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Ritrovare le orme che hanno condotto a ragionare su una nuova cittadinanza di rete è importante per rendere conto dell’evoluzione storica. Una riflessione che è venuta maturando anche nel momento in cui si è avuta la necessità di cercare di delineare il concetto di cittadinanza e di cittadini della rete virtuale. Andando a ritroso nelle linee del ragionamento, si può asserire che il problema legato a definire il concetto di cittadinanza è di natura prevalentemente occidentale, caratterizzato da processi storici e dalla filosofia illuminista che trova legittimazione nella Rivoluzione francese e tradizione repubblicana133. Già durante l’età dell’Illuminismo presero avvio le prime rilevanti riforme giuridiche di una borghesia industriale in ascesa durante il XVIII secolo, il cui scopo era

133 Le origini della cittadinanza di fatto possono essere ricollocate al mondo greco-romano. In tale periodo prende forma la distinzione tra il concetto di pubblico e di privato. Concetto che ha lontani rimandi nella storia del pensiero sociale e del pensiero politico occidentale. In generale si potrebbe far risalire alle discussioni della Grecia classica, sulla vita nelle polis ove i cittadini si riunivano per discutere le questioni di interesse generale e per cercare una “forma” e un “ordine sociale” orientato al bene comune. Si può ritenere che la distinzione tra “pubblico” e “privato” tragga origine dal diritto romano in cui si evidenzia forte tale distinzione astraendo dal concetto di res publica. Già con il tardo medioevo e con la prima modernità la dicotomia pubblico-privato assume nuove forme interpretative, passando da una prima fase di un potere pubblico istituzionalizzato, nelle mani dello Stato, al privato che era escluso da tale potere. Cogliendo in tale distinzione quella tra Stato e società. Cfr. J. Habermas, 2002, Storia e critica

garantire i fondamenti dei diritti civili ai cittadini come la libertà dalla schiavitù e di parola. Sopprimendo, in poco tempo, per le esperienze del giusnaturalismo134, quelle resistenze delle ultime monarchie oramai in declino nell’Europa dell’anciem regìme. Diritti che costituiscono l’espressione di una “cittadinanza civile” (Marshall, 1976). Così che il XIX secolo si rappresenta come il periodo delle grandi riforme democratiche in buona parte dell’Europa: le monarchie sono sostituite da organi parlamentari eletti dal popolo in modo democratico. La voce dei cittadini si esprime in primis attraverso il diritto al voto, negato sino a questo momento da un potere ascritto. Si assiste a quelle che Marshall definisce “cittadinanza politica”. Durante il XX secolo i diritti politici e civili sono affiancati da quelli sociali. Sono questi ultimi, sulle spinte di istanze popolari e anche per le rivendicazioni delle classi subalterne (proletariato e sotto-proletariato urbano ed extraurbano) che i cittadini ottengono considerazione e diffusione dei diritti di giustizia sociale: pensioni, occupazione garantita, normalizzazione delle condizioni di lavoro, retribuzioni adeguate e permessi retribuiti. Costituendo uno stato di “cittadinanza sociale”. Da un lato lo Stato-nazione garantisce piena diffusione dei diritti sociali, incentivandoli economicamente con proventi derivanti da tassazioni, dall’altro il processo legislativo avvia un dibattito per l’ottenimento e conservazione dei diritti sociali. Un dibattito che non cessa ma si tempra durante le democrazie occidentali post-belliche in cui emerge come l’istituzione degli stati costituisca una risorsa strategica di potere, benefici e prosperità. E’ proprio l’accesso ai benefici che i diritti garantiscono (siano essi sociali, civili, politici ed economici) che costituisce terreno di scontro tra chi vuole un’estensione di questi135.

Nei suoi studi pioneristici, Marshall, mette in evidenza tre prospettive di analisi della citizenship evidenziando come un tempo vi era una precisa corrispondenza tra la sfera del potere (sfera dello Stato-nazione) e la sfera della cittadinanza, in virtù del fatto che i diritti (civili, politici, sociali) sono legati all’appartenenza ad uno Stato-nazione che definisce i propri cittadini attraverso una semantica/prospettiva sistemica (così che, la coscienza di essere cittadino, si definisce non solo con il diritto di cittadinanza ma anche con il dovere rispetto quelli che sono gli obblighi e le imposizioni fiscali dettate per il buon funzionamento della “macchina statale”), chiavi di lettura degli scienziati politici. Per Turner inoltre l’idea e la pratica di cittadinanza coincidono con la variabile etnica (2001), come nel caso della penisola scandinava dove l’estensione dei diritti sociali sono relativamente omogenei dal punto di vista etnico. Pur non dimenticando casi come gli Stati Uniti e l’Australia caratterizzate da una minore estensione dei diritti sociali. Per Nisbet (1982) esistono di fatto due grandi tradizioni di cittadinanza: l’una “occidentale” e l’altra “asiatica”. Mentre nella

