cui sfera politica ed economica sono nella società attuale doppiamente permeabili: da una parte i processi di razionalizzazione non sono più interpretabili come insiti solo all'economia, dall'altra parte, le regole stesse della razionalizzazione diventano oggetto di conflitti e decisioni.

formazione permanente. Importante ai fini della comprensione di questo ultimo punto è il pensiero di Marshall, secondo il quale è l’istruzione a rivestire un’influenza diretta sullo status di cittadino/cittadinanza. Diremo più avanti la cultura. Attraverso l’istruzione e l’educazione di tutti i bambini, lo Stato può promuovere la formazione del futuro cittadino, essendo il diritto all´istruzione un diritto sociale naturale, legato a quello di cittadinanza, che non si conclude semplicemente con il diritto del bambino di frequentare la scuola, ma come diritto del cittadino adulto di aver potuto godere di una educazione e perciò di poter partecipare in maniera più ampia ai diritti di cittadinanza sociali107. Così che, chi non riesce ad accedere all'istruzione e alle istituzioni, non solo non ottiene un lavoro, ma si dimostra incapace ad esempio di costruire una famiglia, avere una casa o altro ancora. Evoluzioni di una realtà che per il sociologo tedesco possono essere risolte solo nella ricerca e attraverso l’azione di nuove invenzioni sociali, frutto magari di sperimentazioni politiche che possono costituire quella sorta di nuova Riforma o comunque una rivitalizzazione dell'Illuminismo in tutte le istituzioni dello Stato e del mercato (Beck, 2009). Così da arginare l’esistente subordinazione individuale ad istituzioni che agiscono in modo negativo nella “moderna biografia che (…) è stata spesso paragonata a una marionetta appesa al filo delle regole burocratiche. Ora diventa chiaro che la contro-esistenza di queste marionette che hanno i fili tagliati costringe ad una vita extra-civilizzatrice e contro-civilizzatrice nella civiltà”108. Riforma dunque come “alternativa di principio” di quelle che sono le istituzioni esistenti, comprendendo in essa anche le abitudini di comportamento della sfera privata, “radicalizzazione della modernità contro i limiti che le sono stati imposti dalla società industriale109” (Beck, 2009).

In quel continuum, inteso come equilibrio tra tradizione e modernità, alterato, per Giddens, “dai due processi gemelli della globalizzazione e di scavo della maggior parte dei contesti generali d’azione” 110 dove gli eventi locali sono

107 Marshall distingue idealmente tre tipi di diritti di cittadinanza: civile, politica e sociale. Se i primi, i diritti civili, ricadono nella sfera individuale quali, ad esempio, libertà di parola, della persona, di pensiero

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