134 In questo periodo prendono forma i pensieri del giusnaturalismo (cioè del diritto naturale), anche per l’impegno di diversi filosofi, tra i quali Hugo Groutis e John Locke, che realizzano e favoriscono l’affermazione e diffusione di tesi a sostegno dei diritti non solo in Europa, ove aveva trovato modo di sviluppare. Pensieri che fondano le proprie teorie sull’opposizione dialettica tra uno stato di natura (che si caratterizza per le violenze e le barbarie in assenza di norme ed organismi democratici) e uno stato civile (strutturato sull’osservanza di diritti civili fondamentali quali il diritto al rispetto della libertà altrui, della libertà privata e la convivenza non violenta).

135 Un esempio per rafforzare quanto detto sono gli accessi negati o quasi negati ai cittadini immigrati le cui differenze non sono solo di natura etnico-culturale.

prima si osserva un processo storico legato alla “cittadinizzazione” dell’individuo, inteso come soggetto politico che è direttamente di fronte lo Stato, essendo soggetto del corpo politico; nella cittadinanza asiatica, (riferita principalmente a Cina e India pre-moderne), l’individuo sviluppa un legame inizialmente con la famiglia, il clan, il villaggio, la corporazione e la casta. Tanto che l’individuo non stringe rapporti diretti con lo Stato (o ordine politico) ma con autorità intermedie che arrivano allo Stato raramente. In tale distinzione, Nisbet pone l’accento su come le crisi politiche nelle società Occidentali siano da ricondurre ad un eccesso di individualismo e ad una “frammentazione politica” indotta dalla stessa cittadinanza che, come ci dice, “in Occidente è più di una semplice condizione o status: è un processo, con fasi identificabili nel tempo e con contesti storici che lo uniscono in qualche grado ad altri processi come l’individualismo e il secolarismo. E’ un processo nel tempo” (1982, p.612).

Dal latino civis/civitas, in origine cittadinanza stava ad indicare il rapporto politico di un individuo con il governo della città. Tra il XVII e XVIII secolo studiosi quali Locke e Rosseau gettano le basi per il moderno concetto di cittadinanza. Per Montesquieu, come per Locke, accanto allo “stato di natura dell’uomo” sussiste la difesa della proprietà, (intendendo per proprietà la propria vita, la libertà e gli averi). Sottolineando la netta separazione concettuale tra stato di natura e di proprietà, ma anche di azione tra un potere legislativo ed uno esecutivo. Una separazione che riconduce i cittadini alla partecipazione della vita politica, a quel pactum sociale, fondato sul principio eguale e naturale alla libertà che introduce alla forma di governo basato sul consenso nella società136. Così se la Rivoluzione francese getta le basi all’idea di nazione a cui si associa il moderno concetto di cittadinanza, nei secoli ad essa successivi i cittadini hanno ottenuto sempre maggiori diritti civili, politici, sociali, tanto da aumentare numericamente i titolari di questi diritti, anche se non sono universalmente estesi a tutti.

Tanto che anche Marshall, in “Citizenship and Social Class”, mette in luce come emerga un nuovo modo di concepire la cittadinanza, nelle democrazie nate dopo la seconda guerra mondiale in cui però erano ancora forti alcune discriminanti come il genere, l’età o l’etnia. Il sociologo inglese getta le basi per l’affermazione di tutti quei diritti che oggi appaiono scontanti o perlomeno naturali. Nel suo lento progredire la storia rivela che il concetto di cittadinanza assorbe progressivamente i diritti civili (XXIII secolo), politici (XIX secolo) e sociali (XX secolo), legandosi alla parallela evoluzione dello stato moderno e delle istituzioni. Per Marshall “la cittadinanza è lo status che viene conferito a coloro che sono membri a pieno titolo di una comunità”. In contrapposizione al dibattito critico di Marshall, sulle diseguaglianze e come acquisizione graduale dei diritti, Giddens sostiene che proprio l’acquisizione dei diritti si deve non ad un lento processo di acquisizione ma a lotte politiche delle classi subalterne, così che i diritti sociali o del benessere, tutelati dal welfare state, sono per Giddens tutt’ora al centro di un conflitto che non si è esaurito137. Anzi per

136 Jean Jacques Rosseau sostenne che la coscienza degli interessi comuni era ciò che univa gli uomini, e che l’interesse comune più importante doveva essere quello di impedire la diseguaglianza sociale.

Barbalet (1992), riprendendo le analisi di Marshall, esistono delle contraddizioni tra una logica egualitaria della cittadinanza ed una anti-egualitaria del mercato capitalista138. In contrapposizione a Marshall e Giddens, Held (1989) mette in luce, in quelli che potrebbero essere visti come percorsi razionali e di tempo, come non venga presa in considerazione la complessità della cittadinanza moderna, rigidamente vincolata al tema delle classi e del mercato capitalistico, alle lotte condotte da movimenti e gruppi contro forme di discriminazione, di stratificazione sociale e oppressione politica. Held difatti sostiene come “la cittadinanza (..) ha comportato l’appartenenza alla comunità in cui una persona vive la sua vita. E l’appartenenza ha invariabilmente implicato gradi di partecipazione nella comunità”. La questione per Held (1989) è duplice e sfocia da un lato nel concetto di appartenenza e partecipazione e dall’altro, in un processo di globalizzazione per cui il concetto di cittadinanza non può essere relegato nei confini dello Stato nazione, ma in una attribuzione di diritti non solo delle comunità nazionali ma della legislazione internazionale che sottopone gli individui a nuove discipline.

La globalizzazione e l’integrazione Europea hanno modificato il contesto ove operano i welfare states nazionali, sollevando nuovi vincoli e offrendo nuove opportunità ai cittadini/consumatori, ai fornitori di servizi e ai decisori pubblici. Per Ferrera “il processo di integrazione europea ha originato una graduale ri- definizione dei confini della cittadinanza sociale, interferendo in misura sempre più evidente sulle regole nazionali di inclusione/esclusione. La cittadinanza è uno spazio in quanto la presenza di confini che separano gli interni (gli appartenenti della comunità di cittadini) dagli esterni (i non appartenenti, o stranieri) è un elemento costitutivo di questa istituzione. La cittadinanza condiziona l’interazione sociale in quanto i suoi contenuti (diritti e doveri) disciplinano e orientano il comportamento individuale e collettivo all’interno di tali confini. Infine, la cittadinanza è uno spazio saliente non solo perché (sempre più) denso di contenuti, ma anche in quanto spesso opera come filtro per l’accesso ad altri spazi più specifici di interazione, come il mercato del lavoro o il sistema educativo”139. La cittadinanza è al tempo stesso un oggetto e uno strumento di chiusura sociale (Brubaker, 1992): essa fornisce il terreno di base sul quale altre forme di chiusura più specializzate affondano le proprie radici. I confini della cittadinanza incorporano due distinte dimensioni: una territoriale e una sociale. Da un lato essi svolgono la funzione di assegnare gli individui a questo o a quello Stato una funzione che potremmo definire di “schedatura territoriale” territorial filing (Brubaker, 1992 e Heater, 1990). Dall’altro lato la cittadinanza opera anche come strumento di “marcatura sociale” (social marking), differenziando gli individui tramite diritti e obbligazioni (Marshall, 1992) e attribuendo loro ruoli e identità (Tilly, 1996, p.1-17). Per Donati la cittadinanza è “simbolo dell’integrazione politica in senso moderno” i cui segnali sono evidenziati dalla duplice lente di “un’etichetta vuota” o come concetto “privo di significati o incomprensibile” o ancora si ritiene un “concetto contradditorio o una pratica che ha effetti paradossali e perversi. Nella società

138 Cfr. J. M. Barbalet, 1992, Cittadinanza, Liviana, Padova

139 Cfr. Ferrera M., Verso una cittadinanza sociale ‘aperta’. I nuovi confini del welfare, Università degli studi di Milano, working papers del Dipartimento di Studi sociali e politici n.8/2004

dell’immagine essa sembra diventare un simulacro” (1993). Intendendo questo ultimo assunto nell’ottica di ciò che “dà alla società forma e contenuto di comunità politica” il cui rapporto con il simbolo “è insieme una semantica e un insieme di istituzioni (culturali e strutturali) della società moderna politicamente intesa: la cittadinanza” (Donati, 1993, p. 4). Nella crisi d’integrazione politica e della cittadinanza che si respirano in seno al “modello moderno” di società, Donati (1993), riconosce che i problemi legati alla globalizzazione economica, sociale e politica, a cui fanno capo aspetti culturali, fanno in modo che i problemi di un sistema geopolitico non possono essere risolti se non in relazione di “interdipendenza con altri sistemi geopolitici”. Ritornando a far riemergere regionalismi e localismi con tendenze separatiste. Inoltre, il sociologo italiano ritiene già nel 1993 che la “crisi delle relazioni politiche della società” sia “una fase di apertura verso nuove possibilità non necessariamente regressive”. Individuando come possibilità altra “nuove forme di relazionamento politico” in particolare come “insieme di formazioni sociali auto-organizzate capaci di esprimere fini comuni e azioni collettive per realizzarli”, una cittadinanza societaria “la cui funzione è di definire gli obblighi di lealtà nei confronti della collettività societaria”.

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